Con un movimento veloce (per non farsi accorgere da nessuno) la straniera si chinò, gettò la cicca che aveva incominciato a bruciarle le labbra e raccolse quella mezza sigaretta che qualcuno aveva lasciato cadere. Aspirò soddisfatta di avere trovato una cicca così lunga e continuò il suo cammino. La signora borghese che era uscita dal bar fece una smorfia disgustata scuotendo la testa. La straniera fumava così, raccogliendo le cicche da terra e conservandole in una busta di plastica. Camminava a testa bassa finché non riteneva di avere raggiunto una buona scorta di cicche, cercando di schivare gli sguardi delle tante persone che incontrava. Era ancora giovane e già stanca del mondo.
La chiamavano la straniera anche se nessuno conosceva esattamente da quale parte d'Europa fosse arrivata. Conosceva molte lingue, oltre all'italiano e parlava perfettamente anche il francese, l'inglese e il tedesco. Spesso capitava d'incontrarla sul tram, col suo buffo cappello calcato sulla testa. C'erano giorni in cui il suo viaggio si svolgeva camminando all'interno dei vagoni, lanciando sguardi ai passeggeri. Alcuni passeggeri, spaventati si spostavano, altri si irrigidivano, non sapendo decifrare quali fossero le intenzioni di quella strana figura. Certe mattine si sentiva in vena di dare voce ai suoi pensieri e iniziava i suoi arrabbiati monologhi in un francese molto deciso. Se poi ne aveva voglia cantava la Marsigliese accompagnata dal suo piffero sporco e vecchio. Passava poi fra la gente per raccogliere qualche spicciolo che le serviva per comprare qualche lattina di birra.
Poteva capitare di trovarla ai bagni della stazione per fare toeletta. Metteva molta cura nel lavarsi i denti e nel pettinare i capelli, sempre molto sporchi. Nei giorni più neri era sempre al lato della piazza a sciorinare un perfetto e arrabbiato tedesco, inveendo contro qualcuno che vedeva soltanto lei. Lo insultava e diventava rossa in volto. Fumava nervosamente muovendosi avanti e indietro per tante volte. All'improvviso si calmava, raccoglieva le sue cose e lentamente andava via. Ogni sera camminava per le vie di un quartiere che le piaceva molto. Le piaceva il silenzio che avvolgeva le strade e le case, camminava fino al punto in cui aveva scelto di dormire tra gli alberi, vicino alla panchina sotto cui poteva sistemare il suo bagaglio. Ci arrivava a notte inoltrata, consapevole del fatto che soltanto a quell'ora poteva ritagliarsi uno spazio tutto per lei. Srotolava il suo sacco a pelo e col viso rivolto al cielo cantava sommessamente le canzoni che le ricordavano l'infanzia.
La straniera si chiamava Françoise ed era nata (non ricordava quando) nel cuore di Parigi. Non ricordava più quante città avesse visto prima di arrivare a Roma. Aveva camminato tanto per stancarsi ed evitare di pensare. Le era sempre piaciuto camminare, ricordava che da piccola faceva tante passeggiate con la sua nonna lungo la Senna. Adesso lei camminava perché voleva vedere il mondo e, nel contempo, fondersi con lui. Camminava ormai da cinque anni.
Una mattina, dopo avere raccolto il suo bagaglio, si era fermata a giocare con un gattino nero che si era ritrovato addosso al risveglio. Soltanto dopo averlo accarezzato a lungo aveva ripreso il suo solitario cammino. Ad un certo punto aveva visto una ragazzina con uno zaino sulle spalle, venirle incontro e dalla sua bocca era uscito solo un brusco “ Cosa vuoi da me?” che aveva gelato il tentativo di approccio della ragazzina.
Françoise aveva pensato a quell'episodio tornando al posto dove andava a dormire e passando davanti al cancello da dove la bambina era uscita, si era fermata a osservare il piccolo giardino pieno di fiori e le finestre della casa. Ogni sera dal suo giaciglio volgeva lo sguardo verso le finestre della ragazzina e si augurava che almeno lei fosse felice.
Una notte Françoise ritrovò il gattino nero e notò che si aggirava nervosamente intorno ad una borsa lasciata vicino a un cassonetto della spazzatura. La straniera si rallegrò di vedere la bella e grande borsa scura, pensò di essere stata fortunata perché le serviva. Il gattino cominciò a miagolare con insistenza, Françoise si guardò attorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno, poi si sedette sul bordo del marciapiede e aprì la borsa. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, si alzò precipitosamente e stava quasi per cadere. La gattina nel frattempo riprese a miagolare, lei afferrò la borsa e andò verso la panchina.
Dentro la borsa c'era un bellissimo neonato che dormiva pacificamente. C'erano pure un biberon, un barattolo di latte in polvere e un pacco di pannolini Lines. Tirò il bambino fuori dalla borsa e se lo strinse al petto cercando di riscaldarlo col suo corpo. Ad un tratto fu presa dal panico... e se l'avessero trovata col bimbo in braccio? E se l'avessero portata dai carabinieri? Avrebbe potuto passare dei guai e... chi avrebbe creduto a lei, una povera barbona? Un movimento del bambino la distolse da questo pensiero e la paura lasciò lo spazio al piacere di tenere tra le braccia un esserino indifeso e delicato.
Il piccolo dormiva ignaro di quanto fosse accaduto, sereno tra le sue braccia. Lo baciò sulla fronte e il bambino emise un piccolo gemito che le riscaldò il cuore. D'incanto tutte le barriere caddero e lei iniziò a piangere silenziosamente. Pianse infinite lacrime che le liberarono l'animo da tristezza e paura. Si sentì lentamente rinascere e strinse forte il piccino a se cullandolo dolcemente. Attese le prime luci dell'alba e poi ripensò a sua nonna, a Parigi e per la prima volta da quando era scappata fu presa da una grande nostalgia.
Prese il piccolo e andò alla stazione per comprare il biglietto per Parigi. Sua nonna aveva un grande cuore e l'avrebbe aiutata... Avrebbe dichiarato che il bambino era suo... E in effetti lo sentiva più SUO che mai, l'avevano abbandonato e lei lo aveva preso con se. Durante il viaggio sorrideva perché aveva la consapevolezza di avere fatto la cosa giusta per se stessa e per il bambino.
Quandò arrivò Parigi, illuminata dal sole, le sembrò una meraviglia.