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Sul fondo di un crepaccio, in mezzo a due picchi innevati, scorre un torrente vorticoso che si lancia in una spettacolare cascata provocando grosse nubi di vapore all’ impatto con l’ acqua. Nel laghetto sottostante, guizzano pesci grossi e piccoli in gran quantità e un enorme orso sta consumando il suo pasto, una gigantesca trota, senza curarsi dell’ aquila che da un po’ di tempo gira sulla sua testa, facendo dei cerchi concentrici sempre più chiusi e bassi ma senza decidersi a scendere. Era uno spettacolo abbastanza comune in quei boschi, nelle fredde e sconfinate foreste norvegesi. Atol osservava attento sia l’ orso che l’ aquila, nascondendosi dietro ad un cespuglio controvento per non farsi fiutare. Stava proprio guardando l’ aquila quando questa si fermò all’ improvviso e si lasciò cadere in picchiata e sentì immediatamente il grugnito dell’ orso che, levatosi sulle zampe posteriori, lanciava al cielo la sua sfida, pronto a difendere il suo pasto. L’ aquila non accennò nemmeno a fermarsi ma, anzi, aumentò la sua velocità fino ad arrivare a pochi metri dall’ orso che ora fiutava l’ aria, dubbioso, non toccò neanche il terreno e si risollevò in volo con una grossa biscia prigioniera dei suoi artigli. Atol fece appena in tempo a vedere il suo becco sfondare di forza la testa della biscia, poi dovette accontentarsi di seguirla sempre più in lontananza fino a dove il suo sguardo poteva arrivare. L’ orso aveva tranquillamente ripreso il suo pasto e lui, spazientito, pensava ad un sistema per allontanarlo perché avrebbe voluto pescare. Mentre pensava al da farsi, una lepre bianca passò davanti al cespuglio, guardinga e s’ infilò nella sua tana che si trovava a pochi passi da lui. Atol sapeva come stanare le lepri ma, per farlo, sarebbe dovuto uscire dal suo nascondiglio e l’ orso, vedendolo, l’ avrebbe sicuramente aggredito. Non era molto esaltante per un cacciatore, fermarsi davanti ad un animale ma quell’ orso era davvero grosso e in certi casi la prudenza non è una cattiva consigliera. Il sole aveva quasi raggiunto le cime dei monti tramontando, fra non molto il buio avrebbe avvolto il laghetto ed il bosco circostante ma l’ orso non dava segno di volersi allontanare, aveva finito il suo lauto pasto ed ora stava dando potenti zampate nell’ acqua cercando di catturare un altro pesce. Che ingordo, pensò Atol sgattaiolando fuori dal cespuglio per raggiungere velocemente la macchia di alberi più vicina, dove si trovava il sentiero che portava verso il capanno. Fatti pochi metri sentì dei grugniti sospetti davanti a se, avanzò quindi con cautela finche vide due cuccioli d’ orso che giocavano azzuffandosi chiassosi. Erano certamente fratelli ma uno era più grande dell’ altro e proprio questo annusò l’ aria voltandosi verso di lui e subito diede a gambe levate, seguito dal piccolo che, non avendo capito cosa stava succedendo, incalzava il fratello maggiore sentendosi vincitore e grugnendo come un ossesso. Distrattamente inciampò in un ramo e cadde a terra per rialzarsi subito e senza mai smettere di grugnire. Atol non riuscì a trattenere una sonora risata che fece zittire l’ orsetto il quale non scappò come l’ altro ma anzi, si fermò ad annusare l’ aria allungando il collo come per avvicinarsi, finche il fratello, che s’ era fermato non molto lontano, non lo richiamò con un verso molto simile al guaito di un cane, allora si voltò con una sorta d'indifferenza e scomparì trotterellando nel folto del bosco. Atol riprese il suo cammino pensando, “ ora capisco, al laghetto c’è un’ orsa, la madre di questi due e sta pescando ancora per procurare il cibo ai suoi cuccioli, meno male che non mi ha visto”. Proseguendo il suo cammino verso il capanno, pensava a Greta, sua moglie. “ Stasera carne salata”, disse pensando ad alta voce, “ tanto di quella ce n’è in abbondanza”. Il capanno si trovava a circa due chilometri dal laghetto e Atol li percorse in fretta, ripulendo il sentiero man mano che trovava dei rami nel mezzo. Mentre si chinava a raccogliere un ramo, una lepre attraversò il sentiero proprio davanti a lui, infilandosi in una tana sul limitare del bosco. Sorridendo soddisfatto s’ avvicinò a quella tana con passo felpato e guardandosi attentamente attorno. Le tane delle lepri avevano sempre delle uscite d’ emergenza che dovevano permettere all’ animale di scappare, disorientando i predatori. Atol trovò quasi subito la seconda uscita e piazzandosi sopra questa, pronto alla cattura, picchiò con un lungo ramo sull’ altra raspando il terreno e urlando. La lepre, spaventata per l’ aggressione al suo rifugio, si lanciò velocissima fuori dall’ uscita davanti alla quale Atol la stava aspettando, le sue mani scattarono seguite dal resto del corpo in tuffo ed afferrarono l’ animale per il collo immobilizzandolo. Non era affatto facile tenerla ferma ma lui sapeva come fare, mentre con una mano la teneva schiacciata al terreno, con l’ altra, estraeva dalla tasca dello spago, poi, prendendola per le zampe posteriori, le legò, non senza difficoltà, riservando lo stesso trattamento alle zampe anteriori. Alla fine del trattamento solo la testa e la coda erano ancora libere di muoversi e così combinata, Atol infilò la sua preda nel sacco che aveva sulle spalle. “ Greta può essere contenta”, osservò sollevando il sacco che s’ agitava scomposto e di buona lena riprese il cammino. Avvicinandosi al capanno intravedeva dall’ unica finestra, il chiarore della lampada ad olio ed un’ ombra che ogni tanto si delineava, era Greta e Atol la chiamò arrivando di corsa. Lei, sentita la sua voce, si affrettò ad uscire a salutare il cacciatore tenendo le pieghe della gonna sollevate con le mani posate sui fianchi. “ Hai preso una lepre”, esclamò guardando il sacco che sbatteva. Le lepri venivano preferibilmente catturate vive perché ciò permetteva di conservarne la pelliccia integra che sarebbe in seguito servita per fare delle soffici e calde coperte. “ Domani arrosto di lepre “, rispose lui con orgoglio. Mentre rientravano si soffermò ad osservare il tetto del capanno, “ bisogna che mi decida a cambiare quelle travi, altrimenti il tetto non reggerà la neve quest’ inverno”. Appoggiò la lepre sul tavolo nel mezzo del capanno, estraendola dal sacco e dicendo, “ adesso tocca a te”. Greta s’ avvicinò con un lungo chiodo e con un colpo ben assestato forò la testa dell’ animale mentre Atol lo teneva fermo. La lepre, con un fremito, morì irrigidendo le zampine posteriori che Greta s’ apprestava a slegare. Presi da un cassettone due coltelli affilati, cominciò a scuoiarla. Atol si era seduto sul sofà ricoperto di pelli e aveva cominciato a parlare dell’ orsa che gli aveva impedito di pescare al laghetto e degli orsetti che aveva incontrato nel bosco. Greta, continuando a lavorare sapientemente, disse, “ attento alle madri d’ orso, sono disposte a difendere i loro cuccioli con la vita e sono molto aggressive”. “ Domani” rispose Atol, “ tornerò al laghetto per pescare, sperando di non trovarla ancora là”. Mangiarono una zuppa di verdure, carote, patate e cavolfiori, che Greta coltivava dietro al capanno, poi Atol prese l’ armonica a bocca e cominciò a suonare un motivo che subito lei riconobbe, cominciando a cantare e a ballare allegramente. La notte era calata rapidamente, ricoprendo il bosco con il suo manto di stelle e Greta aveva indossato una lunga vestaglia di cotone bianco mentre Atol era uscito per stendere la pelle della lepre che l’ indomani sarebbe stata conciata. Rientrando la trovò già nel letto e senza farselo dire, si mise il pigiama e s’ infilò di buon grado sotto le calde coperte. La notte trascorse tranquilla, solo qualche animale notturno ogni tanto si faceva sentire, rompendo il silenzio. Al mattino il sole fece capolino dalla finestra e trovò Atol già in piedi che si preparava il catino per lavarsi. Greta si stava ancora stirando nel letto quando lui le disse deciso, “ sveglia dormigliona, è giorno e oggi voglio sistemare il tetto del capanno”. Lavorò alacremente fino a che il sole, dritto sulla sua testa non gli suggerì che aveva un certo appetito, si assicurò del lavoro ben fatto sottoponendolo al suo proprio peso e poi scese direttamente sul retro, vicino all’ orto, dove Greta stava lavorando, curando con attenzione le sue piantine. “ Che si mangia”? Chiese lui massaggiandosi la pancia.“ C’è la lepre che da ieri sta frollando nel vino, con due patate e la salsa di spezie e poi, se non ti basta, la carne salata”. “ Va bene, metto a bollire l’ acqua per le patate”. Atol girò attorno al capanno e poco dopo lei lo raggiunse e si sedettero a tavola. “ Voglio tornare al laghetto per pescare qualche bel pesce”, disse lui bevendo un sorso di malto fermentato “ prendi il fucile però, se quell’ orsa ti vede pensa che sei una minaccia per i suoi piccoli e ti salta addosso”, “ lo sai che non mi piace girare con il fucile, è pesante e a pescare mi sarebbe solo d’ impiccio, se vedrò l’ orsa, mi terrò alla larga come ho fatto ieri”. Alzatosi Atol aveva preso la sua bisaccia, il coltello e la canna da pesca e aveva abbracciato Greta dicendole, “ non ti preoccupare, tornerò prima che faccia buio e porterò anche del pesce fresco per cena”.Era arrivato al cespuglio, vicino al laghetto e da lì aveva osservato attentamente tutta la zona circostante, l’ orsa non c’ era ed attorno tutto sembrava calmo, i pesci guizzavano nell’ acqua limpida e quindi s’ avvicinò al laghetto e cominciò a pescare. Prese subito una bella trota argentata che posò nel sacco, sotto l’ albero dietro di lui. Gli altri pesci, forse spaventati dalla fine che aveva fatto la loro compagna, non volevano più abboccare ma Atol attendeva pazientemente, sapeva che era solo questione di tempo, quando un grugnito, dietro di lui, gli fece accapponare la pelle. Si voltò con prudenza, limitando al massimo i suoi movimenti, e vide vicino all’ albero, con il suo pesce in bocca, il più piccolo dei due orsetti che lo guardava incuriosito. Non c’ erano né l’ orsa né l’ altro orsetto ma Atol preferì non fidarsi e ritirata la lenza s'allontanò velocemente verso il sentiero. Imboccato questo si voltò per guardarsi alle spalle e con sua grande sorpresa, vide che l’ orsetto, trotterellando, l’ aveva seguito tenendo ben saldo il suo pesce in bocca. “ Vattene, torna da tua madre”, gli intimò agitando le braccia ma quello, senza scomporsi minimamente, s’ accucciò sul sentiero per mordicchiarsi la trota. “ Sei proprio un bel tipo”, disse Atol“ fai un po’ come ti pare” e riprese la sua via correndo. Mentre si avvicinava al capanno, non riusciva a non pensare alla trota che quel cucciolo gli aveva sottratto così furbescamente da sotto il naso ma non era arrabbiato, anzi, era più che altro divertito. Quella sera mangiarono carne salata e Greta lo consolò dicendogli, “ meglio la carne salata che farsi aggredire dagli orsi”. Durante la notte Atol fu svegliato da alcuni rumori insoliti fuori dal capanno, non si sbagliava, erano grugniti d’ orso quelli.“ Svegliati Greta”, “ cosa c’è? E’ già ora d’ alzarsi”? Non aveva nemmeno aperto gli occhi e si tirava le coperte sul collo. “ C’è un orso qui fuori”. Sentite quelle parole Greta scattò a sedere “ un orso, anime del cielo e adesso cosa facciamo”? Atol, confidando sulla solidità del capanno la rassicurò “ qui siamo al sicuro, però devo chiudere la finestra” “ chiudi allora, cosa stai aspettando”, esclamò lei agitatissima. Atol uscì in fretta dal letto e avvicinatosi alla finestra sbottò in una sonora risata.“ E’ l’ orsetto di ieri” disse divertito “ chiudi lo stesso” lo ammonì Greta, “ la madre potrebbe essere nei paraggi”. Atol serrò le due grosse ante di legno massello bloccandole con una trave fissata a due ganci e poi si fece strada a tentoni nel buio fitto fino a trovare il letto e si ricoricò. “ Adesso siamo al sicuro, però, che strano, gli orsi di notte stanno in un posto fisso, hanno la loro tana, cosa fa qui quel cucciolo?” I grugniti continuarono per circa un’ ora ma erano sempre quelli del piccolo, non s’ erano sentiti né la madre né il fratello più grande. Il sole era già alto quando Atol uscì dal capanno sbadigliando e stiracchiandosi insonnolito. L’ orsetto se n’ era andato lasciando i resti della trota a pochi metri dalla porta. “ L’ ha spolpata per bene” notò Atol “ doveva essere proprio affamato”. S’ era lavato, vestito e dopo una sostanziosa colazione aveva salutato sua moglie dirigendosi al laghetto. Mentre percorreva il sentiero, vide alla sua sinistra dei rami spezzati e a terra, nitidamente impresse nel fango, le orme del cucciolo e incuriosito decise di seguirle. Camminò nel bosco per circa dieci minuti finché giunse ad una piccola radura dove trovò l’ orsetto appisolato rannicchiato sotto un albero. Dall’ altra parte della radura era stato aperto un sentiero a colpi di macete, chiaro indizio della presenza dei cacciatori che ogni tanto salivano dalla valle in cerca di trofei come le pelli d’ orso. Quella radura doveva essere la tana dove mamma orsa stava crescendo i suoi piccoli e dove, molto probabilmente, erano stati aggrediti e l’ orsa aveva avuto la peggio. Si avvicinò al cucciolo che, svegliatosi, annusava l’ aria diffidentemente, estrasse un pezzo di carne salata dalla bisaccia e glielo lanciò. L’ orsetto non si fece pregare, lanciando un grugnito come per ringraziare, azzannò il prelibato boccone e afferrandolo con le zampe anteriori, cominciò a divorarlo famelicamente. Era divertente osservarlo, pensò Atol, “ con la fame che si ritrova, divorerebbe in breve tempo la nostra riserva di carne”. Aveva finito di mangiare e Atol, seduto poco distante da lui, gli disse “ avvicinati”, battendo dolcemente il palmo della mano a terra. Il cucciolo si lasciò sfuggire un grugnito sommesso e gli si avvicinò impaurito, strisciando con il ventre a terra in segno di sottomissione. “ Hai ancora fame”? L’ orsetto sollevò la testa guardandolo curiosamente “ vieni con me”, il cacciatore si alzò lentamente, poi gli voltò le spalle e cominciò a camminare, ogni tanto si voltava per guardare se il cucciolo lo seguiva e lui era dietro, a pochi metri di distanza.
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Erano passati circa dieci anni da quell’ incontro, ora il cuccioletto era diventato un orso veramente enorme. era un abilissimo pescatore e divideva volentieri le sue prede con Atol che, dovunque andasse, lo portava sempre con se. Una volta l’ aveva portato anche al paese in fondo alla valle, seminando il panico fra la gente che si teneva a debita distanza mentre li guardava passare sbalordita. Un cacciatore aveva anche imbracciato il fucile ma Atol aveva gridato “ fermo, l’ orso è mio”, “ non è possibile” disse il cacciatore sempre deciso a sparare ma Greta s’ avvicinò e saltò in groppa al bestione senza alcuna esitazione. Greta aveva accettato subito il cucciolo ed aveva aiutato Atol ad allevarlo, giocando con lui disinvoltamente. “ Un orso Amico degli uomini” esclamò il cacciatore sorpreso, “ Stento a credere ai miei occhi, come è potuta accadere una cosa del genere”? Atol rispose deciso” l’ abbiamo cresciuto noi, era cucciolo e sua madre aveva fatto una brutta fine”. Dopo quell’ episodio Atol era diventato leggendario in paese dove lo avevano soprannominato Grug per via del grugnito che aveva emesso per attirare l’ attenzione dell’ orso, che subito gli aveva appoggiato le zampe sulle spalle e gli aveva dato una linguata sulla faccia. La gente raccontava di un uomo che viveva sui monti e sapeva parlare con gli orsi. Fuori dal capanno, Trot, teneva efficacemente lontani i curiosi. Atol l’ aveva chiamato così per via della sua andatura trotterellante e anche in ricordo della trota che gli aveva soffiato da sotto il naso. Durante l’ inverno s’ era rivelato una buona difesa contro i lupi che, ogni tanto, s’ aggiravano attorno al capanno in cerca di cibo. Atol aveva imparato a farsi capire da lui con dei versi e dei grugniti strani e a volte, lo ospitava nel capanno, nonostante le lamentele di Greta, era bello vederlo scaldarsi vicino al caminetto, anche se, all’ inizio, non era stato facile fargli vincere la paura del fuoco.
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Un uomo alto, con la barba incolta e vestito in malo modo, era stato in paese e là, aveva rapinato l’ emporio tenendo il proprietario sotto la minaccia di un revolver. Era fuggito sui monti e gli uomini del paese gli stavano dando la caccia. Atol e Trot erano al laghetto ed avevano fatto una pesca abbondante, quando un gruppo di uomini, tenendosi a debita distanza da Trot, l’ avevano avvertito del pericolo, dicendo che quel criminale era armato e capace di tutto. Atol pensò a Greta sola, al capanno e subito decise di rientrare ma, mentre stava ancora mettendo i pesci nella bisaccia, sentì degli spari. Venivano proprio dalla direzione del capanno. Trot aveva emesso un grugnito strozzato e Atol, lasciando cadere la bisaccia, si era lanciato correndo verso casa. Trot, velocissimo, l’ aveva sorpassato e quando Atol arrivò, si presentò ai suoi occhi una scena davvero devastante. Un uomo che rispondeva alla descrizione dei cacciatori, giaceva a terra fuori dalla porta aperta del capanno. Aveva il collo ed il ventre squarciati e Trot, inferocito, infieriva su di lui divorandogli le budella. Atol chiamò Greta più volte ma senza risposta, senza curarsi di Trot e del cadavere, entrò nel capanno dove Greta giaceva a terra, morta, in una pozza di sangue. Ebbe un tumulto e chiamò forte il suo nome in preda alla disperazione ma, dalla sua bocca, uscì soltanto un grugnito molto simile a quello di un orso. I cacciatori del paese, attirati dallo sparo, arrivarono poco dopo ma non trovarono Grug e nemmeno Trot, videro soltanto il corpo senza vita dell’ uomo che stavano cercando, di Greta erano rimaste soltanto le tracce di sangue nel capanno. Oggi la gente evita di avvicinarsi alla casa di Atol e Greta, dicono che là vive un uomo chiamato Grug, che è diventato come un orso, s’ aggira nella zona in compagnia di un orso enorme e insieme sono diventati cacciatori di uomini.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Tutto ciò che viene descritto è opera di fantasia, nulla è appurato o attestabile, anche se facilmente può risultare plausibile.» |
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