Cambiare significa permettere al “ Divenire” di Essere.
Sovente ci si fossilizza sulle proprie posizioni senza concedere una possibilità a ciò che, per partito preso, si considera improponibile solo perché, per essere considerato quanto meno accettabile, richiede uno sforzo propositivo, immaginativo ed attuativo accompagnato da una certa percentuale di rischio che ne costituisce sia la chiave di volta che l’ elemento compromettente.
Rivoluzionare il mondo in cui viviamo in maniera consapevole, vuol dire permettergli di andare incontro a ciò cui tende diventare, assecondando un processo che ha avuto inizio con la stessa umanità, la qual cosa però presuppone un’ elasticità (non solo mentale) che è prerogativa di pochi, ossia di coloro che non hanno paura di smettere di identificarsi con ciò che pensano di essere e soprattutto in quello in cui credono o di cui sono convinti.
Cos’è il cambiamento se non una ramificazione dell’ identità dell’ esperienza?
Chi riveste un ruolo di potere e desidera mantenere i privilegi che da esso ne conseguono, non è spaventato dall’ idea di perdere credibilità, né si preoccupa di primeggiare, dato che sa benissimo che la propria posizione ed il proprio interesse verranno comunque alimentati, garantiti e tutelati da un sistema che si regge sulla consuetudine e che radica le proprie istituzioni su necessità che appartengono al comune modo di pensare.
L’ interesse della gerarchia dominante - rappresentata dalla classe dirigente - è quello di salvaguardare la propria egemonia, impedendo alla massa di pensare, o meglio, facendo in modo che continui a farlo secondo i dettami creati da esigenze infondate, che non hanno ragion d’ essere se non quella di garantire la continuità di una categoria di persone che, per il solo fatto di essere numericamente inferiore, in condizioni normali, sarebbe destinata all’ estinzione.
Secondo la teoria dell’ evoluzione infatti solo chi è disposto ad adattarsi al mutamento ed è attivamente prolifico e dunque produttivo può garantire la propria sopravvivenza e quella dei suoi simili e nel momento in cui la variante individuale diventa determinante per il miglioramento della specie, la natura fa in modo di renderla assolutamente condivisibile.
Un processo inverso non sarebbe affatto auspicabile per il pianeta poichè significherebbe andare contro natura.
Non si è mai visto infatti che una volta trovata la migliore tra le risposte possibili poi la specie non la spartisca con chi ha caratteristiche affini.
Conservare la carta vincente per sé non porta a nessun tipo di crescita.
Nonostante la nostra cultura (o forse proprio a causa sua) e di quell’ intelligenza che ci vantiamo distinguerci dalle bestie, non ci accorgiamo del tentativo di rimodernare un sistema obsoleto e di renderlo nuovamente vincente cambiando gioco pur avendo in mano le stesse carte.
E’ risaputo che in termini economici, politici e sociali il cambiamento richiede un dispendio non indifferente. Dunque che fare per continuare a speculare pur dando una parvenza d’ innovazione a costo zero? Semplice: passare la mano alla massa aspettando che sia lei a giocarsi la partita, così nel momento in cui perderà (perché con quelle carte non può che perdere), dovrà sottostare a nuove regole ancora più schiaccianti.
Ed ecco che la storia si ripete … possibile che chi ha occhi per vedere non se ne accorga?
Un tempo un noto rivoluzionario disse: “ E’ più facile per un cammello entrare nella cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio.”
Possibile che l'esempio di questi "cammelli" non abbia insegnato niente “ agli asini che volano?”…