Premio di Poesia Scrivere 2016
L’Anno Santo della Misericordia (Spirituale) Spirituale |
È l’anno santo della misericordia il volto nuovo della guerra il vento che non hai voluto di un Dio più forte e sconosciuto
È la porta che non si è mai aperta verso un cielo che profuma di vergogna per una violenza gridata e senza più giustizia
È il silenzio divenuto odio di chi conosce solo il tradimento senza carezza per chi non crede ad una fede con un altro nome
È la paura di andare in strada ed il sospetto verso un nuovo giorno la mia mano ferma e teso il pugno nessuna preghiera verso notte
Per un nemico con un altro colore. |
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Aspetta invano quella porta laggiù sommersa da una marea di turisti non respira
aleggia nell’aria desiderio di accogliere peccati e poi detergere con forza suprema
una schiera di angeli sorvola come padroni di casa invitano ad entrare amici d’infanzia non tradiscono
basta poco un sorriso un inchino ed il cuore ha un sussulto
generosità il punto forte cammeo da stringere tra le dita ossequiando per rispetto alone improvviso scuote
segno della croce capo chino ringrazio. |
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Camminavo piegato sfiorante le mura per simulare il mio vanto. L’assoluta convinzione della inevitabilità, inciampando, cadendo, sradicando l’attrattiva primaria della mia età. La mia innocenza era bruttura, la mia indolenza: chiusura. Poi, la comprensione della mia fragilità e ti ritrovo “misericordia” amica della mia età. Ho ritrovato le tracce, i contorni dove si ammucchiavano gli slanci verso i cieli, quando le tempeste isolavano nel fluire senza fine. Persi l’orientamento, persi il tuo slancio, e, ti inseguii contando i cerchi che si aprivano vastissimi. Disegnando la circonferenza ho trovato il segno dello slancio. Raccogliendoti senza più abbandonarti, “misericordia”. |
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La poesia e il Poeta Impressioni |
Mi abiti da sempre in ogni lettera che ascolto stilla d'oro ogni sillaba d'inchiostro dalla bocca dei pensieri.
Mi hai trovato tra le cose perdute, nuovo di questo plurale vivere il non conoscerci che in un volto di parola
Suonano le pareti. Respiro dalle cime del vento la gravità della memoria il non caduto
quando mi torna nella bocca e si dona sulle tue labbra il mio sorriso |
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Rime stonate nell'eremo canto di cerebrale impulso
sradico parole da voce narrante che graffia la mente in fantastiche evoluzioni
segno emozioni dietro carte truccate di una partita sempre aperta con le idee che brulicano in trame d'inchiostro
non sono poeta ma visionaria paesaggista di tuffi carpiati dell'anima dove perdo il tramonto
colorando tele in versi sciolti |
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Solo e smarrito tra sordi e indifferenti dal selciato senti schiudere il germe sotto il sole ascolti cicale intente a frinire di luci e profumi ti lasci inebriare
Sei corda pizzicata dal dolore del mondo stupito da un tramonto, una stella che cade e l’innocenza negli occhi di un bimbo
Diffondi armonia in versi di teneri distillati di cuore apri orizzonti, cogli le essenze tra accordi intonati tra il reale e il miraggio
Nei pugni chiusi di un pensiero che lento scivola via cerchi il passato nel futuro e in ogni verso un pezzo di te che non torna |
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La Terra, culla della vita Natura |
E’ tutta ciccia e brufoli alquanto consumata ma gode nel sembrare la donna più quotata.
Sperduta nel suo essere ambulante si guarda intorno certa di piacere e naviga nel tempo e ad ogni istante si attarda a rotolare con mestiere e anche se il suo abito è sdrucito lo indossa con orgoglio indefinito.
Sul trono della storia lei cerca una ragione e il cuore canterino le scrive un’ovazione.
Regina della vita il suo domani è scritto ancora in bianco tra le stelle e il suo inventore tempi non lontani le brucerà la faccia e pur la pelle del volto che segnato dal progresso un giorno muterà financo il sesso.
Il tutto è ormai deciso e Gaia la sorprendente ci indicherà il traguardo che taglierà vincente.
Madre coi suoi pargoli in gramaglie sopporta integralmente il folle volo e stende all’aria franche le tovaglie che l’uomo senza tema ha preso a nolo ma ha la certezza di trovare il porto del sole che da’ luce al dio risorto. |
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Eppur sorge il sole danzando con riflessi dorati sulle bolle di sapone della distesa azzurra.
L’antica nenia dell’onda consola il pescatore restio ad arrendersi tirando in barca reti vuote.
E soffia il vento sulle pendici dei monti baciando foglie d’un bosco franato.
E ancor sul far della sera si tinge di vermiglio il cielo seppur la tela sia sporca di fumi.
E Madre Terra malata non smette di cullare quei figli ingrati a cui dona frutti di vita.
Eppur sorge il sole… |
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Vieni resta con me oh vita, oh terra.
Qui, dove tace l'aria che mi offristi nei riverberi fulgenti delle ginestre bacche di ginepro, falci d'oro ché se mi parli, miete grano il cuore nel ristoro.
Madre che mi nutri di bellezza dal tuo ventre agli occhi ai campi incolti.
Più dolorosa e piena negli abbracci snodi una spirale di strumenti tra gorgoglii d'acque e gli ori di frumento.
Tu così materna, dura nei recessi sgorghi di vita, morte e d'infinito. |
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Il vento è mutato su quell’uomo vestito di creta dal sorriso increspato. Si lecca la luce dalla pelle e raccoglie sigilli di fede spezzati. Ha un amo nella bocca e un bacio testimone sulla guancia vessillo d’amore lasciato in avamposto sconfitto. Soffi di metafore sono luce danzante tra segreti sepolti nei bassifondi della mente. Crisalidi di memorie - desideri irrealizzati rimasti nelle retrovie - bucano bozzoli di presente. Si alza in volo l’uomo vestito di creta a inseguire angeli ciechi fino a essere assorbito da un ologramma d’arcobaleno lasciando cadere giù un cappello variopinto da giullare e la solitudine abbandonata in un dolore invalido. |
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Mi piacerebbe pensare diverso ma forse è solo il tempo ad aver ragione.
Non importa il resto o altre mani soavi sulla pelle anelo solo alle luci degli occhi tuoi.
Ma tutto va... come folata di vento or qui e tra un po' chissà dove.
Ricordo ora le tue parole e mi chiedo se gioia o lacrime celano quando il buio entra.
La ragion mi chiede è questo il nostro vero cammino? - e gli ultimi ricordi sbocciano come rossi fiori di montagna
all'ultima carezza del vento. |
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Così è, il sottile confine della sera, quando il sole declina il capo, verso il testardo argine dell’amore, nell’ebano fatale, di cui il volto mio reticente s’appropria. Sta tutto lì, nell’imbroglio dei colori, che sanno di dover restare dentro il margine per avere un senso. O forse, è solo l’irridente piega di un’ombra vuota, che vive, per illudere lo sguardo assente di colui che ama, quando rubò l’ultima goccia di rugiada ad un germoglio d’aprile. |
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