Con gli occhi chiusi,
ascolto la superficie levigata del legno,
la fatica e l’ingegno
spesi nell’opera,
seguo con le dita la pennellata di vernice,
a risaltar venature e nodi,
ritrovo
profumi d'essenze confidenziali,
che ammorbidiscono,
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Sento il passo,
il mio passo che scarica,
peso sul terreno battuto,
sulla strada del borgo,
cammino su passi trascorsi,
portati su viottoli secolari,
millenni di attimi eterni,
a sovrapporsi dentro orme di vita.
Passi passati a permanere,
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I colori del fieno sparigliano,
tracciano melanges a nascondersi,
mentre un rastrello di legno pettina,
prati sfumati al verde macchiato di terra.
Cicale a mezzogiorno,
sole parlano al sole,
mentre il sapore umido del mattino evapora e
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Adagiato il palmo ad attrarre,
dell'acqua smeraldina il velo,
mischio liquido sensi e pensieri,
a scorrere giorni e ricordi notturni.
Estati di scoglio o di sabbia grondanti,
di sguardi rubati e baci,
fuggiti,
perduti,
o forse solo pensati,
nel
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Ghiaccio,
ruvido ghiaccio che taglia,
scivolo su piani inclinati,
incurante di un centro imprevedibile,
lento in accelerazione,
anima compressa al salto nel blu.
Scorrono volti su pareti deformi,
mostri che si sciolgono
al palmo della
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Una scelta di libertà nell’arbitrio,
poi il buio,
la caduta infinita nel mondo finito,
la materia che toglie respiro,
leggerezza perduta nel peso dell’atomo.
Melancolia a meditare
su un grimorio di numeri,
il volo spezzato
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Gira la riga,
nera attorno a se stessa,
gira e rigira seguendo un’idea,
esplora fogli e spazi,
anfratti di tempo che rallentano
e ripartono,
a inseguire simboli e colori.
Superfici di una metafisica colorata,
macchie e tratti
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Dietro una lente,
distorto,
deformato da un filtro di cristallo,
mi lascio leggere da un brulichio egoista,
che azzanna,
arraffa,
affanna,
angoscia,
giù fino ad implodere di vuoto,
male innocente che esiste
nella sua limpida
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Andando màs, màs se sabe,
Vasco da Gama sotto la croce,
del Cristo,
d’un Ordine antico,
a navigar nell’anima,
affrontando venti e pensieri,
emozioni e tempeste.
Cosa spinge il legno,
di casa in casa,
di mare in mare?
Il
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Un coltello infilato da un maiale
ammicca,
mentre un demone dal naso a tromba ride,
beffandosi di prelati disperati,
inseguiti dal volgo,
una torma d’infernali,
capeggiata da un naso adunco,
grida alle fiamme
la disperazione dei primi,
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La mia gamba oscilla,
scandisce d’ombra uno scoglio di fiume,
assopito tra le braccia del sole,
cullato dallo scroscio dell’acqua,
che si ripete
mai uguale ma simile,
tra pietre casuali rotolate dal tempo,
levigate dai giorni.
Istanti
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La casa del vento,
tetti,
comignoli ed alberi curvi,
piegati dalla forza dell’aria,
nessun luogo al mondo,
nessuno,
mai potrà immaginarsi simile,
per la bellezza aspra della pietra,
per la profondità gentile del golfo,
e
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Aggrotto il sopracciglio,
lo inarco ed esprimo,
senza parole,
così,
come un mantello gettato sulle spalle,
stupore incredulo,
per la vita,
la rinascita quotidiana che ti accompagna,
che incontri all’angolo
di una periferia comune,
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Palleggio,
mi arresto, entro nella palla,
e tiro,
il movimento perfetto che unisce,
l’occhio,
la forza,
la mano e il progetto.
Mi lancio,
parabola arcuata che sale,
a cadere preciso nel rumore del soffio,
la rete stracciata,
sbattuta
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Piovono giorni obliqui,
scorrono a lavare certezze molli,
a portar via fango e umanità.
Sogni di generazioni bruciati,
pignorati da nani o ballerine distratte,
venduti al baratto nel futuro perduto.
E siamo qui,
percorriamo strade
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Il calore del legno raccoglie,
a coppa il rosso della vita,
il sapore del pane unisce,
mani affamate,
di consolazione e speranza,
di semplice amore,
terribile,
potente,
umile amore,
che strappa e lacera,
una morbida normalità,
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Si muove guardingo,
lineare esitante quasi dubbioso,
percorre e perlustra,
osserva la penombra squarciata,
trafitta dal raggio di sole,
a svelare pulviscolo in stallo.
L’insetto avanza fiducioso incredulo,
e affronta il vuoto,
l’abisso
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Lungo strade imbiancate di sterrati antichi,
tra le vigne,
le pietre assolate e secche,
i profumi dell’estate matura,
muovo il passo sulla terra rossa,
indeciso,
tra il salmastro di un mare timido,
e l’uva dal gusto aspro fino al dolce,
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Dove si posa lo sguardo,
quale pensiero è ritratto,
nella pupilla dal collo gentile,
cosa,
l’istante ferma nel tempo,
tracciato di forme su tela,
e colori che tradiscono vita,
distante nei giorni,
negli anni passati,
ad offrire
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Un’immagine che trascolora,
scende pigra,
tra le acque profonde della memoria,
ricordo che perde i suoi contorni,
lascia la definizione nella dissolvenza,
nell'andare verso il buio infinito,
verso l’oblio.
Siamo così,
come tracce
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