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Dove fuggite, oh cime? Forse è l’ora,
non ti par, cuore? di dir l’addio al sogno?
e ai tuoi ricordi? E l’autunno divora
gli attimi estivi; e forse mi vergogno
di giacère stordito e visionario.
Fuggono i monti, e non posso far nulla,
e non è quercia l’ombra, né betulla;
e cos’è mai? È uno spettro funerario?
Salta, e saltella quest’ombra, e il suo nome
sarà Destino, un Mostro d’irte chiome.
Non so! Rimembro l’alpestre suo volto;
ma il sogno, il mio sognàr, ora è sepolto.
È il vaticinio d’un Poëta inquieto,
lo sai, cuor sibillino? E viene il senso
d’ignote cure; e l’autunnale feto
a nascere s’appresta dove immenso
è il mio morìr. E perché questo è eterno?
E che son se io non sogno? se non pianto?
E l’Alpe ignora quest’ultimo canto!
Ella... così innevata! e nel suo inverno!
Cinguetta il vespro del tordo emigrante,
e piange l’acqua del ruscèl infante;
e il tramonto che viene è oscuro, e inghiotte
le mie montagne, e le mie cime. È Notte!
E tu, alba Luna, vedi? E mi sopporti?
E inargenti le vette, oh tu! funesta
stilla d’un nembo. Ma i monti? son morti,
avvolti in màn di notturna Tempesta.
Cosa ho lasciato? E la mia giovinezza?
E i desidèri forse? e i miei usignoli
di montagna? e le viti e i vignaioli?
e mite il vento? e mattutina brezza?...
Un epitaffio lassù è stato inciso
sul petalo piccìn d’un fiordaliso:
la roccia ha preso i miei sogni e nel mare
li ha sotterrati delle sue aspre bare. |
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