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♦ Rita Angelini |
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E’ freddo oggi in Valsesia e il Monterosa tinto di bianco suggerisce l’ imminente inverno.
Questi sono i giorni dei grigi e degli ocra che impossessandosi del paesaggio invitano l’ anima alla quiescenza e alla riflessione, e da qui a poco il Rosa cederà alla valle parte del liliale manto avvolgendo ogni bruttura con raggelante candore. Gli alberi presenti nel mio cortile vanno spogliandosi del verde mantello che al passar dei giorni si posa al suolo, stinto. Stamani un pettirosso si è posato sul ramo più alto del melograno provocando la caduta di un numero maggiore di foglie, il tempo di uno sciacquio d’ ali e ha ripreso il volo, donandomi il piacere della visione del suo colorato piumaggio. Di tanto in tanto pure un merlo usa ristorarsi su questo ingrato melograno, che, ahimè, nonostante attenzioni e cure, non dona alcun frutto e raramente offre un fiore. Già, quasi che tale arbusto altro non sia che la metafora dell’ umana ingratitudine. E badate bene che questo alberello è da me accudito come fosse un figlio, concimato e vezzeggiato nell’ arieggiarne i giovani rami.
Cosa ho scritto! Un figlio... ecco la ragione del suo non donarmi frutti, un figlio non ha dovere alcuno se non quello di crescere all’ ombra dei suoi natali, sino il giorno che come il pettirosso e il merlo, con una scrollata d’ ali spiccherà il volo verso più alti rami. Questo è quanto loro hanno fatto la scorsa settimana, seguendo lei che, sbattendo la porta, mi ha detto addio.
Ma sì, che importa! Se n’è andata, nemmeno io riuscivo più a convivere con la menzogna. Quando una storia finisce va chiusa! D’ altronde ero veramente stanco di rientrare dopo una dura giornata di lavoro e dover sopportare le sue lagnanze riguardo a tutti i lavori che lei svolgeva in casa e verso i quali sosteneva che non mostravo interessamento alcuno. Seppur anche lei abbia un lavoro questo è par- time, quindi non v’è dubbio che le rimanesse parecchio tempo libero! Eppure sempre a lagnarsi del troppo da fare casalingo. Pensate che una volta, a causa del mio aver dimenticato un calzino sotto il letto e un altro accanto al guanciale lei mi ha assalito con un’ interminabile filippica. Eppure io lavoro, non come quegli ingrati dei miei figli che quotidianamente aspergevano per casa indumenti in ogni dove, e che poi lei, tacita, raccoglieva. Mah, chi le capirà mai le donne!
Rientro in casa lasciandomi il balcone e il melograno alle spalle, osservo il lavello che esonda stoviglie e quel mucchio di panni in agguato celati oltre l’ oblò della lavatrice, armato di buone intenzioni comincio a spostare l’ ammasso di piatti dal lavabo alla lavastoviglie, litigando con i cestelli quasi fossero la base di un intricato puzzle nel quale non incastra tassello, armeggio per qualche minuto con la rotella dei programmi che alla stregua di una roulette non azzecca numero per poi tornare sul balcone dove mi accendo l’ ennesima sigaretta.
Fra una boccata di fumo e l’ altra osservo nuovamente l’ ingrato e sterile melograno.
Già… lo acquistai piantandolo nel giardino di fronte alla terrazza per fargliene dono. Il melograno arrivò in ragione di una sua precisa richiesta, certo è questa la ragione per cui né fiorisce né tanto meno fruttifica. Questo ingrato è parte della menzogna, cosa mai posso pretendere da lui! E’ in quest’ attimo che m’ accorgo che malgrado lei se ne sia andata io seguito a recarmi a fumare all’ esterno. Erano i suoi veti che m’ obbligavano sia in inverno come nei giorni di pioggia a fumare sul balcone,” Devi avere rispetto dei tuoi figli” affermava con cattedratica enfasi! Come se non ne avessi, quando nell’ accompagnarli a scuola con la mia macchina, ovviamente in sua assenza, usavo la premura e l’ attenzione di aprire leggermente il finestrino al fine di fare uscire il fumo. Se poi loro si fossero ammalati per l’ aria che entrava certo non era mia la colpa ma della sua intolleranza verso una sola e innocua sigaretta.
Rientro nuovamente in casa, mi avvicino l’ oblò della lavatrice e aprendolo estraggo i panni sui quali inevitabilmente va a cadere la cenere della sigaretta che penzola dalle mie labbra. Maledizione proprio sulla mia camicia bianca… bianca! Rammentate quei calzini maledetti? Uno di questi, ovviamente di color nero, si è furtivamente insinuato fra i panni bianchi e la mia camicia migliore è ora vagamente tendente al grigio. Richiudo lo sportello e dopo aver aggiunto candeggina al detergente di lavaggio affronto un nuovo tavolo alla roulette, alla ricerca del numero corrispondente ad un corretto programma di lavaggio.
Devo dire che la ieri sera alle prese con il ferro da stiro non è andata per nulla meglio, ho affrontato la prima camicia ravvisando nei bottoni quelle rotonde che tanto amano gli esperti di viabilità, certo che la piastra del ferro da stiro scodava più dell’ autoarticolato che solitamente guido per lavoro, e dopo aver spezzato il primo bottone ed essermi incastrato in un polsino, ho preso la decisione di volgere autotreno e camicie nella direzione della più vicina lavanderia. Fortunatamente in cucina non ho particolari difficoltà. Già dapprima che loro se ne andassero, le domeniche in cui non mi recavo allo stadio cucinavo sia per lei e per i ragazzi. Devo dire che a vedere i miei figli divorare con gusto quanto preparavo mi donava piacere e allegria… e ora? Ora che sono solo che cucino a fare? Mi apro una scatoletta di carne in scatola accompagnandola con una mega insalata annaffiata di quell’ aceto del quale lei detestava anche il solo odore.
Stadio… ho scritto stadio? Dovete sapere che lei detestava questa mia abitudine di recarmi a domeniche alterne allo stadio per seguire la mia squadra del cuore. D’ altronde un uomo necessita di qualche ora di svago con gli amici, e lei indispettita da questo mi accusava di prestargli scarsa attenzione. Certo che seguirla zigzagare in un centro commerciale non è cosa che amo, eppoi se non si andava per compere toccava fare la gitarella domenicale al lago, con i ragazzini urlanti che imbrattavano i sedili posteriori della mia auto, e lei che seguitava a criticare il mio guidare, a suo dire troppo aggressivo. Quasi non fosse vero che con il mio tir percorro mediamente qualche migliaio di chilometri la settimana, quindi non v’è dubbio che io sappia come ci si deve comportare alla guida.
A proposito di domeniche allo stadio, voglio raccontarvi di un episodio esemplificativo della sua insensibilità e intolleranza nei miei confronti. Vi fu quella volta nella quale la mia squadra del cuore vinse il derby: ebbene, rientrai più tardi del solito quella domenica a causa del prolungarsi dei festeggiamenti, felice e, a dire il vero, leggermente ebbro di vino, varcai l’ uscio di casa all’ incirca alle 23. Tutto taceva, i ragazzi erano già a dormire e lei seduta sul letto con le gambe sotto le coperte, leggeva uno di quei romanzetti rosa alla luce della lampada tiffany che le regalò mia suocera… mia suocera, un’ altra sulla quale avrei più di una cosa da dire! Entrai nella camera salutandola allegramente non ottenendo altro che uno strano verso di risposta, spoglio d’ ogni indumento m’ insinuai fra le coperte cercando quel contatto che avrebbe posto un rosso sigillo a quella meravigliosa domenica! Per tutta risposta lei si ritrasse, e con solito cattedratico fare mi disse di non essere un oggetto di consumo che si può afferrare in qualsivoglia momento: “ Hai fatto i tuoi porci comodi e ora mi cerchi senza donarmi nemmeno una carezza d’ affetto! Una donna abbisogna di attenzioni e di coccole...” E cosa stavo per fare io! Mah, chi le capirà mai le donne.
Sono passati quasi tre mesi da, quando lei se n’è andata senza rivolgermi nemmeno uno sguardo, e mentre vi racconto questa mia storia, annoto quanto devo fare questa settimana: la bolletta da pagare, i giorni in cui ritirano il vetro, l’ umido, piuttosto che l’ indistinto, una raccomandata da ritirare e l’ appuntamento con il commercialista da spostare. Dovrei pure andare ad acquistare qualcosa per la mia dispensa, dove un pezzetto di formaggio urla nel vuoto verso quell’ unica patata aderente ad una fetta di prosciutto che alla stregua del mantello di superman dona all’ insieme una mobilità propria. La carta igienica, ecco cos’ altro, ieri mattina scoprendo d’ essere rimasto senza ho arrancato ginocchia strette e cinta in mano alla disperata ricerca di quel Kleenex che ovviamente era collocato nel cassetto più in basso della credenza posta in cucina.
Sono rientrato proprio ieri da Firenze, lungo la strada vi è la trattoria della Gianna. Dovete sapere che la Gianna oltre ad essere una bravissima cuoca ha anche un debole per me e sovente ha scaldato la mia cuccetta nelle fredde nottate appenniniche. Uno sguardo all’ insegna, un lieve tocco al freno e ancor prima di inserire la freccia il mio piede è corso all’ acceleratore spingendo il mio autotreno verso un meno confidenziale Autogrill. Non mi sentivo un granché bene al punto che, quando Mario mi ha telefonato per dirmi d’ avere i biglietti per la prossima trasferta, ho chiuso la chiamata e spento il cellulare.
E’ freddo oggi in Valsesia e il Monterosa tinto di bianco suggerisce l’ imminente inverno. Questi sono i giorni dei grigi e dell’ ocra che impossessandosi del paesaggio invitano l’ anima alla quiescenza e alla riflessione. La casa è vuota da quando lei e i ragazzi se ne sono andati, persino il melograno pare essersi intristito, e né il pettirosso né il merlo mi fanno più visita da giorni. Seguito ad uscire per fumare, non so esattamente perché lo faccio, per un certo aspetto seguitare nella vecchia abitudine mi dona l’ illusione della presenza e la speranza del suo ritorno. So a cosa state pensando e voglio dirvi che siete in errore. Non la rimpiango in ragione della lavastoviglie che impazzisce piuttosto della lavatrice che si crede croupier del Casino de le Vallé e. E’ che questa casa, da quando lei se n’è andata, pare essersi intristita. Già… una casa privata del canto di una donna non è che una casa a mezzo, e un uomo senza una donna è come un ombrello aperto in una nottata di cielo stellato. Non ripara dalla pioggia e tanto meno dai raggi del sole… non serve a nulla… altro non è che nulla.
Accendo l’ ennesima sigaretta, mentre l’ ultima foglia del melograno cede al vento precipitando sorda al suolo, accompagnata da una lacrima che scorre sul mio viso.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Una nota: Quell’alberello venne veramente donato e mai fece fiori o frutti. Mai sino al giorno che lui se ne andò, arreso, da casa.
Ora, a distanza di un anno, la pianta si presenta carica di rossi frutti... nulla avviene per caso.
L’immagine allegata è un’opera di Erwin Olaf» |
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commossa applaudo! Bellissimo racconto (Annamaria Barone)
che ha meritato la menzione speciale! (Annamaria Barone)
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