La donna ideale del Quattrocento
"...E poi, ne' sei o ne' sette anni, pollo (tuo figlio) a leggere; e poi, o fallo studiare o pollo a quella arte che gli diletta; e verranne buon maestro. E s'ell'è fanciulla femmina, polla a cuscire, e non a leggere, ch'è non sta troppo bene a una femmina sapere leggere se già non volessi fare monaca." (Paolo da Certaldo dal "Libro di buoni costumi", 1320 ca).
Questa citazione mette chiaramente in evidenza la condizione femminile dell'epoca, condizione che rimarrà pressoché immutata fino al Rinascimento.
Ma tutt'oggi la strada da percorrere è ancora molto lunga perché la società giunga a considerare senza falsi pregiudizi la donna solamente "persona". La donna infatti, non deve pensare che scimmiottando l'uomo possa raggiungere una vera emancipazione, la raggiungerà solamente andando avanti con fermezza e coraggio, senza rinunciare alla propria femminilità, consapevole dei propri valori, delle proprie capacità.
Nell'Italia del Rinascimento, l'immagine che l'artista dava di se stesso in rapporto alla società, subì una metamorfosi rivoluzionaria che lo indusse a battersi per conferire alla sua arte, fino allora classificata e compensata come una forma di artigianato, il prestigio sociale ed economico di una professione intellettuale.
Una novità questa, che dovette rendere ancor più difficile alle donne intraprendere la carriera artistica. Non bastava più l'apprendistato settennale nella bottega di un maestro; gli artisti dovevano apprendere le arti liberali, con particolare riguardo per la matematica e le leggi della prospettiva, e possedere una buona conoscenza dell'arte antica, sia sui testi letterari sia direttamente sulle opere, che potevano vedere soprattutto a Roma.
Tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento questo programma culturale di base, formulato da Leon Battista Alberti nel trattato "Della pittura", conobbe rapida estensione. Si ritenne necessario che il tirocinio di un artista ambizioso e rigoroso comprendesse lo studio del corpo umano, dapprima sui cadaveri e sui modelli vestiti, poi sempre più sul modello maschile nudo, e una serie di viaggi nei centri artistici più importanti per studiare le opere dei rivali e dei grandi artisti di un paio di generazioni precedenti. Un simile livello culturale e una tale libertà di movimento erano praticamente impossibili alla donna del Quattrocento e del Cinquecento, salvo raro caso di un'esponente di famiglia aristocratica il cui futuro veniva di solito programmato non in funzione dei potenziali esiti artistici o intellettuali bensì solo dalle opportune conseguenze politiche del matrimonio. Inutile aggiungere che una vera signora non poteva ammettere di avere una conoscenza diretta dell'aspetto del corpo maschile nudo.
Basterà uno sguardo alla considerevole letteratura dedicata al ruolo delle donne nella società, per mettere in evidenza le paralizzanti limitazioni che si frapponevano alla maturazione di qualsiasi dote artistica e intellettuale da loro posseduta. Quelle poi che appartenevano alle classi meno privilegiate, da cui proveniva la maggioranza degli artisti, se avevano più libertà di movimento erano però sempre ostacolate dalle fatiche e dai pericoli fisici delle maternità a catena e dal duro e incessante lavoro che era indispensabile per fornire le necessità elementari della vita. Non fa meraviglia che la donna ideale descritta dai trattati rinascimentali corrisponda per molti versi al tipo della santa, quasi sempre dotata sia di bellezza che di castità; spesso l'unica cosa che le si chiedeva era quella di salvaguardare la castità da tutte le aggressioni pagane; oppure se si perdeva la verginità rinnegare il passato lascivo e ritirarsi a passare il resto delle vita in contemplazione solitaria.
La donna ideale per la Chiesa personificava la virtù cristiana al rifiuto globale della sessualità. Infatti, molti manuali medioevali sull'educazione della donna consigliavano di non insegnare loro a leggere affinché non scoprissero testi corruttori. Un analogo modello femminile fu proposto da Leon Battista Alberti, che restò celibe tutta la vita, nel suo trattato "Della famiglia": "E primi costumi in ogni donna lodatissimi sono modestia e nectezza". La passività non era solo un ideale, bensì secondo Alberti, la natura stessa della donna,
"...Le femine quasi tutte si vengono...molle, tarde, et per questo più utile sedendo a custodire le cose".
Non molto diverso è il pensiero di San Bernardino, un secolo dopo: "che tu padre e madre tenga la tua figliola come schiavetta..."
Si giunse così al 1548, ad Anversa, quando Caterina von Hemessen firmava e datava due piccoli ritratti, il proprio e quello della sorella. Nel 1554, a Cremona, Sofonisba Anguissola firmava un piccolo autoritratto, che ora si trova a Vienna.
Questi dipinti segnano il debutto delle prime donne artiste delle quali siano rimaste opere e documenti sufficienti e farle ritenere personalità artistiche.
Non si tratta delle prime registrate dai documenti né delle prime di cui sia giunta sino a noi qualche opera d'arte, ma prima della metà del Cinquecento i dati in materia sono scarsi e quindi difficilmente valutabili. Si dovette attendere il tardo Rinascimento affinché le donne artiste conquistassero la fama necessaria a fare registrare le loro doti dai biografi del tempo.
Per fare un esempio, le donne artiste dovettero attendere 250 anni dopo che Giotto aveva raggiunto la fama per ottenere l'attenzione. Quale fu il motivo che dopo il 1550 consentì ad un gruppo ristretto, ma destinato a crescere, di percorrere la carriera artistica che prima di quella data non consentì loro di lasciare alcuna traccia significativa?
Ho tentato di capirlo studiando a fondo il periodo. Ciò dimostra, però, che se per lungo tempo la cultura (con tutte le sue mille facce, arte, letteratura, scienze...) è stata "maschile", da quando le donne hanno avuto modo di potersi esprimere (abbastanza recentemente) hanno dimostrato di essere in grado di fare tutto quello che fanno gli uomini, perché la creatività, l'intelligenza e le passioni non hanno sesso.