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Massimiliano Zaino
Le 1198 poesie di Massimiliano Zaino
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Ahi, quanto m'è sempre cara l'immago tua,
mia fanciulletta che sempre mi rammenti
alquanto le pie tinte del Paradiso
nel quale turbinosamente risplende
del tuo caro volto l'assolutà beltà...
amena beltà che per
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E' forse giusto e poi rasserenante
tinger l'acciaro del sangue fraterno,
allorquando giunge un voler baldante
che sulla tua Patria pone l'Inferno,
e mill'altre lugubri sofferenze
che, sìccome arcano e feroce speglio,
riflettono
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Sìccome Angiola dormiente
la dolce Musa m'apparve;
e subito la mia mente
s'ascose nelle sue larve
perché cantare potesse
le Gioie e i Duoli della vita,
e le possanze sì oppresse
del pio core e delle dita.
Allor mesto e
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Sento, voluttuosa Musa,
il tuo stridente respiro
e la tua Dignità ottusa
venirmi per sempre a tiro,
onde io possa libar teco
de' pii gaudi dell'Amore...
di que' gaudi che già arreco
coll'onestà del mio core.
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Ahi lasso, sciagurato padre son io
che per desiro di possanza altera
istigai d'Israello il misterioso Iddio
tenendo serva la sua gente intera.
E negletto vengo a te, cara prole,
per lagrimare sulla tua innocenza
e sul tuo sopito, eclissato
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Sedea tranquilla sul trono imperiale
l'egizia regina figlia d'Ammone.
Ahi quant'era bella, dolce e regale
siffatta stella caduta da Orione!...
Sotto il guardo del solar sacro falco,
all'ombra dell'ale aurate del Nume,
mostrava il corpo odorato
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Giacea la madre piangente
ai piè della fiera Croce,
e col sembiante dolente
irrorava un duolo atroce.
Piangea la morte del Figlio
che tanto visse d'Amore.
Piangea la fine d'un Giglio
che del vizio fu uccisore.
Oh Umanità già
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A Te i dolci Amori sempre son resi,
oh passional ciel che rimandi al Nume;
e teco volano verso l'Ascesi
lor che giacciono in amoroso Lume.
Squarciasi allora il tragico velame
che i bei sensi incatena alla Parvenza;
e poscia giunga agli uomini e
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Cosparso di paglia l'attiguo viale
dai ligi e rispettosi Milanesi,
nella quiete giungea l'ora fatale
dell'uom che tanti pensier fè palesi
e tanti desii all'italiche genti
che' l vider dirigere l'opre belle
e comporre i soni rattor di
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Ferito nell'impeto sì iracondo
de' franchi cavalieri,
stordito dal mortal colpo profondo
degli acciari sì fieri
l'anglo arciere celer stramazzò a terra
e col core dolente
già s'appressava a dir addio alla
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Bella e dormiente
giacea la Diva
che in Ciel lucente
vivea giuliva.
Distesa stava
sur d'una runa
che si mostrava
al chiar di Luna.
Parea defunta
ché troppo frale
l'aura congiunta
fu del suo strale.
Leggero spiro,
core
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Desolata è la steppa infida.
Si lamenta il cupo tifone.
Nevica... Già si fia una sfida
il viver tra il ghiaccio e il gelone.
Impetuosa vien la bufera.
Terribile risòna il vento.
Dal cielo l'aura scende altera,
e semina gelo e
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Era tarda notte. Vagavo errando,
piangendo la mia dura e acuta sorte.
Col core stavo infatti spasimando
qual s'avessi avuto dianzi la morte.
Del gufo udivo i lamenti sì cupi
che si spandevan pella fredda auretta.
Sentivo i canti tremendi
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V'era tempo addietro una damigella
che, figlia di defunti mercatanti,
vivea quale solinga colombella
e, sebbene amena, fugava i vanti
che altre belle dame poteano mostrar
in quella Venezia settecentesca
che di cortigiane volea pullular
con ria
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Poscia il tramonto funesto,
poscia la notte crudele,
veggo oramai sorger presto
l'alba più dolce del miele.
Sarà un'altra speme vana?
Sarà un altro sogno oscuro
che, terrificante e duro,
all'Amor anco m'allontana?
Ah,
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Eternamente infelice del fato
per un eterno tempo, ahimè, resterò
in questo nero duolo desolato
fino al dì nel quale vegliardo morrò
deprecando l'assente e rival gioia,
e gli ignoti bei felici momenti
sostituiti forse da
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Invia un messaggio privato a Massimiliano Zaino.
Che mai feci per mertarmi questo?
Quale fu il mio fallo fatale?
Perché, Iddio, il mio vivere è funesto,
e privo d'un'ora gioviale?...
Nell'oscuro dell'arcano ignoto
ho forse crudelmente ucciso?
Nell'atrio del passato remoto
ho
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Si voltò il volto mio alla voce che udì.
Vider le ciglia piangenti una bionda
che per me stava pudica e gioconda.
Esultò il mio core!... Ma il sogno svanì!
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Ascolta, madama ignota,
il pio sono dell'arpa mia.
Lieve libra la sua nota
pell'auretta di questa via.
Ascolta, madamigella,
la dolce e balda canzone
che, sotto ogni calda stella,
ti parla di pia passione.
Lieta t'invita
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Nell'oscuro sempiterno
della solitudine mia
scempio mi fia, e crudo ischerno
la speme che sen volò via.
Nel crudo e tetro infinito
della vita sconsolata
il core mi fa sopito
la vanità ch'è arrivata.
Nel vestibulo
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Mentre il sole sta nel cielo
tra i nembi sereni e bianchi,
nel mio core sta un rio gelo
che i sensi mi fa sì stanchi.
E' la mia solitudine
che su questo nero suolo
m'empie d'ingratitudine
e di terribile duolo.
E' la mia dolente
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V'era tre secoli addietro un corsaro
che, nel regale nome d'Inghilterra,
solcava il caraibico mare avaro
in cerca di bei bottini e di guerra.
Ei era giovine, nobile, e sapiente.
L'indole sua era sì calma e tranquilla
ch'assai lungi da
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Oh Vergine Madre del tuo Creatore,
oh Madonna, oh Maria colma di Grazia,
nella tua pia Immago aleggia il Signore
che t'inviò a far la sua venuta sazia.
Benedetta tu se'infra le spose
che in Te ora veggono la Redenzione
di quel Peccato
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Nell'austerità tremenda e feroce
d'una villa viennese,
agonizzava per morte precoce
quel genio sì palese
che l'universo rese in belle note,
e in dolci e soavi soni
allorquando tra ispirazioni devote
e tra divini doni
egli
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Densa è la nebbia in questa notte orrenda.
Tutti i lochi sono silenti e oscuri.
L'aura che vola è gelida e tremenda.
Lassù, nel cielo, i nembi sono duri.
Nemmanco s'ode cantar la civetta
che, coi terribili e mesti lamenti,
di
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Oggi davanti a un terribile foco,
degradando la propria condizione,
sta colui che uom si noma ancor per poco
pell'empia colpa di sua perdizione.
Ei crede di mirar l'alto Creatore
che si mostra denso lume bruciante,
o folle pensa d'esser
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La battaglia era da tempo finita.
Sotto il cielo e cupo, e lugubre e nero
tanti militi erano senza vita.
Fu un massacro crudele e veritiero.
I Teutoni gridavano vittoria
lieti d'avere ucciso que'infedeli,
ai quali mai il fato diede la gloria
di
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Sublime è il calle lavato dal mare
che placido e silente lo circonda,
sicché nemmanco le spiagge preclare
colpite sono dalla furente onda.
Di gelo tinto ognor si palesa il ciel,
che dunque parla e di vita e di morte,
qual dolce,
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Era una notte di terrore immenso,
Signore Iddio, e tutto ivi taceva,
mentre del sacro fiume il corso intenso
grave strepito all'aure infondeva.
Lassù, nell'oscurato infame cielo,
nemmanco lucea una misera stella,
mentre sulla landa un
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Addio, speme d'Amore,
che tanto mi cullasti.
Addio, dolce stridore,
che tanto mi scaldasti.
Addio, sogni sereni
d'uno spirto che spera.
Addio, recordi ameni,
giunti alla cruda sera.
Addio, mia fanciulletta,
che mi fuggi lontano.
Addio, casta
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1198 poesie trovate. In questa pagina dal n° 1141 al n° 1170.
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