Sei tu o gioventù
forse
il frettoloso scorrer dell'attimo,
il fragile rinnovo dell'amore,
nutrita al seno dell'universale meccanismo
così desueto al moderno pensiero
che già ti fa, o gioventù,
nel tuo
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All'inizio un vagito,
un ricordo di un ancor prima infinito,
forse solo perpetuo moto,
dell'oscillare nel presente, del remoto tempo.
Attraverso il freddo prisma, una sola luce rigenerasi nei tanti colori,
grigi o rosei limiti di uno spettro
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Mai
conservasi di nube la forma,
si, che la libertà sua essa difende
e, mentre l'umano sguardo fa dell'attimo suo,
della sua immagine nel ricordo prigione,
lasciva di forma la realtà già cambia.
Nello spazio di un solo
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Due cavalieri,
due assurdi si incontrano, il destino e la vita.
Ora l'uno di fronte all'altro con un solo un dio che fra i due deciderà.
O Dio se esisti,
prego te e il tuo favore
ma intonso è lo sconforto e duro è il mio
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Storia che t'incatena all'imo del tempo,
nella radice profonda
fra dura roccia
dove sortisti e
secolare ancora resisti
curvo, consunto,
ma non ancor vinto.
Sorte mai sconfitta,
fa àncora ad ogni tuo anelito di
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Ed era solo un chiodo arrugginito
un sogno mai riuscito,
L'America di tutti i poveri
un paese ancora da trovare,
poi ho scoperto che sognare
è ancora individuale.
Il sogno a ripetizione ancora non esiste,
chissà,
forse sarà
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Utopia resisti,
e dalle ceneri tue risorgi,
nei più fastosi e tetri templi,
immemore dei perduti e semplici maestri.
Avvolta in cataclismi
che l'umanità fanno sconvolta,
hai già perso quella umana madre
e la mano
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Vaga il piede mio, gravato
sul limitare dell'umano orizzonte
dove lo sguardo non trova
nel sapere risposta
che plachi la sete.
E come in deserto,
migrante granello m'osservo inutile,
mosso nel vento dell'arida eternità.
E di me
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Stava la pace,
li
dove ogni vita,
del silenzio si pasce
e
nell'assenzio d'immensi,
decantata da amore, da odio e paura,
senza colore
priva del tocco dei sensi,
li
dove ogni cosa tace,
senza madre,
come non ebbe mai natura,
perché
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Poesia giunta al tramonto,
nell'ironia
sei costretta a vagare,
fra tecnologia e antichi riti
di bianchi veli davanti all'altare,
dove l'amore s'andava a consacrare.
Ora chi parlerà del rosso sole?
del suo tramonto?
non più magia
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Si veste la vita in geometrie di sorte
che stessa tesse.
Sgomitola l'eternità,
intreccia atomi con mani di fuoco
crea soli e cosmi attorno a me.
Eppure io figlio suo
piango per lei,
lei l'unica dea prigioniera di se stessa
nell'eterno
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Cerca la poesia:
Invia un messaggio privato a Massimo Pucciarelli.
Conosco le sue vesti,
sono semplici, povere,
mai sgargianti mai impudiche.
Chine le maglie
come la figura che le indossa,
la schiena rotta,
solo un uomo chino sull'orizzonte,
nulla più di questo.
Non chiede pane, si vergogna,
impreca in
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Sospingo lo sguardo nel buio,
misto al sospiro che devo,
come domanda l'anima mia.
Lì nel profondo, in ciò che non conosco,
lo sguardo è attratto da una stella,
non l'unica, eppur li si sofferma,
non chiede conferma che sia la
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Ora nel porto
grumi di salsedine su bitte corrose,
assorbono la vista,
mentre nuove onde corrono all'orizzonte,
anche di quel destino, ancorché sia il futuro,
già la sua traccia
é in loro scritta.
Croci marine non
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Eppure nel riflettere con virtù di luce,
la comune strada vidi oltre l'abbaglio
ma spine pungenti divisomi dall'agognato frutto,
mi diedero nel pensare sul mio proseguir nel certo.
Che il fare comune,
sia il bene, s'ha da dimostrare
e si
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Di colore ora privo,
vuoto resiste il solco.
Solo,
resta di lui la fredda riga,
non più arricchita dai frutti suoi,
in quell'estate ormai finita.
Rimasto è,
come un rigo scritto,
e non più letto.
Così la voce
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Del tempo i colori in strati,
si mostrano sommati,
verdi momenti,
ora, neri soggiunti,
in ticchettio simile a punta di pennello
nel carbone intinto,
deplodono quella trama originaria,
potrà un colore rispettare l'altro?.
Mai potrà
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Ondeggia l'attimo di gloria,
nella eco del momento,
tace la tempesta.
Relitti lontani sorreggono ricordi,
di fanti,
lì ora assopiti.
E vive la gloria sopra l'attimo,
quell'oggi che mai più verrà.
E vive la gloria, di
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Non memore ch'eppure, io naqui,
già al giudizio fui chiamato.
Attorno alla mia ignuda carne rami di spine
portavano in me il loro essere, nel dolore, la realtà.
Effimere genti nel destino vacanti,
sol giudizio del fatuo
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L'amore,
fra noi,
come un ponte,
ha unito due sponde divise.
Noi parti inconscie e distanti,
lambite dal fiume della vita,
e nella vita,
destinate all'unione.
Noi l'amalgama,
impastata nei vortici dei sensi,
che si cementati,
quando il
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