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nello vittorio maruca
Le 377 poesie di nello vittorio maruca
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Poiché di senso motto ne hanno dato
tanti, potrebbesi pensar che troppo
valga, m’ inver da fogna va a fallato
e mai rimedio alcun fu da rattoppo.
Tanto che da sguaiata opina meglio lato,
e verso osceno corre allo galoppo
per porsi a primo
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Dapprima pensato avea che fossero,
per parente sembianza, degl’umani,
ma dagli atteggiamenti che fur strani
capii che d’umano nulla uguagliassero.
Credei, perciò, striscianti confacessero,
m’avvidi, tosto, di pensieri vani
ch’anco
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Lo poco te tengo m’è d’abbondanza,
campo nell’umiltà e in semplicità,
pensar’esse donami vivacità
e vivo del domani ‘n speranza.
D’essa da piccoletto teng’usanza,
con maggior forza ch’è sincerità,
che
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Qualche strisciante ho visto: più bipede,
su d’un piazzale levigato d’oro,
crescere all’ombra d’albero d’alloro
che rodere di larve non prevede.
Così dispensa linfa in tutta fede,
finché radice un dì presenta
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Se un decimo tenessi d’intelletto
dell’aretino, re de li sonetti,
questi versi che son meno d’inetti
avrebbero migliore altro concetto.
Parmi, pertanto, esser quale reietto
opinando assai miei bassi concetti,
ma ‘n speme che mente alcunché
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Colore di livrea di tal striscianti
varia ‘n stessa specie, tal ch’è oneroso
per quanto vuolsi essere voglioso
qual d’essi siano sicure varianti.
Quel ch’io scontro e pace non terrò avanti
è di specie ‘l peggiore, ‘l
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La scarsa fede che core mi tinge
d’ opera di Colui che tutto regge,
cui nemmanco piccol’ inezia sfugge
e a pacatezza tutte menti spinge,
per quanto poca ne sia, mi sospinge,
e da alma a corpo tutto me sorregge,
scrive pel mente idee, che poi le
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Se corvi, quaglie ed altri migrano
a stormo incapaci di tener rotta
da soli, è meglio d’aquila condotta,
pure se comportar mostrasi strano.
Chi vuole di regno essere sovrano
non sale su d’altrui altra corvetta,
che solingo va ed altri non
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Questi miei versi che rider non fanno
nel dire duolo che affligge tua alma
perché li malori mai da te sen vanno.
Pur se appari dolcemente calma,
la notte sent’io, però, tuo affanno
perché di male, ahimè, tua vita
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Viveva un dì lontano, nelle Antille,
un frate cappuccino a nome Achille,
portento in carità, cultura e stile
amor teneva a blasonato e vile.
Addosso un saio avea e una bisaccia
in giro iva col vento e la bonaccia.
Scendeva da sul
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Abbondo
Mi fu Rinaldo a tergo ad ogni incontro
a fin che mi portassi a sua dimora
per li favori concessi alla sua
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Nulla ch ‘n terra appare nasce da caso,
ch’ess’è disegno dell’Immens’Iddio,
ch’altri,’n nessun loco, tien sì alto naso.
Elia che per volere del gran buon Dio
fu su carro di fuoco ‘n ciel rapito
e non morì: indi restò nel
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Calma era la sera, ‘l mare placava,
Antonio pescator scivola barca,
in ansia, moglie Lisa, lui pregava.
Non ire amor stanotte alla ricerca
ch ‘n petto tengo stasera triste doglia
e cor dice velier acqua assai imbarca.
Capisc’ amore ansia ed anco
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Nullità
Indugiato son stasera sul di Dante
Divin libro e lo leggo fino a quando
d’amante, la dannata, dice a Dante.
Dell’Inferno, indi, sosto al quinto canto.
M’accosto al canzonier dell’Aretino
e mi fermo al finire di sestina
là
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Se in una casa la sporcizia regna
cert’è chi dimora spesso s’assonna,
che se in essa fosse virtuosa donna
di disordine sarebbe molto sdegna.
Allor farebbe appieno quanto convegna
seguendo li consigli della nonna
e quanto mamma virtù
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Io so per certo d’essere nessuno
che solo Uno n’è ch’è qualcuno
e come me, nel mondo, li milioni
tutti eguali, erranti, tutti zucconi.
Chi, quando lo vento rabbioso spira
pote fermarne con un gesto l’ira?
Per quante scienze seminate
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Invia un messaggio privato a nello vittorio maruca.
D’andante ingegno m’ha provvisto Iddio,
perciò stesso pensier ritorna ‘n sogno,
ma all’apparire d’aurora già spario.
Comparso, però, stanotte fu ‘l Regno
ch’avea ‘n Sua cima porta rilucente,
che ‘n terra visto avea nemmanco
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Chi altri se non Tu, Donna casta e beata
pote dar pace all’ anima dannata?
Chi più di Madre po’ largir perdono?
Chi altri tiene ‘n core sì tanto dono?
Tu a ribaldi porgi nobile core,
Tu che ‘n croce piangi Frutto d’amore,
in
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Quanto la mamma aveva ‘n pett’ascoso
era però su labbra a figl’impresso
così, quel dì che m’ero doloroso
pel lo travaglio che m’avea depresso
fu ‘n petto infisso su piaga rovente
tanto che parmi affrettasse decesso.
Quel che
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Spesso nell’ombra si restan le menti
che loro altezza petto più nobilita,
quind’ amano a bagliori lumi spenti.
Sol’essa conosce idea recondita
e la fa d’altri quando ad altri serve
e se a quell’altri sa ch’essa è gradita.
Di menti
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Ciascun’uomo in teschio tiene cervello
custode d’intelletto d’Altrui dato,
né alcun potrà virar tale
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Ora piango quell’ore
che tanto ardean d’amore,
ma ’l freno del rossore
espandeva pallore.
Maggior desio infiammava,
ma lingua incatenava
e corpo anchilosava
ed arto non piegava.
Pel causa di rossore
mi persi grand’amore,
e ognor dolmi lo
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Senza che manco n’avessimo scienza
quel dì la santa Messa disertammo
e per chiassose vie insieme andammo
e del tempo non avemmo coscienza.
Della scuola parlammo e sua valenza,
sulle vicende mie ci soffermammo
e pur su nostre idee ci
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Lento parea a noi trascorrere d’anni
acché giungesse fine ciclo di studio,
invero mai fu, però, alcun
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Li nobili gesti e dolce movenza,
lo radioso viso, l’occhi splendenti
erano per veste bianca finimenti
che ad essa maggior
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Su barca a remi, senz’alcuna vela
l’amor m’ha trasportato ad altro lido
alfine che di duol tutto ti svela.
Vorrebbe dir di can quanto son fido,
narrar di me per te la gran passione
e quanto ‘n te per tutto ‘n te confido.
Ire altrove,
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Colui che in trono posa lascia lo segno
dello pugnale infitto entro lo petto
ché di tale malvagità è figlio degno.
Tutto nega quanto che prima detto,
de li discorsi fatti null’ ammette
e d’ogni sua parola nega concetto.
Di
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Quando sole ‘n mare cala e s’addorme
e sua luminosità segna lo scuro
comincia ’n alma mia roder lo verme
e sorgere d’alba è sempre più duro.
Lo cor m’è tetro più del primo giorno
che tempo avanza lento e non
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Una lacuna e struggemi l’affanno.
Qualcosa che dissimile m’appare
ed ecco comparir tosto lo danno.
Porto, perciò,
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Or se qualcuno si crogia di mio duolo
a quel qualcuno dico: sii migliore
che già di pianto per malore colo.
Se ‘n pazienza pur tu mi lasci fore,
ch’alma tiene di te miglior pensiero
rovisti in piaga di dolente core.
Or se quel nostro dire
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377 poesie trovate. In questa pagina dal n° 31 al n° 60.
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