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omissam
Le 393 poesie di omissam
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Io,
regnante imprestante,
profugo dall'eiaculatio superprecox,
asfaltato lungo strade
di asteroidi polverosi
inanellato ad amantea,
capra furente,
insonorizzato da nebulose perenni
incazzato con noncuranza
rivendico,
anelo sibilante,
un mio
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Se la speranza
è un gomito sempre aperto
apri il tuo pensiero
ti aiuterà a sotterrare
l'angoscia dei giorni persi.
Coltiva il susseguirsi delle idee,
fraudolente sonnolente,
annaffia il giardino dei perchè
e zappa l'orto
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Le donne che amo
han tutte un dente in meno
e una lieve, burrosa,
scalfittura sul cuore.
Possiedono sguardi di altri fiumi
e cosce tanto forti
da sollevare i dispiaceri accreditati...
pensieri da odalisca
pulsioni da bovary in ritiro
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L'uomo che verrà
avrà occhi di sabbia parlante
mani di ghiaccio rosa.
Sarà freccia furente
oasi radente
e braccia da cercare.
L'uomo che verrà
non avrà lacrime,
il suo cuore batterà
a ritmo spento.
Il
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Accoppiato,
massimosimilpelle,
ma non disfatto
carbonizzo l'ultima sigaretta
e cauterizzo la ferita,
viva la vita.
Disegno il penultimo torrente
di pensieri,
caramello il sorriso storto
alzo il mento
e trafitto da un raggio
di luna
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| Eleganti,
spinose altere,
sollevate da terra da grazia vescovile
hanno un metro in più.
Sinuose mareggianti,
indugiano sui tuoi sguardi
semaforando attenzioni da harem.
Mai docili
sempre accattivanti
dalle movenze alitanti
dalle gambe
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Prima che diventassi balbuziente,
dal debito incipiente,
ancor prima che la mia profilassi
divenisse un film porno avariato,
mastodontico abbaglio...
prima, molto prima,
che mi (ri) crescessero
unghie sulle gonadi
non avevo il benché minimo
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L'ultima volta che son scappato
sulla luna
si ballava ancora il fandango,
passo infingardo.
Era un 31 aprile stizzoso
mi pare...
gli augelli,
sapidi fringuelli,
intonavano nunziali dal timbro
che sapeva di tappo.
Io,
incomodo scomodo,
ero
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Ti guardo, redento.
Le tue cosce
m'imprigionano in una gabbia nera.
Le mie braccia,
puntellate sul tuo stupore,
t'inserpentano.
Avvinta,
schiava padrona.
Ad ogni affondo
ti spalanchi
come una cattedrale di mollica...
sei la prigioniera
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Sono un migrante.
uccello senza ali.
Vestito di nuda speranza
lacerato dal dubbio
giro la ruota del destino...
vò per mare,
disteso ondoso,
spumoso e stanco.
C'è la luna forte stasera,
illumina i miei occhi
protesi verso terra che
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Oggi ho visto cristo in croce
con quel berretto bianco
quel viso lacerato...
gli occhi ardenti,
furenti.
Hai provato a parlare...
tentato...
ma la voce non usciva,
la gola serrata...
volevi afferrare le parole
con le mani,
porgerle al mondo
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Mi chiamo Massimo
e faccio il mestierante di rimpianti.
Vivo la vita
spezzandomi in vetri filanti
inchinandomi all'indolenza
del mio tempo che passa...
ho perso tanti amori
per il gusto infantile
del (ri) mettermi in gioco
illudendomi
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Il giorno levantino
partorisce sul mio letto,
nabucodonosor incallito,
nuove occasioni di vita.
Il mattinoso mattino,
bronzo in bocca,
rigenera le mie cellule
usurate dal mestiere di viver lesto
il dì precedente.
Con movimento
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Un urlo lacera
il tepore della notte...
rende tutto visibile.
L'alito si condensa
la paura si dilata...
immobile
un'altra sera se ne va!
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Inginocchiata,
padrona pregante,
contieni i miei glutei
con mani sapienti...
i tuoi occhi,
spalancanti osceni,
mirano l'impotenza del mio volto
teso come rame...
il tuo movimento è sapiente
sai dare cadenza
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Sono tanto stanco...
il muso ingrugnito
il fare mellifluo
m'attanaglia al guinzaglio della noia,
andamento sopo e rifero,
ci vorrebbe...
ci vorrebbe un abbaglio
un miraggio arlecchinante
dalle ciglia ingombranti
dalle cosce temerarie
dai
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Leggi la biografia di questo autore!
Invia un messaggio privato a omissam.
Il tempo,
aratro perenne,
scolpisce il mio viso.
Solchi zighirinati lo percorrono
insinuandosi tra le fessure
dei miei sensi aperti.
Gli occhi,
una volta lampioni sempre aperti,
ora s'appartano con la luce
dandomi prospettive diverse,
quasi
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Leggendo pagine scure
rammento te, isola che non c'è.
Riporto a capo
enormi passeggiate
sui dirupi delle tue risa.
Nella mia mente
sei sempre colorata,
forgiata nell'argento triste
di meriggi peninsulari.
Leggendo ritrovo stampate
le
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Che lento incedere
ha il mio pensiero
cristallizzato sul tuo fermaglio.
Scivoli via,
accorta felina,
su rivoli di spuma bianca.
Approdi,
incautamente,
sulle fughe mie sparse.
Provi,
sicura,
ad ammansirle...
ma loro ti
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Racchiuso nel delirio onirico
dei miei tentacoli ammuffiti
mi sbatto al muro senza parete
dei troppi dubbi,
assillosi premurosi,
che assalgono le mie ossacce.
I palliativi uterini
non mi helpano più...
ne i disincanti sospiranti
tantomeno
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Il compasso aperto,
oscenante,
delle tue cosce da trivio
ipnotizza l'iride mia...
con mosse da califfa
muovi dita sapienti...
agonizzo ad ogni movimento dell'indice
sulle labbra divaricate,
mai così grandi,
schiumose d'humus
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Camminano, lenti scrutatori,
lungo strade di polvere.
Si guardano l'un l'altro
dandosi coraggio che a volte non c'è.
Vestono inquadrati,
un po' infantili,
pieni di foulard dai colori forti,
che danno appartenenza.
Sorridono i
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Agglomerato in un insolvente
bailamme vitalizio
raccapriccio muscoli
da cameriere bucaniere
in pose cul e turistiche.
Lo specchio,
addomesticato ai miei voleri da tuareg emaciato,
mi (s) conforta assai.
Rotoli coppiani
ariccianti
d'adipe
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I bambini fanno girotondi
con mani di panna.
Hanno ali che noi non vediamo
sapori che non gustiamo mai.
I bambini hanno un filo magico
che li lega e unisce.
Han sorrisi di marzapane
occhi sempre grandi
che vedono tutto...
gambette che sorvolano
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E' curiosa stanotte l'aria di Roma.
Penetra,
rapida frizzante,
dalla finestra chiara
inesorabilmente schiusa in questa notte marzolina,
rara e fascinante.
Tentacoli lunari oscurano la mia vista
la stanza somiglia,
squadrante scoscesa,
ad una
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Oggi ho sentito i tuoi pensieri
alitare su di me.
Sapevano di caldo
di panni stesi al sole
odoravano di primule perse
di pane buono
di vino rosso
di girotondi sollevati.
Oggi ho sentito il tuo respiro,
rosa d'organza,
penetrare i miei
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scivola, salmastra,
la saliva, incautamente tumida,
lungo la curva brutale
del tuo coccige da serraglio al bando...
respirando carbone
godo nel vederla sparire
nel fiume austero
dell'incavo tra le natiche
pompose arance da suggere
fino allo
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Sfrattato da un disimpegno antologico
rimembro il tuo dolore moschicida,
variopinto e sterile,
la faccia che prendevi
quando lo esibivi per me,
suicidandomi d'amore.
Rossetti all'arsenico
rimmel d'ostia
calze nere da impiccarsi
al palo dei
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Ammutolito,
finto inganno,
sul mio stesso affanno
mi spando in vetri similari.
Metallurgico in battaglia,
pigro come dici tu cuore mio,
m'arrovento sul mio stesso rovello.
Chi son io
se non polvere fumigante
bastone addomesticato
kantiano
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ammanettato all'ultimo coito sopra e vissuto
sviluppo il mio scarso
senso di disorientamento
uccellando sorrisi sconci...
io, zitello d'occasione
ocassionale
m'avviluppo al lieto viver
orecchiando gemiti da suburra
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393 poesie trovate. In questa pagina dal n° 331 al n° 360.
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