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Walther Avreliano von Graeber
Le 112 poesie di Walther Avreliano von Graeber
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Tempo di vivere
come un macchinista sconsiderato,
nel deserto del menefreghismo
con la sola voglia di cibarmi
dei tuoi seni
e bere dalle tue labbra
l'assenzio della filosofia...
restare a guardarti,
eccitato nel leggerti i pensieri,
mentre il
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Eccola che arriva,
dalla stessa polvere
in cui la mia adolescenza divenne
concime e poi fiore.
Fuori dalla porta c'è il mondo,
ma il mondo è ora nel mio letto,
mentre appoggio la mia piuma
sulle carte sparse sul suo corpo,
una
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Torna al quartiere latino
dove gli odori coincidono
con la melodia della Senna
che corre lungo le gambe
delle "femmes" in bicicletta...
torna in prima linea
a gridare il tuo odio,
ancora in Vietnam,
la nausea...
hey
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Cent'anni di solitudine,
e poi i figli partono o scappano,
e poi rimane la nostalgia del colonnello
che sposerò al primo passaggio degli tzigani,
al sospiro del primo treno del mattino,
quando a Macondo fa ancora freddo
e la mia bella si
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Il segreto,
mi sto stempiando
e tu mi guardi
e credi nell'immortalità,
compagna,
la tua pelle ha qualcosa di patrio,
quel lenzuolo
tenuto insieme dalle mani nodose
di un amanuense ateo...
lasciati fare ciò che il Danubio fa a
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Volta le tue spalle
autostoppista scarlatta,
non esiste est od ovest
nei tuoi occhi,
posaceneri di speranze,
non esiste siccità
nelle tue mani,
fragili pietanze.
Volgi i tuoi seni verso l'infinito,
e poi guardami bellezza scarlatta,
non
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In questa città
piovono romanzieri analfabeti,
psicodrammi
e discorsi di un '68
che è mia madre,
la mia Rivoluzione,
la mia costante dedizione
a tirarti fuori dal tuo giardino.
Tu,
bambina intelligente e molestatrice di
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Tic- tac- tic- tac
e tutto il cosmo si riempie
di spazi vuoti in cui addobbar defunte beltà...
è la grassa terra vergine,
la strada verso la stempiatura del lessico
e del sentimento prostituito.
Uomo indifeso,
abbraccia la vita che
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Sussulta la strada,
allo scorrere delle tue mani
sul dorso di un'idea da pub,
nei salotti delle donne sole
senza uomini da odiare
senza figli da indottrinare
allo schema delle strade di certezza
che portano sempre lì,
allo sbando delle
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Il mio nome è Nessuno,
giunto fin qui per volere della sensualità in seno alle sirene
che mi hanno depistato il senno,
ed attraverso interminabili balere emiliane
ho fumato i miei anni di Rivoluzione,
ed ancor oggi
non credo d'aver
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L'attesa è la mia fine,
mi sequestra nelle corride dei miei calori,
mescolandosi alla voce fuoricampo di Hemingway
e rendendomi esuberante
come il più codardo dei cesaricidi.
L'attesa scade sempre,
franando sulle corde che l'hanno
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Io la vidi sull'uscio del mattino,
arrivare nell'inverno come un sogno
e si stagliò nel panorama cittadino,
distinguendosi ribelle
fino all'ultimo petalo di vita.
Non bastò il plotone d'esecuzione
poiché non abbassai il mio
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Le labbra
cominciano a masticarti le giornate
sparpagliandole come pesce avariato,
ed avariato è il tuo alito che parla in aramaico
riferendosi ai bordelli di Praga
ed a quella notte in cui
filosofia e birra sciolsero le catene
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Vivo,
con la stessa voglia di morire
che Ulisse si trascinava dietro
come le raccomandazioni di una madre apprensiva
e con la forza di un romanzo disperato
destinato a tormentarmi nottetempo.
Vive,
con la stessa arrogante giovinezza
che Minerva
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Un giorno,
la Ragione si sbronzerà con Joyce,
in un caffè di Trieste,
solo per capire che il silenzio
è un gesto così delicato
da meritare un encomiabile fine
sotto una coltre di bestemmie.
Rideranno tutti, Joyce in
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Se stai fuggendo dalle mie dita
volerai verso la felicità,
non voltarti,
a guardare il Popolo
che si ingozza di risate
mentre c'è chi singhiozza d'estasi
per quel filo d'erba rimasto sul tuo volto quel giorno,
impigliato fra le
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Invia un messaggio privato a Walther Avreliano von Graeber.
Gli anni peggiori nei giorni migliori,
io non vedevo che l'abbandono sostare
nel necrologio del mio corpo- spazzatura,
evirato dal pudore di prenderti in un dove,
verosimilmente lì, dove il rosso spicca
rapace e rude come un soffio caldo di
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Esteticamente terribile,
il vuoto, il nulla vertiginoso
tra il tuo seno e la mia mano
mentre stendo sui miei passi
un tappeto di rimorsi
e liquorose beltà.
Decisamente insignificante,
tutto quello che dagli occhi tuoi
mi proietta nel mare-
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Triste bambino classe '91,
mentre tutti correvano nei giardini
delle infanzie prefabbricate,
camminavi a braccetto con la malinconia
eredità di una solitudine che ti mise al mondo
dopo una notte d'amore folle
con una sedia vuota.
Occhi
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Ti ho riconosciuta subito,
triste Katjusha,
il tuo sguardo e le tue gambe
tra le pieghe di un atlante scolorito,
nel tuo tetro teatro tronfio di testardaggine
e taumaturgia da zigana.
Ti ho vista esiliata in un bistrot di Leningrado,
a conversare
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Il primo settembre
è un viandante con scarponi chiodati,
dal passo fermo sulle vie incerte
d'un paese smembrato e ricucito nei secoli
da sarti con cravatte sozze di sugo e capitalismo.
Il primo settembre
è un bambino in
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Il principio,
come sempre senza pietà,
nelle stalle altisonanti del potere,
l'agnello fu servito
su un vassoio d'argento,
con contorno di ironia e cemento.
Serviva l'astro agli Antichi
per orientarsi nei solai scuri della solitudine,
ma
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Voglio sbronzare l'attimo
che segue l'alba d'una domenica,
impietrita fra i torrenti scialbi
e prevedibili delle bottiglie
e delle conversazioni concluse,
in un interminabile inizio di baldoria.
Seguono le imprecazioni di chi,
come me,
non ha
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Maledetto il giorno in cui sono nato,
piccolo escremento d'un sogno procrastinato,
piegato e contorto,
come le strade di una città che non farò in tempo a vivere.
Dimorare per divorare
il mio passato come moneta di scambio
per un
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Non avrò una vita felice,
ma una tragedia perpetua,
che dai miei occhi deraglierà sul mio respiro,
e nessuno capirà fino in fondo
quanto io mi sia già svenduto e perduto
in questo sogno senza senso né sfondo,
in
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Le sue labbra non sono labbra,
ma battigie insanguinate di grano duro,
in cui imbecilli sono naufragati alla ricerca del suo verbo,
custodito
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Madre,
da quante vite dovrò disertare
prima di poter essere fucilato come eroe?
Di quanti incubi dovrò cibarmi
prima di assaporare la gioia?
Madre,
sotto quante gonne dovrò nascondermi
prima di poter piangere senza
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Nike,
perché nell'arroganza ho costruito
bugie da percorrere su destrieri,
nati già sellati in una notte senza stelle
e pronti ad arare il cielo
in cerca di un raccolto sotto il gelo.
Nike,
al tuo venire mai quando
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Riguardo all'attimo,
ed all'incedere
della mia ombra sulla cenere,
vento o forse proprio io,
ad annunciare la mia Venere,
perduta nelle malsane gesta di Dedalo,
e ritrovata nuda
nel letto di una sporca democrazia sovrana, tiranna
e sorda.
E la
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Cosa è rimasto?
Nemmeno le stelle,
così innamorate di Ulisse
da condurlo verso eterni naufragi,
ora si trovano denudate e derise
di fronte all'occhio dell'Uomo,
che le violenta
ogni volta che le indica
con quelle dita profane
e
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112 poesie trovate. In questa pagina dal n° 31 al n° 60.
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