Spingo la soma dei sogni,
oltre le tribali percosse
di un grandinio di voci,
soffocando lo sguardo
con il segno del sole...
Di levante in ponente
un sillabario di croci
ammutolisce in un ponte,
che a fiduciose stelle
li affido, i miei
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Questa arrendevole smania,
di mostrarsi cordardo, assopito
in uno specchio d’acqua salmastra,
improba sentinella, vigila
e approva che non sei degno
di assaggiare la dolcezza dei sensi
e invita a solleticare la noia...
Che noia!
Pararsi il
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Arcana delizia dei sensi,
dalle radici del cuore,
protetta e nutrita pendi,
di univoca gioia risplendi
-un frutto proibito-
negli immemori giorni
della memoria incallita ...
Il tempo resiste
agli assilli del vuoto,
-una linea continua-
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Cercai fortuna che poi trovai
la scorza dura di un domani,
una fitta rete di corte braccia,
gambe storte e silenzi curvi
in fili di illusioni al cieco neon
su battute strade di solitudine...
Semmai la sorte mi reclama
che ella il mio nome
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Perdigiorno, perdisera,
avvizzito spremi il fiato
e ti sbrighi una preghiera
che ti reciti in passato:
Da che prossimo son stato
a remoto già che ero,
di più il tempo ho trapassato
con due spilli di pensiero...
Perdisera,
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Semina gaia la bruna terra,
in nutriti solchi di autunno,
fragor di pace e mette in guerra
sanguigne le bacche del viburno.
Lì, per la brulla cavedagna,
a pien polmone respiro,
seco le calende ore di campagna
ed il sol che allegra a tutto
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Invitta, seduzione di sè,
asfittica illusione, indomata,
come sulla chioma di un re
spettini, ossuta, la testa
ritta che assolvi la croce,
e risolvi ogni pena una ruga,
seduci, eppur sottovoce,
come il sogno prosciuga.
Seducimi ancora,
bellezza
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Cacciami dal cuore
lo stolido trambusto
di spine accese di rose,
con le tue dita argillose
di piglio, di gusto
modellami il cuore
e lo scandire
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Ignavo,
viandante,
per caso,
al suono stringato
di dodici corde
in filo di lana pregiato,
l’abisso,
di tiro preciso,
che vale
un sospiro,
mi tende
un agguato:
Il tempo si tace!
Tace la quiete
e non plagia
più i sensi,
la
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Di me abbi una complice pietà
oltraggiosa ruga, consacrata
ad indole speciosa di verità
che mi tramonta la vita, deposta...
Di promesse affannose,
reiette al mittente,
abusata ne ho ogni dose,
acciò tramortiva, a iosa,
chi mi fosse
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Tendimi, cava, la mano
che raccolga gli umori
in un retaggio di saperi,
come i teneri covoni del grano
serbar sanno la sete in corpo
così, di vicoli di aria cibarsi
e dei cicalii del vento fidarsi
onde fugge, a voce, un corvo...
Premimi,
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Coriaceo Gioir Vanesio,
di ritto profilo puntuto,
poco, dinanzi, di serio,
più lasco, di busto così, paffuto...
Non ti gioisce la bocca,
eppur di lavanda risciacquata
non ti ignora la mosca,
proprio lì, sul mento posata...
Se poi ti rallegra
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Chi riesce, riconosce
il bel lustro di Sirena,
tra grilli e trilli, varie ambasce
e croccola la schiena,
con ai piedi le calosce,
si tiene, stretti, i venti di bolina...
Di per giù la china,
dell’onda di maestrale,
ammicca cristallina,
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Lo senti, scalpitio furioso,
prosciugarsi galloni di parole,
il richiamo all’oblio borioso
di un primitivo animale...
Udir di cantilene, animarsi
i precordi ai brevi tamburi,
il cuor, appreso, di pene agitarsi
addentro dapprima e poi da
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Bandiera a mezz’asta,
una mezza tunica nera,
di un grido, soffocato appena,
trema la umida terra,
e un silenzio morboso
trattiene a lungo il fiato
per sugellare, rispettoso, un addio:
Alzate l’architrave, Carpentieri!
Per questa porta di cielo
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Un esodo, di nostalgia
e di inesorabile arsura,
nel petto, svuotato, infuria
con indolente litania:
Che possa durarmi la vita
di un solo eterno secondo,
ripetermi perfino il mondo
con un solo schiocco delle dita!
Preghiamo:
“Con Te, Buondì
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Gesù, Giuseppe e Maria,
venite ai primi banchi,
-per giusta cortesia-
che i nostri attori, sono stanchi,
han provato fino a tardi,
e siam solo
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Generale:
Su, in attenti!
Tre di tenenti
a un caporale:
Serrate i ranghi,
onori ai Numi,
lustrini bianchi,
ugual costumi!
Soldato, Semplice Fedele:
Non pervenuto!
Grida di aiuto:
C’è un infedele!
Fedele Semplice
giacque in
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Il formicolio del mare,
mi consola, trepidante
dei tesori, quel di luccicare
occhi, attributi di un pudico amante...
Veramente!
Mi consola,
il sangue buono,
non resistere più solo,
mi emoziono,
e ti ascolto
conversare con il
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Tanto ardire, non oso
né tempo arretrare, nemmeno
di un piede terreno,
avanzare di tanto, non oso...
Oso, dal fruscio del vento
rifarmi ingoiare, eppure
a una linea di ombre più scure,
oso, ridarmi, più attento...
Tanto sentire, richiedo
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Si consumerà, presto o tardi,
questa mirabile farsa, malriuscita,
in presenti monocordi,
impunemente, prude avvinta la vita...
Di dentro, immoti fuochi
anelano, accesi, la fiamma,
e sapienti scintillare gli occhi
di imperitura calma...
Di
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Palpito di materna suzione
esplode, le impresse radici,
viscerale, nativa commozione,
il diapason nei figli audaci...
Veglia il futuro di note corte,
lungo il cammino, adagio
lievitar fin nelle sporte
di gravido motivo
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Sposa velata,
di frivola accondiscendenza,
tutta segreta serbi, la scienza
per orgoglio ferita,
non condanni
i crocevia del fato,
dei primigeni veli del passato
il capo commosso adorni...
Sposa affrescata,
di litigati sposi,
schiva bellezza
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Mi è bastato accarezzarti
soffice bocciolo di rosa,
-mai appassisci-
nella cripta dei ricordi,
che risplendi le mie gioie, fidata luminosa...
Per Te,
che alle leggi sfuggi
di profeti e naviganti,
mi spremo oggi
di curiosi raggi,
vividi
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Fuorché i sensi mitigare
e scelerare le emozioni,
il contratto con il Cuore
declamo, senza inibizioni
e sovente, ci si pensi,
come di una serenata
solleticare tutti i sensi,
pur di carica risata...
Fuorché anatemi blaterare
e sublimar la gola
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Lascia che sia frequente
lucido un bagno di piacere,
in acque più profonde,
lascia che sia il mare
a guidarti tra le onde,
e lasciala affondare
la voce che ti offende,
e fai cantare il Cuore:
Amore che vieni,
tristezza che vai!
Più forte lo
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Non si vede che un moncone
di luce raschiata,
da affondi afosi del solleone,
mi guardi, imbronciata,
quasi fossi un equilibrista,
trattengo il fiato,
vuoi che per una mia, di svista,
dannatamente, fosse il mondo crollato...
Il mio cuore hai
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Universo d’intorno,
di labile velo promiscuo
suscita il vento notturno,
fra le pose di nebbia, distinguo...
Discerno dei sogni i colori,
di più accesa impressione
narrate le storie dai fiori,
da lontano, il latrato di un cane...
Universo
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Son tornato al fuggevole arbitrio,
un provato trascorso,
nell’arroventato patio
di casa mia, scottato dal rimorso:
Bramosia di ingegno,
di ingannare il mondo,
che reclama il pegno,
sempre e fino in fondo!
Una risposta, or mi sovviene
non
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Non ti curar di me,
-se posso-
immolerò sorrisi per te,
per questo rivo di breve corso;
la mia scialuppa, un fascio di mani,
-se faggio o betulla-
accusa incerta un domani...
Non ti curar di me,
-se devo-
con ogni gioia tiferò pe te,
per già
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