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Se al finestrel e al far di questa sera
e alle pallide nubi ‘l guardo i’ volgo,
tra’i nugoli ‘l tramonto in tetra cera
terribilmente veggo, ond’io men dolgo,
e l’Ecate fatal pe’ una riviera
de’i torrenti s’irrora, e al ciglio i’ accolgo
l’orba pietra tombal del ciel che annotta
‘ve de’i sogni irrequieti ‘l cor n’ha rotta.
Allor nel mar furioso or delle brume
che di neve frammisto a’ stenti mòve
e che si fulgoreggia in scialbe piume
in sopra i tetti, e i muri e l’ansie alcòve,
qual pallida candela ‘l fero lume
della Luna vegg’io, e che immerge altrove
del suo core medesmo ‘l bianco aspetto
nel nugolo ch’annera al suo cospetto,
e forse ch’è la Notte o ch’è funereo
quest’orizzonte ombroso ch’è in tra’i venti,
omai nel senso insonne e al gelo etereo
nell’alma mia sen van de’ Sentimenti
che di paüra sono, e un fior cinereo
di brine si discende, e i ghiacci lenti
di nevi ancor presagi stanno e ‘l vello
ondoso ne ricopron d’un ruscello;
e i’ che le selve ammiro in tai foschie
e che i campi contemplo in falbe vesti,
e i sentieri ghiacciati e l’orbe vie,
e i gelidi covòn dell’erbe agresti,
d’in quest’autunno novo or Poësie
soävemente attingo, e i cieli mesti
or crudeli mi sono e arcane Furie
or d’in sulle cittadi e in sulle curie.
Così quasi spasmando n’odo i mori
dell’aspra Notte i fiocchi, e va la pioggia
d’in su’i nugoli carchi, e i suoi fragori
com’eco se ne vanno - e in sulla roggia,
e in sopra a’ boschi attigui, e a’ debil fiori -
e l’acqua fredda e ombrosa omai s’appoggia
in su’ tegole in alto ‘ve si gronda,
in urli di gargolle; et iraconda
co’ un tintinnio di spettri a terra cade,
e qui fatt’è dell’onde, e lì di neve,
e i suoi granel funerei d’albe biade
alle pozze si cadon ‘ve sta lieve
un acquitrin solingo, e pelle rade
‘la i monti e i rivi asperge e un’orba pieve,
e ‘l ciel ognor si spreme l’aspersorio
che all’autùn benedice e al ghiaccio ustorio;
e i’ qui di gelo n’ho la sensazione,
e un brivido all’ischiena mi percòte,
e al labbro si raggela la canzone,
e mie tuttor si ghiaccian l’albe gote,
e le brine mi son e dolci e bone
in su’i muschi gementi e antiche e immote,
e di novembre pascon or quest’occhi
in timor e piacer de’i scialbi fiocchi.
Alfin nell’aër denso ‘l campanile
i’ n’odo che ne sona l’ore in ghiaccio,
e ‘l bronzo si lamenta e parmi vile
quest’acciaro che strilla, e quivi taccio,
e pur in uggia ansiosa or mai l’aprile
in membranza ne veggo, e in requie giaccio,
e sibben mi produca un po’ d’ischerno
in ansie folli attendo che sia ‘l verno;
e forse ché la neve è fresca e molle,
o forse ché rimembra ‘l russo oriente,
e forse ché la steppa è un fiore folle
or dicembre a me lice, e l’aspre e spente -
or l’albe mattutine - in sopra a’ un colle
mi giovan tanto e sempre all’ansia mente,
e in men d’un mese ancor dell’Immortale
dolcemente ne sarà ‘l giorno natale.
Ma quest’è Notte torva e ‘l ciel è negro,
e gli spettri nebbiosi a’ cimiteri
spasimando sen vanno e un canto allegro
di risorgenti speni e in su’i sentieri
di ciaschedun lamenta ‘l labbro d’egro,
e questi son lamenti e infami e fieri,
e più funeree in vespro son le cime
del monticel lontan e reo e sublime,
e guerreschi fantasmi or sono gli orni,
e i salci ignudi e i pioppi e i tigli e i rovi,
e che spogli crudel piucché ne’ giorni
sono, e le querce ansiose e - pria che giovi -
al lasso core ‘l grido d’empi corni
de’i cacciator nel sonno; e in stalle i bovi
si riposano or cheti in sulla paglia
mentre in sonno un somaro or spesso raglia.
Or scheletri ne sono gli arboscelli,
e che afferrano mani ‘l vento irsuto,
e le foglie si piovon su’i ruscelli
del carpino che ghiaccia ormai perduto,
e notturni e rapaci i feri augelli
pizzicano del rostro ‘l cupo liuto,
e pell’aura funesta e maledetta
tra queste brume canta la civetta,
e ‘l muschio in sonno attende l’alba brina,
e i cardi e le betulle e ‘l ceppo e ‘l bosco
qui dormono in eterno - e pur mattina
addormentati ‘l vegge e in ciel men fosco -
e ‘l verno sempre più e omai s’avvicina
co’ ghiacci suoi frementi al par d’un tosco
e la sera - al terror che giace ligia -
nelle tenebre nivee or splende grigia;
e i’ che questo contemplo e alla finestra
e al vetro che notturno in pioggia piagne
e all’aër che sospira alla mia destra
in sulle torve e cupe e ree campagne,
or siccòme ghiacciata la ginestra -
le rose assiderate - in vane lagne
a tanti spasmi sono or qui smarrito.
La Natura è un mister dell’Infinito! |
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