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Abitavo in un vicolo di Napoli quand'ero piccolo, il vicolo si chiamava vico Lepre ai Ventaglieri, ora è scomparso, al suo posto hanno costruito una scala mobile che raggiunge la collina. Tutto cambia e si muove, nulla è statico, ogni cosa si trasforma in un divenire eterno, comprese le anime di tutti noi e l'universo stesso. Era un vicoletto situato sotto la pancia di un monte che debordava, pieno di bassi e di panni sempre stesi su fili di ferro che raggiungevano quasi il cielo . Classico dei vicoli di Napoli, era quello di stendere i panni bagnati con canne di bambù su fili di ferro, che si estendevano da una parte all’altra di un qualsiasi palazzo. Ecco, il perché il vicoletto era sempre bagnato da gocce d'acqua che cadevano dall'alto, sembrava che piovesse sempre, anche d'estate. Ai lati del vicolo c'erano due palazzoni alti che insieme ai panni stesi non lasciavano penetrare la luce del sole. Era buio il vicolo ... Il sole provava dolore a penetrarvi dentro, il più delle volte, non ci riusciva, il vicolo era stretto come la cruna di un ago. Ero piccolo allora, il mondo finiva e cominciava in quel vicolo di Napoli, oscurato dai panni colorati stesi al sole. La mattina, il vociare alto della gente mi teneva compagnia, persone semplice che sorrideva sempre, eppure, né opulenze, né ricchezza li vestiva di lucido metallo. Ognuno, si arrangiava alla meglio, chi vendeva pizze, chi castagne lessate e chi si industriava a vendere panni americani che arrivavano a Resina via mare con con grosse navi cariche di container. In realtà, questi abiti erano destinati a poveri, ma poi, non so come venivano venduti a balle agli acquirenti che allora volta, li rivendevano alla gente. Tutti gli abitanti del vicolo avevano un soprannome che non era altro che un segno di riconoscimento veloce per distinguersi: " veloce come un treno che mangia strade e tempo." Tittina 'a cafona, vendeva pizze "a oggi a otto", la prendevi e la mangiavi ancora fumante, avvolta in una carta di giornale , per il pagamento dovevano passare otto giorni , nel frattempo la pizza era digerita... La chiamavano cafona, perché veniva da un paesino lontano dell'Avellinese . C'era sempre un perchè che veniva svelato, se facevi caso ai soprannomi; Ciruzzo o' zampognaro, lo chiamano così perché suonava la zampogna a Natale, bussava alla porta di tutti i bassi del quartiere e suonava strampalatamente l'otre di pelle con le guance sempre arrossate. Stava sempre ubriaco di Natale, era felice per i soldi che guadagnava strimpellando motivi natalizi con un vecchio maesto di mandolino: Don Mtteo" soldi, che finivano poi nella mani del cantiniere di turno . Rafilina: " a' mellone" era la melonara del vicolo, con il suo triciclo vendeva meloni freschi e colorati di rosso rubino, e così, di nome in nome, anche tutti gli altri del vicolo. A mia Madre, la chiamavano a’ Bionda, era bellissima mia Madre, aveva occhi azzurri come il mare, capelli colorati dal sole e denti bianchi come il colore della luna o quel colore bianco delle mele quando le sbucci , bianchi erano i Suoi denti, irradiati da fasci di luce lunari. Ero innamoratissimo di Lei. Tutti i bambini del mondo sono innamorati pazzi della propria madre, bella o brutta che essa sia, alleluia! Mio padre lo vedevo pochissimo, si alzava alle sei del mattino e andava a lavorare al Corso Meridionale, luogo, difficile da raggiungere per chi non era motorizzato, doveva prendere un tram, un pulman e un'altro treno ancora, lavorava alla Fiat per una paga misera, appena cinquanta mila lire al mese, a stento, si arrivava alla fine del mese, non è cambiato nulla da allora ad oggi, ricordo che mio padre rideva poco... stava sempre pensieroso e a fare conti per arrivare a fine mese.. Quando la sera ritornava a casa dopo il lavoro era stanchissimo, mia Madre, gli preparava acqua calda con sale in una bacinella di alluminio, in essa, lui immergeva i piedi, questo rimedio serviva per alleviare la stanchezza della giornata passata a rincorrere i mezzi pubblici da un luogo all'altro della città, poi, lo coccolava con mille attenzioni, che gelosia... Come volevo essere mio Padre quando avveniva questo rito sacro, rito che sanciva la cooperazione dell’amore e della solidarietà umana. L’ amore … tutto è cambiato oggi , ognuno porta cibo solo al suo egoismo, ognuno pensa a se. Siamo tutti famelici di possedere il tutto di più, di più, sempre , ancora, ancora, senza accorgerci di non gustare nulla della semplicità dell'esistere con quel minimo che ci basta. Anche i miei amici avevano tutti i loro buffi soprannomi, soprannomi molto coloriti che facevano ridere,“ O’ russ, o’ bigg, coscia di pollo, papilucci o’ chiattone, e così via”. Anche io ne avevo uno, mi chiamava stecchino, per le mie gambe alte e magre, ricordo che indossavo sempre pantaloncini corti e calzini lunghi bianchi . Ero magrissimo e pallido . Ogni mese, me ne stavo a letto per un po di giorni con un'infezione alla gola, questo capitava spesso, fin quando mia Madre si decise a farmi operare le tonsilli. Ebbi cinque punti di sutura nella gola quando mi operai , ma fortunatamente, non me la presi più di tanto, anzi stavo allegro, allegro perché mangiavo tanti gelati, il chirurgo come terapia causticante aveva detto di mangiarne tanti, in quell'occasione dolorosa di tonsilectomia. Il passato mi ritorna come prima pagina di un libro di storia, storia che, insieme a tanti altri fogli, formano la radice della vita . Ero appena un ragazzino e già mi chiedevo delle budella del mondo. Rincorrevo farfalle nel vicolo, rare farfalle colorate che si vedevano una volta all’ anno, tra maggio e giugno, le quali, mi ricongiungevano per breve tempo alla natura spesierata del mondo. D’estate lavoravo come garzone da qualsiasi parte, ho fatto tutti i mestieri del mondo in piccola parte. Ascensorista, macellaio, postino per consegnare messaggi per le coppie innamorate , panettiere, etc ... Ricordo quando, alla fine della settimana, mi davano la paga ero felice, mi sentivo un uomo arrivato, aah... ! I soldi guadagnati li davo a mia Madre in cambio di un bacio che puntualmente mi arrivava sulle guance dalle Sue belle labbra calde, la domenica poi, Lei mi comprava un grosso gelato e mi dava doppia razione di baci caldi e saporiti. In inverno, andavo a scuola dalle Suore Francescane, mia zia Nunzia le chiamava cape 'e pezz ", teste di pezze", per il velo che portavano sulla testa. Quante bacchettate che ho preso da Suor Gioconda, era una Suora sadica e grassa, non aveva pietà delle mie morbide mani. C’era anche Suor Virginia, la mia prima innamorata... Proiezioni infantili e voglia di Paradiso ! Era gentilissima, aveva una pelle morbida e bianca come la neve , era ricca dentro e ci voleva bene, era perlacea, ci regalava sempre santini e caramelle; ricordo che collezionavo santini , ovviamente, il mio preferito era San Pasquale Baylon, protettore delle donne, ma anche la figurina di Santa Lucia mi piaceva tanto, con il suo vestito celeste e i due occhi che trasportava chissà dove, su di un vassoio lucente fatto d'oro metallo. Il vicolo era scuro ma pieno di luce d’amore, colava latte dai muri, eravamo tutti una famiglia, ci aiutavamo gli uni con gli altri e non mancavano mai parole di conforto per i bisognosi. Comprendevano il dolore e la sofferenza, avevano quasi tutti vissuto la guerra, la miseria e la disperazione. Infame guerra… che distrusse uomini e cose . E pensare che oggi, ancora ci sono vicoli bui..., bambini abbandonati a loro stessi, fame e miseria, ma questa è un'altra guerra. Questa attuale che stiamo vivendo è la guerra senza bombe sganciate dagli aerei , è quella dei Banchieri e dei potenti di turno del Capitalismo più sfrenato. Corsi e ricorsi storici, diceva Gianbattista Vico... Quand'è che il mondo tutto insieme si sveglia da questo stato di immobilità assoluta che dura da sempre.
O’ vicolo.
I massi a terra sono scivolosi,
la pioggia quando cade
forma piccole e fangose pozzanghere d'acqua.
E' buio più buio, quando piove,
e' triste e incolore senza luce.
Dal basso della signora Nanninella
non si vedeno altro che muri screpolati
e passanti frettolosi,
rumori, frastuoni, grida...
è il vicolo,
uno delle tante anse intestinali
di un corpo malato.
Alcuni lo chiamano cieco perché non spunta,
io dico:“ è cieco perché è scuro nero. ”
Quel buio statene certi,
entra dentro,
raggiunge l'anima,
la penetra l'annerisce,
l'avvelena
la consuma lentamente.
Sono cresciuto bene nonostante il vicolo buio , la mia anima si irradia d'amore quando provo a tornare indietro. Sono fiero di me e del mio esistere fino ad ora. Certo, sono tanto cambiato da allora, ora sono un poeta... sono un uomo che insegue ancora farfalle colorate nel vicolo ... Cerco di comprendere la vita, la morte, l'uomo che sono senza scuse e senza ma, ho forti radici di terra dentro, sono cresciuto in fretta. Nudo mi presento ogni giorno a me stesso, mi guardo allo specchio e riesco a mettere insieme infanzia gioventù e prosieguo... Non mi arrendo... Sono un Uomo vero!
E criature dò vicolo
hanno tutti 'a faccella bianca;
"E' criature "
le loro ossa senza calcio, vonna a luce!
l'uocchi a lontananza insiemo o' mar azzurro.
Il fertile cervello del bamibino
ha bisogno di assorbire il rosso del sole.
E ancora, " il verde del prato, il bianco della neve, la pioggia nel bosco, il nascere dell' alba, il saluto dei tramonti,il precipitare delle stelle cadenti, le balene nell'acqua e i delfini saltare." Di questo hanno bisogno i bambini, di questo e di tanto amore.
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letto con vero piacere, complimenti (vilma)
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