Si chiamava Ianna, Ianna “Carrozzone”. No, non era il suo cognome, quello serve all'anagrafe. Al mio paese quello che dice chi sei veramente è il soprannome o, per meglio specificare, il soprannome della tribù, della dinastia, quello che dice di che “ razza sié”. Se poi sei un tipo che esce fuori dai canoni la gente se ne accorge e, gentile, te ne conia uno con ironia, tutto tuo, ma senza mai dimenticare quello della tua genì a.
Ma torniamo a Ianna: erano gli anni dei tempi passati, gli anni del fascio. In paese c'era ancora un pizzico di medioevo. C'erano ancora tanti piccoli mestieri, tante specializzazioni; non c'erano però buste paga, tredicesime, ferie, consulenti e sindacati, non c'erano nemmeno i precari. L'unico precariato conosciuto era quello della salute.
Ianna era sempre allerta, scrutava l'orizzonte e, quando non poteva, aguzzava le orecchie, annusava l'aria. Le portavano dalla campagna una parte dei frutti della terra: farina, uova, frutta, verdura, qualche volta anche una gallina, con l'implicita raccomandazione di espletare con dedizione l'importante compito assegnatole. Dalla finestra di casa, Ianna vedeva tutta l'immensa valle del Sacco, fino alle pendici dei Preappennini, e riusciva a vedere sulla sua destra anche i monti Ausoni, a sud, da dove spesso arrivava il pericolo.
Ma sì, lo avete capito: Ianna era una vedetta.
Quando il vento fischiava e vedeva i nuvoloni neri e veloci che avanzavano da sud, acuiva i sensi: entrava in allerta. Stava tranquilla, però, quando fischiava tramontana, che entrando dalle ampie fessure della finestra gelava ogni cosa in casa: non era quello il pericolo. Quando la notte sentiva battere le povere imposte sgangherate della finestra, si alzava a scrutare l'orizzonte e a fiutare l'aria. Si sente col naso l'elettricità nell'aria e lei lo sapeva. Aveva imparato quale vento portava acqua, quale odore annunciava il temporale, oppure quando il vento impetuoso faceva scorrer le nubi senza lasciare a terra che qualche goccia di pioggia. Era una stazione meteorologica vivente con sensori specializzati. Vedeva quando i gatti s'agitavano, gli uccelli nel cielo, se volavano bassi. Tutto per lei era un segnale che poteva annunciare il momento. E il momento arrivava, eccome; eccola allora pronta a scender le scale. Girava a sinistra per la piccola salita, passava sotto l'arco del convento, varcava il portone della chiesa, saliva di corsa su per il campanile e incominciava. La campana di Santa Barbara incominciava a suonare a distesa, per tutto il tempo del temporale, suonava e suonava, con Ianna a saltellare sulla fune, e non si stancava, un incarico è un incarico. Il vento fischiava tra le assi sconnesse del campanile, le finestre non avevano vetri. La donna si bagnava quasi tutte le volte, mentre recitava come un mantra: “Santa Barbara Benedetta, liberaci dal tuono e dalla saetta!". rimaneva lì, imperterrita, come un soldato al fronte, fino alla fine del temporale. Anche quello ormai aveva imparato a capire: la fine dell’ allarme. Era il temporale il nemico, non la pioggia, la grandine era il terrore, il fulmine il pericolo, e Santa Barbara con la sua campana serviva a questo, a proteggere le campagne e il paese da questi flagelli.
Adesso Ianna non c'è più. La campana di Santa Barbara è rotta, non ci sono più nemmeno i frati e né il prete, nella chiesa di S. Maria. Ancora per poco ci siamo noi e dobbiamo ricordare e raccontare affinché non vada perduto chi era Ianna “Carrozzone”.