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All’ombre de’i cipressi, e a’ crisantemi,
e in tra le fitte brume e ‘l bosco estinto
un cimitero giace, e d’anatèmi
funerei è pinto,
e pell’immenso spazio or vanno i gemiti
infami degli spettri, e al verme avvinto
un reprobo sen muore, e d’orbe spemi
si tace intinto;
e l’ignudo recinto
or lamentevolmente piagne al vento,
e semina furioso un reo tormento.
Così vagando insano a queste pietre,
e in cor di tante nebbie or le cappelle
mi si mostran spettrali, e oscure e tetre,
e l’ansie celle,
e la putrida bara in mezzo all’etre,
e al cenere funereo e all’ossea pelle,
or l’estinto ne culla - in man le cetre -
l’uom che si svelle;
e le lapidi belle
dell’innocente Morte stanno in pianto,
abbandonate un giorno, in negro manto.
Allor ansioso io tremo, e fuggo altrove,
ma ovunque qui s’espande ‘l cimitero,
e vagolando or premo a quest’alcòve,
d’ossa ‘l sentiero,
e dalla pieve in pietra in requie piove
un sudore - l’estremo - a un fioco cero,
e ‘l gufo ombroso canta e ne commuove
il ciel ch’è nero;
e lungi un monastero
tra le brume ne scorgo e abbandonato,
e cadente e tremendo e in torvo Fato.
Forse calpesto un osso, e ‘l muto cenere,
e ‘l sepolcro consunto e vecchio - e molto! -
o forse solo ‘l volto
di tante vene,
e ‘l tallone ne premo a queste tenere
ombre di Morte oscura e a un spirto assolto,
dell’Inferno raccolto
le triste pene;
e mi mancan le lene,
e ‘l recinto ne passo, e voglio uscire,
ché quest’è insano mar di vil morire!
Così di queste nebbie i rei cristalli
sugli Angioli e le croci or grondan acque
sul verme che si tacque
per ossee valli,
e secchi e fulvi e gialli
or perdendo le foglie stanno gli orni
a rimembrar a’i morti i spenti giorni;
e delle cripte infami i vil coralli
inondano di sonno or lui che giacque,
or quando un giorno nacquero
i morti balli.
Oltre ‘l legno e la pietra e ‘l veglio trave,
e al cancello che cade in ferro oscuro
un nebuloso mar di tombe cave
si sperde, e ‘l muro
delle pievi si lagna, e i spirti e l’ave
ombre cantan le nenie, e ‘l cielo è duro;
e la nebbia è soäve,
e febbrilmente copre l’orba croce,
un sonnifero infame, e pio e feroce.
Oh ignoti ossami al suol che vi rinserra,
oh bave estreme, oh vermi, oh muffe, oh ragne,
oh scheletri beffardi, oh negra terra,
oh cupe lagne!
Oh baciati da’i morbi e dalla guerra,
oh avelli e torvi e mesti, oh ree campagne!
E scorgo le montagne
tra le fronti gentil dell’aspersorio,
forse ancora cappelle, o ‘l Purgatorio;
e ‘l vento m’accompagna
fuor da questi sepolcri, al quieto bosco,
e ‘l cielo tra le brume n’è men fosco,
e in sur d’una castagna
dolcemente ne premo e senza orrore,
e più non volgo a scorger quel dolore! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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