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Tua la voce
attraverso cui parlavano gli animali,
liberando i pensieri
che logoriamo nella dissimulazione,
la voce nel cui suono
nacqui al mondo,
la voce che si è spenta,
ma intona la sua armonia,
sorgendo all'improvviso
dai tratti della tua scrittura,
dalle parole di coloro
che ci conobbero entrambi,
dal riflesso della tua luce
sui loro volti distratti,
dal sollievo che libera il mio petto
quando lo sguardo indugia
fra il cielo notturno
e i paesaggi della mia città sacrale,
nel cuore delle strade
dove a lungo mi cullò il tuo amore,
così distante dalle immagini prive di gioia
attraverso cui visiti i miei sogni,
le strade consegnate all'incantesimo,
alla tua lunga primavera,
negli attimi in cui scrivesti
la poesia della mia vita.
Persi con te l'oblio
dell'inganno più dolce,
l'orizzonte annegato
nell'azzurro del mare più intenso,
l'impostura leggera
che dipinge il futuro
dei colori che amiamo.
Tua l'assurda speranza
che nutre le mie preghiere apocrife,
il candore che non seppi serbare
né mutare in fermezza
nei giorni mendaci, splendenti
dell'infanzia caparbia,
sull'isola bella
dalle cui aspre scogliere
è appena una nebbia lontana
il continente del dolore
dai contorni sinistri e sfuggenti.
Tuo il coraggio
che mi ha abbandonato
da quando non abiti
che il santuario edificato nello spirito
dove ancora infondi la vita,
il fiume sterminato
dalle sponde remote
che fende il fragore del mondo,
attraverso le cui acque
non scorre l'amore piccolo e meschino,
la necrosi del rancore,
l'angoscia che abiura la fantasia,
ma la tua bellezza
nei sogni che ho rinnegato
senza malinconia. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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