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Le lucciole
che incrociano confuse i loro voli
saranno cento, cinquecento, mille,
sotto l’enorme cedro centenario
che si drizza prepotente in mezzo al parco.
Ho convocato qui gli amici, a mezzanotte,
e ce ne stiamo muti
nel vasto vuoto sotto i lunghi rami,
sparsi nel nero della notte nera
quasi storditi dall’incanto strano.
Pesa troppo per noi
questo stupore muto
e nessuno lo sopporta.
Francesco cita Dante
e le colombe dal disìo chiamate,
poi tace.
Lorenza ricorda Pasolini
e farfuglia qualcosa sui significati
di questa ricomparsa inaspettata.
Roberto, che congela le emozioni
nella sua reflex da tremila euro,
mi chiede se potrà venir domani
da solo, col treppiede e il trentacinque.
Carla ci chiede se per caso
conosciamo la bella filastrocca
che sempre recitava la sua nonna
(che si chiamava Carla come lei
ed era nata nel novantasei),
e ce la canta sussurrando incerta:
“Lucciola vieni,
vola piccina,
vieni da me
e fammi regina,
sulla mia mano posati un poco,
dimmi il segreto di questo tuo fuoco,...”.
Poi,
dopo la prima innaturale eccitazione,
piomba fra noi il silenzio più assoluto
e più nessuno fiata
e ci sentiamo tutti fuori posto,
esclusi,
intrusi,
qui,
del tutto persi dentro l’ombra oscura,
soli,
sbigottiti tra fascino e paura.
E i piccoli puntini intermittenti
vanno segnando tracce misteriose
nell’aria ferma e calda,
indifferenti.
Con passi cauti in mezzo all’erba spessa
qualcuno già si muove per tornare
verso il piccolo rettangolo di luce
di una finestra accesa.
E subito si snoda discontinua
una coda silenziosa verso casa. |  | 

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«Notte del 2 giugno 2012.
Foto di Pierpaolo Sala.
Vedi anche, di Amara, la poesia» |
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