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Ma questa nebbia dove vuole andare?
È il perenne dilemma dell’Autunno
quando il mese dei morti volge al termine;
è quel che chieggo anch’io immerso in suo volto,
informe, e immane, orribile... e fatàl.
Vuole inghiottire anche i miei occhi già ciechi!
quando la mia campagna diventa ombra
e l’ale degli aironi si confondono
nel buio. Così la sera è una famiglia
d’atre nebbiose stirpi di insepolti
vapori erranti di spiriti inquieti;
e volgendo alla Notte, mi fa triste
il suo mantello spumeggiante di onde
invisibili, come se il mio giorno
trascorso fosse lasciandosi indietro
qualche desìo, o altro pegno, e tante cure
irredente dal cuòr che ora le lascia
al dominio de’ i Sogni irriverenti.
Più non esiste un mondo; le dimore
svanite sono... cadute e disperse,
le chiese, i tetti, i campanili... il Tutto,
nè più esistono quei che conoscevo,
i loro visi, le femminee guance:
costoro qui si son mutati in nebbia.
Potrei dàr nomi propri a ogni suo atòmo!
E sembra che i defunti offrano un desco
ad altri morti in questo orrendo regno,
ergendo i calici in alto, e piacchiandoli
poi sulle bare. Vi prego, compari!
non urlàtemi insulti se dall’Oltre
scorgete la meschinità de’ i Sogni
miei!... Perché sol io, solitario in Vita
resto?... Non voi gridàtemi insulse
bestemmie, oh estinti, che in prìa io vidi vivi,
se or che nel nulla dell’oìdi siete
io vivente soltanto a voi men gïo,
anelando terrestre ardòr e fuoco!...
Non urlàtemi se ora brindo esausto
alle nebbiose vostre tombe eterne!
Ma l’incubo scompare appena... appena,
e tutto - credo - torna a essere e a vivere;
e io respiro quest’aëre pesante
che dalle brume si stagna e mi opprime,
sì che mi pàr un po’ quasi avèr acque
nelle narici, e annegare per sempre,
e tra la Vita e la Morte qui stàr.
Così supplico, e dico, e sogno e bramo.
Che l’eterna fulìggine s’espanda,
e seppellisca nella terra sua
eterea le cascine, i campi... i boschi,
lo sguardo mio rabbioso e rattristato
che qui somiglia l’umido riparo
della pieve che piange a’ sacra effigie!
E mi veli il terribile orizzonte,
e allòr mi lasci ora sognàr d’estrarre
l’eroico acciaro contro il suo Titano,
e vendicàr la piccola chiesetta
nel cuòr di lui immergèndolo funesto!...
E raccolga la mia Anima l’airone
che nel suo covo si riposa e cena,
e mi canti una nenia per la Notte
l’ibis selvaggio che con lui divide
il nido, come d’Antonio Cleopatra
la Sorte!... E scoppi una tormenta infame
di nebbia urlante più dei càn da guardia
agli spettrali cancelli dell’aie!...
Ma perché il pianto mio non ha più termine?
E ti conosco apparizione eterea,
il guardo tuo nella nebbia, e il mio inverno. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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