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 ♦  Pierfrancesco Roberti    |           | 
   
 
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            Alessandro Accorinti
            Le 23 poesie di Alessandro Accorinti
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        Con te ho danzato in un’umida piazza 
come in un girotondo di bambini. 
Sembravamo lontani e poi vicini 
vortici di cucchiaio in una tazza. 
 
Sentivo infrangersi la mia corazza 
e non mi dispiaceva esser cretini. 
Non sono mai ripidi gli scalini 
per chi
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        Tu che giudichi  
ignori i sentimenti 
che si celano dietro 
ad un sorriso spensierato. 
 
Che sai dei girotondi 
furiosi cui si piegano le membra, 
degli intimi lamenti  
che incidono su pareti  
sentenze indelebili 
e dei rimpianti e dei rimorsi 
e dei
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        Non so se è sol capriccio 
o lieve turbamento. 
Tanto tempo è passato 
che la cenere ha coperto la fiamma 
e il freddo ha lasciato entrare nel cuore 
che dei modi e moti suoi 
non ho neanche il ricordo. 
 
So solo che è triste il
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        Sono così distante 
da questo vociare confuso 
che le grida e le risa 
sembrano frammenti di sogno. 
 
Ti vorrei
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        Mi basterebbe un bacio 
su questa panchina di ruggine 
e due mani che si sfiorano 
vinta la timidezza dell'ignoto 
e due sguardi che si amano 
senza osare incontrarsi 
per credere di nuovo 
che si possa amare, amati. 
 
Ma son solo su questa panchina
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        Non ho bisogno di molto denaro,  
nè della fama che divora 
nè delle attenzioni di un re. 
Lasciatemi pure
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        Divoravo rabbiosamente le 
piastrelle di quel balcone 
mentre si spegneva, vicina, 
l'ultima sigaretta dello zio. 
Tu rimanevi lì, immobile, 
a fissare quel sole, stanco, 
di fine agosto che 
sapeva di addio.  
Il rosso friggeva gli occhi 
di
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        V'è un treno che non ha meta alcuna 
e mai si ferma in polverosi lidi 
a rifocillar le fesse membra ché  
non conosce stanchezza né fatica. 
Vuote le carrozze, liberi i seggi, 
solo abitante il macchinista svolge 
il suo perpetuo
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        Commosso dalle 
profonde vulnera, 
sento come 
di demone grido 
incavalcarsi su per 
le membra 
e appo l'ombra 
di quel che fui 
o pur tal mi credetti 
lascio perire 
credenze vane e  
vane illusioni 
cui fui educato 
o educar volli me proprio. 
 
Di
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        Orda caotica dell'umana  
gente siete forse speme? 
Forte l'un di subalterni cinto esulta 
Sprezzante l'altro sulla scena
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        Diversi tempi nel Tempo 
il tuo e il mio. 
Nascer non poteva 
fiamma d'amor 
ch'entrambi allor cingesse. 
Quand'io ardeva 
tu non capir potevi 
come accenderti meco. 
Non ancor matura ti volli. 
E così tutto perì. 
 
Non tuo né
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        Dicevan gli antichi: 
"Non puote esser in terra 
rosa che non perisca, 
fiore che conservi eterna 
la sua propria bellezza". 
Ebbene potremmo dir 
alla genìa passata 
che in fallo furo e non poco, 
che una rosa nove e mezzo lustri
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        Non sei amico 
se alla mia gioia non prendi parte 
e fallace ritieni il mio dire. 
Non sei amica 
se simuli parole belle ruminando 
quando il tremore della voce ti tradisce. 
 
Dì pure che non mi sei amico, 
che tanto grande è l'amore per
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        Per il giorno tetro 
e il plumbeo ciel 
tra le convulse 
spiegazioni 
e i sinceri sbadigli 
di tacita disapprovazione 
che voi con me, 
coriacei automi, 
avete condiviso, 
vi dico grazie, amici. 
Per la gioia  
delle
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        Se ancora la tua candida voce impastata  
riempisse gli antri vuoti del mio cuore 
saprei forse di che tempra forgiare 
le mie tristi molli membra 
ma del dolce tuo dire, ahimè, 
non mi rimane neppur l'eco. 
 
Le tue parole eran profezie 
che
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        Amor ch'assale e travolge  
senza tregua lasciar 
per te non ho pace. 
Riponi, venerea prole, il crudel 
tuo stral nella faretra 
e lascia un po' di respir 
alla mia anima inquieta. 
Morfeo furente con me s'adira 
ché sol sottrarmi oso alla sua
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        Che sarei senza te Musa, 
guida dei giorni miei più tetri, 
luce che il pozzo nero dell'anima 
rischiari perenne 
se pur sottile facella? 
La noia e il fastidio 
avidi padroni sarebbero e crudeli 
della pochezza mia, linfa 
che dai freddi
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        Sempre 
nel cuore 
il ricordo 
giace 
silente 
sopito 
come animale 
in letargo. 
Ma 
tutto 
riaffiora 
quando il pensiero 
labile 
cede 
al vago 
tristo 
desio del passato. 
Il dolore 
prima lieve 
puntura d'insetto 
ramingo 
poi spasmo 
tremito. 
Un
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        Sei tanto bella ai miei occhi 
che una dea mi lascerebbe indifferente 
se decidendo di mostrarsi a un mortale 
da me giungesse. 
Se Zefiro sbuffando ritornasse in terra 
per ricondurvi il bel tempo e i fiori e le erbe e 
la primavera candida come la neve
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        Parevami eterno ieri 
il tempo del nostro amore. 
Io ti mirava il bel sembiante 
che il raggio lunare trapassando 
la coltre silvosa discopriva appena 
e del tuo riso m'inebriava lieto. 
E avria creduto di parlar  
con una ninfa o altro spirto 
arcano
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