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Ci siamo avvelenati
intossicati da una nube che comprime il cuore
non ricordo bene quel giorno dove eravamo
cosa facevamo e in quale filo eravamo sospesi
però ricordo il vuoto sotto i piedi
il precipizio e la terra che franava
eravamo infettati d’azzurro e contaminati di vita.
Adesso nelle vene scorre veleno
che arriva alle tempie e scortica il cervello
ci siamo rifugiati dentro lo stesso tempio
io testa all’ingiù, tu prostrata a scie senza ritorno
ci siamo scoperti uguali ma pregavamo un Dio diverso.
Ti ricordi com’erano imponenti le querce
tra i prati in fiore e senza trappole intorno?
Ti ricordi quando all’improvviso fece l’alba
ed io mi sono ritrovato nudo al bivio
tra un sogno isterico e l’istinto di volare oltre la palude?
Quel giorno riempimmo ampolle di siero e di carne
strappammo gli occhi agli angeli
e trafugammo luce dal cielo di ghirlande
quel giorno non volevi farmi andare via
e volevi rapirmi l’anima
ma la mia anima è chiusa a chiave nelle patrie galere
vive nell’abitudine e nelle miserie
tu hai cercato in tutti i modi di forzare le serrature
per oppormi ti ho morso il collo sette volte
e sette volte sono morto
e ti ho morso i seni sette volte
e sette volte sono risorto.
Adesso che il sangue mio è amaranto
il vento lambisce le ossa e non distinguo più
l’alba dal tramonto
segno il passo e sotto la lingua
ho tracce di cicuta e ragnatele.
Non è facile tenersi estranei
da quest’onta di sabbia che travolge
facile è ritrovarsi ciechi nel deserto delle ostie.
Raggrumo saliva e non ho il sopravvento su me stesso
aspetto solo di essere condannato e giustiziato
per apologia di coscienza.
Chissà se ci sarà il tempo per rimediare
scontare la pena e ritornare pulito più di prima
per guardare le nuvole sfuggite agli itinerari
un attimo prima che si faccia sera. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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