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Oh figlie delle risàië! or e presto
sovverrà a voi l’angoscia del nascente
autunno; e lì, per i vostri capelli
di bionda dama che attende fuggèvole
il trovatore della mietitura,
e le canzoni sue, lì, dove or siete,
così svelto, oggi, o
forse domàni, vedrò io alzàrsi oscuro
il bieco stormo dei corvi che fùggono
le funèree carezze di una falce,
e le rimaste paglie - orbe e infeconde -
e qui il vacuo richiamo delle fiamme
di questo rogo che - erètiche al fàscino
del mosto - le arderà, un dì ei dissolvèndole
nel cènere delle prime foschìe,
il sospìr di settembre.
E osserverò io il crepùscolo che è ordìto
da Ècate e dalle Pàrche e dai Titàni
con i rapìti istanti al mio meriggio...
ei che è così costretto tra le fresche
effìgi dell’estate e le pìccole nebbie
di quello che avverrà, quando io udrò dìr
che agosto è morto e che ora avrà ei il suo regno
nell’Èrebo dei perduti miei Sogni,
e delle ricordanze, ei, chiuso a chiave
e custodito da una nostalgìa
che si rinnova e si ripete, e che è
pianto e sorriso.
E più io qui crescerò, e più aiuterò
l’Ocèäno irrequieto dei ricordi
brindando tralci al selvaggio settembre,
con un tocco di miele che si confonde
con le làgrime amare della pioggia
che ha inondato il vigneto, quando al fàr
di così svelta sera e della caccia,
e di questa Natura che va a Morte,
tutto è tristezza... ed è melanconìa,
ed è terrore.
E mi sarà compagna l’onda oscura
della mia ombra che annega nell’Arbogna;
e allora il cuòr che è mio ivi apparterrà -
come promesso sposo - al tristo trono
delle brume autunnali e della Notte,
e attenderà... e attenderà impazientito
la dèbol spene della Primavera,
e forse ei si è già illuso.
Oh figlie delle risàië! su’, dìtemi!
Voi forse mi darete - indietro la perduta
gioia della Vita mia - il mio sapòr di vìvere,
la fu mia gioventù? |
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