Era un caldissimo pomeriggio d’ estate e l’ aria era così rovente che mi mancava quasi il respiro.
Accettai l’ invito della pazza di Amardolce, come la chiamavano tutti al paese, con un pizzico di curiosità, anche se avrei dovuto rinunciare alla solita pennichella pomeridiana. Andai a trovarla con una certa ansia, alle quattro del pomeriggio, perché ne ero segretamente innamorato.
La pazza di Amardolce non era più giovanissima, quando la incontrai per caso a un vernissage di pittura, ma conservava con grazia e dignità quell’ alone di mistero e di fascino che mi attrae ancora oggi in una donna di classe.
All’ epoca, poiché ero un trentenne arrogante e presuntuoso, non avevo ben chiarao nella mente che il fascino di una donna è innato e che si perfeziona con il passare degli anni.
Ci piacemmo a prima vista: lei rimase stupita dalla mia spontaneità, che agli occhi di molti amardolcesi appariva come un difetto incorreggibile, e dalla mia erre moscia che “aveva la capacità di stimolare le fantasie erotiche di ogni donna”, come continuava a ripetermi sottovoce.
Io, ero affascinato da quella donna imperscrutabile e misteriosa.
Parlava dei libri che leggeva, in continuazione, come se li avesse scritti lei e ne conosceva ogni singolo personaggio.
Mi parlò di Jacques Pré vert, Luis Sepúlveda, Pablo Neruda e Pier Paolo Pasolini con una dovizia di particolari che mi lasciò esterrefatto. Sapeva che ero un appassionato lettore dello scrittore corsaro ma non mi fece mai pesare il fatto che, paragonato alle sue conoscenze letterarie, ero praticamente un illetterato. Imparai più da lei, durante i nostri incontri in biblioteca, che dalla lettura dei libri che leggevo settimanalmente per soddisfare la mia insaziabile sete di sapere.
“ Vieni a trovarmi questo pomeriggio, quando non ci sarà mio marito, perché voglio farti vedere una cosa a cui tengo moltissimo”, mi disse al telefono con una voce commossa.
La mia fantasia galoppava a cento all’ ora… e presi fischi per fiaschi.
Arrivai davanti alla sua casa con il cuore in gola poiché ero convinto che la donna, approfittando dell’ assenza del marito, volesse vivere un’avventura con me.
La sua voce sibillina al telefono continuava a ronzarmi nelle orecchie come uno sciame di api alla ricerca dell’ alveare.
La pazza di Amardolce quando suonai alla sua porta si affacciò e mi fece entrare nel suo eremo tappezzato quadri d’ autore. Mi afferrò per mano e, dopo avermi guardato maliziosamente con i suoi stupendi occhi verdi, mi accompagnò in una stanza semibuia. Alzò la serranda avvolgibile che emise un rumore stridulo che mi è rimasto nella mente. La luce entrò prepotentemente nel vano, illuminando un’ immensa biblioteca.
Rimasi sbalordito dalla quantità di libri, vocabolari e riviste di ogni genere e dimensione che lo scaffale che occupava un'intera parete ospitava. I testi erano catalogati e selezionati in un modo così perfetto, oserei dire quasi paranoico.
Sembrava che la biblioteca fosse un giardino perennemente fiorito. Ogni volume era inserito al posto giusto e faceva compagnia a un altro libro, seguendo un ordine tematico sorprendente. Ebbi paura dell’ ordine che regnava sovrano in quel luogo di culto e di preghiera, che lei chiamava impropriamente biblioteca.
“Scegli il libro che vuoi, Sergio. Te lo offro in prestito! Me lo restituirai appena l’ avrai letto…”, mi disse la donna, osservando a distanza la mia reazione, come se non volesse condizionarmi.
La testa mi girava come una trottola, allungai la mano e presi un libro a casaccio.
La pazza di Amardolce si avvicinò lentamente a me, prese il libro dalle mie mani e lo guardò con attenzione: era la Bibbia.
Sono passati molti anni da quel caldo pomeriggio d’ estate e l’ ho persa di vista.
Conservo ancora oggi, nella mia piccola e disordinata biblioteca, quel testo sacro che la pazza di Amardoce mi diede in prestito.
Non ho mai saputo il vero nome di quella donna che mi fissò un appuntamento per mostrarmi il suo tesoro più prezioso: la sua amata biblioteca.
L’ anno scorso, sono tornato al paese, dopo molti anni d’ assenza, e un mio amico d’ infanzia mi ha riferito che la pazza di Amardolce non esce più dal suo eremo da anni, e che passa la maggior parte del suo tempo a leggere.
Non oso andare a trovarla, per restituirle quella Bibbia che mi ha prestato venticinque anni fa, perché non l’ ho ancora finito di leggerla.