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Claudio Toccafondi
Le 264 poesie di Claudio Toccafondi
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I tuoi baci che ardenti
mi divoravano l’anima,
le tue morbide carezze
che mi stordivano il cuore,
le tue mani frementi
che mi rubavano la vita,
tutto di te ho saputo;
e speravo riprendere
prima che divorassi, regina, la mia mente,
la dolce
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Poiché la notte visiti i miei sogni
ed al mattino e per il giorno tutto
resto preso da strano turbamento,
dell’assenza di te che in questo tempo,
vicino all’orlo della vita, sento
più forte, come un lembo fosse tolto
a me del corpo mio
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Vestigia nulla
retrorsum
Le tue orme accanto alle mie
disegnavano un doppio binario;
ora, soltanto due rotaie, segni di me,
solcano la terra. Voltomi indietro,
non vedo alcuno scambio, anche lontano,
che m’indichi ove sei, che strada hai
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Sul volto segnato come antica luna
porta incisi i nastrini delle guerre
sofferte e le medaglie vinte
e lealtà e coraggio e freddo ingegno
leggono ancora tutti nel suo sguardo
fiero: bella fotografia
orna la tomba vuota che lui
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Sapevo di amarti da un tempo infinito,
che nel pensiero di te si volgeva;
non amico né affetto filiale
né cosa alcuna del mondo
hanno mai avuto potere
di scuotere l’istante onnipresente
ove sognare te. Hai mai compreso?
Eri
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Spunta un gelido giorno
nei vapori che il sole nascente
solleva dal volto del lago
grigio di umido freddo;
qualche raggio scintilla improvviso
sulla brina che copre
i fiori; lentamente tralucono i colori.
Una lacrima si sperde sulla gota
immota,
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Medice,
cura te ipsum.
Com'è difficile entrare nell’animo mio, io cerco
di capire e il senso sovente
sfugge a mia vista interna, seppure anzi
vista possa chiamarsi
un senso che nulla sente davvero
se non talvolta insane paure,
o
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E’ l’alba di un giorno d’estate, ancora
riposa il mondo che placida notte,
accarezzata dal lieve sussurro
della risacca del mare
quasi fermo, ora appena increspato
da un soffio sottile di vento,
ha cullato con cura di madre:
è la brezza di
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L’umido vento del sud sul balcone ha lasciato
lunga una fila di gocciole d’acqua lucenti
che scompongono i raggi del sole nei mille colori
che il gioco di prismi minuti e di specchi insueti
moltiplica, esalta, spettacolo nuovo alla vista
che si
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Il giorno volge al tramonto;
si placa pian piano il libeccio
e poco a poco anche il mare
che il vento teso incitava
a lunghe onde pesanti.
Risuona ancora il frastuono
della risacca contro l’arenile
e il tuono dei flutti sui massi
posti a difesa
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Ricordi i nostri passi
quando fuori dal porto uscivamo
per salire il sentiero
scavato tra i massi
enormi, lasciati in passato
dai titani che qui dimoravano,
e svelta saltavi salendo
la via faticosa
che te nolente faceva
stillare gocciole
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Orme confuse segnano il cammino
percorso con la nuova compagnia
di una imbelle vecchiezza
che riflette l’errore in cui
negli anni verdi,
stolti e incuranti di realtà diverse,
ciecamente fidiamo, essa fingendo
a noi stessi qual fase
di
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I miei passi sul selciato
vacillanti, incerti,
come quelli di un bimbo
che cerca la mamma;
sono sordi e spenti.
Finì ormai
la ricerca di amore
e nel cuore è silenzio,
assordante
implacato,
il silenzio del vinto
il cui grido non
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Me fa spece de voi, signooora Nanna,
voi vivete siccome de ´na spanna
fusse ´sto monno sott´ai vostri piedi
e m´aricordo che, quanno ch´agnedi
a la Madonna de la pace a chiede
ch´ er matrimonio de mi´fijia
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Assenze mi circondano, vaghe
Apparenze di regioni lontane
Che il cuore ricorda a fatica
Come cose un tempo perdute
Forse dopo lungo cercare,
Su cui la memoria ha disteso
Un lungo drappo di cenere
Dal lieve odore di carta
Antica, che quasi
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Ora non ho più difese da quando
nel sogno, quasi desto da amore
ancora inespresso,
ho lungamente sfiorato le labbra di lei con le mie
mentre lei ricambiava,
immersi entrambi in un dolce ma teso bisbiglio
che vibrare le labbra faceva, ali
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Con impeto rabbioso soffia
libeccio violento e afoso
fradicia di umidore
ogni cosa squassando
con folli refolate.
Scroscia brutale acquazzone
muta strade in torrenti
vorticosi di fango;
dietro i vetri mi illumino
di lampi e il fragorio
dei
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Ho raccolto con mani
ansiose il pianto
delle creature.
Il palmo sento
bruciare come se veleno
antico fosse
qui sparso; occhi tristi ho rivolto
alla bellezza cupida:
sul volto
provai il calore dei raggi,
ma orbite vuote,
calcinate da
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Ho gridato il tuo nome in fondo al mare
tra grotte profonde dove scintillano
curiosi esseri, multicolori
ondeggiando tra i
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Pioggia. Da giorni ci assedia
fredda, monotona, triviale, ricopre
tutto di un velo umido, morto, viscido
di miseria sudicia, prona al suo destino,
che ostende malattie e d’esse piaghe
infette di pioggia sporca, pesante
che fiacca umano
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Il tuo ritratto scolorito dal tempo,
anni tremendi scorsi
per adattare la vita
al vociare vacuo del mondo,
riverbero dal cielo
come suono di grande arpa si fonde
col lontano sapore
di sognata esistenza neppure
tentata, di te privo,
ridesta
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Nonno me dai ‘n pochetto de ‘sto vino?
Nun pozzo, Benede’, sei troppo ciuco,
‘sto vino a te? Te vie’ male ar pancino
dicono tata e mamma, ma si fruco
ne la memoria mia de me bambino
me pare che mi padre, drent’a ‘n buco
ner muro, chiuso da ‘no
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Chi mai potrebbe raccontare a un cieco
cosa sono i colori? Forse il nero
che lo circonda, ma non è colore,
sebbene assenza d’esso. Ed al di fuori
di tanto nessuno potrà rompere quel vuoto
lasciando quindi al menomato solo
l’inappagata
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Quale bambino indifeso la notte si turba
desto da prima dell’alba nel buio più nero
che non ha cuore di alzare la mano a scattare
quel nero pulsante che lo muta in un attimo
in dio, che con semplice gesto fa scaturire
divina luce che fuga
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Sogni irosi mi appannano le notti
affannose, come gelidi soffi
spirati da demòni incorrotti
da spasimi di pietà, sì che goffi
sono gli scontri inani che nel sonno
l’inconscio trae dalle membra assopite
mutando in grida soffocate
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Homo sum, umani nihil
a me alienum puto
(Publio Terenzio Afro)
Chiesi agli dei del cielo di esaudire
i desideri folli che dal cuore
mio, troppo pieno di dolore
erompevano in tumulto disperato.
Mi udirono gli dei ma per giudizio
loro supremo,
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Quann’ero pischelletto me pareva
d’ave’ vinto chissà quale battaja
perché senza fa’ a botte, la marmaja
de li bulletti della scola aveva
de me rispetto come si capito
avessero che mejo sta’ lontani
era da me si arza’ le mano o ‘n
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Carpe diem, quam minimum credula postero
Orazio
Ci acceca di gioia di sole
un raggio riflesso dal fiume
immenso di vita mortale
in cui trascolora la nostra
esistenza adusa a fatica;
così similmente ci priva
di saggio vedere una
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Jersera qua è passato er sor Fabbrizzio
e semo iti sotto ’n der giardino
dell’ospedale ‘n dove sto, pe’ sfizio
de fa’ du’ passi e, perché no, ‘n tantino
de chiacchiere sui tempi ormai passati.
Ma 'na parola tira n’antra e dunque
se
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D’alba fredda e tranquilla nasce Aurora
di nuvole rosate, maestosi galeoni
scorta del sole ancora a noi celato,
s’àncora ai colli dintorno, di sé accende
paesaggi dolcemente reclinati
sulle pendici verdeggianti
di prati morbidi d’erba
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264 poesie trovate. In questa pagina dal n° 151 al n° 180.
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