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In quel quarantatrè, dai suoi albori
di quante tristi cose furon’ orrori,
quante anormali cose ebber processo
tutto in memoria bene m’è impresso.
Per quanto m’opri e sproni l’intelletto
su carta, certo, non può esser detto
quel ch’ho vissuto e con mio occhio visto
in quel periodo nero, infame e tristo.
Aleggiava miseria tutt’intorno
e pane non era più in nessun forno;
grano non era né farina o pasta
e pochi i viveri distribuiti a testa.
Tessera dava misero diritto
ad accedere a poco, grame vitto;
la fame in ogni dove era perenne,
da sofferenza vecchio era trentenne.
Prodotto non donava più la terra;
era periodo tristo, era la guerra!
Manco erba era agli argini di via
ch’er’estirpata che nascesse pria.
Di medicina, poi, non era traccia
e il patimento si leggeva in faccia.
V’era, soltanto, del poco chinino
che scarso lo teneva il tabacchino.
Nessuno al piede più avea calzare,
nessuno panni aveva da indossare.
Occhio scavato, zigomo sporgente,
testa cadente, sguardo triste e assente.
Scalza la donna, macilenta e stanca
di cenci avea coperto spalla e anca;
gobba teneva e non avea vent’anni,
curve le spalle per i molti affanni.
Ovunque era sporcizia, era lordura,
di scarafaggi piena ogni fessura;
di cimice e di mosche era marea,
pulci e pidocchi ahimè! ognuno avea.
Necessità del corpo fisiologica
soddisfava in vaso di ceramica
la donna, il maschio, invece, con corruccio
di cesso ne faceva ogni cantuccio.
Mesta sonava la campana a lutto
per annunciare della guerra i frutto;
quel tocco come freccia il cuor passava,
piangea la donna, ahimè, chi non tornava.
Per la guerra dal passo stanco e lento
altro Virgulto risultava spento
e la speme che nutria la giovinetta
era infilzata dalla baionetta.
Di fame sofferente e di stanchezza
gente che perso avea casa e ricchezza
giungeva con scarsi panni addosso
ch’al sol vederla umano era commosso.
Siamo sfollati, venivan dicendo,
veniamo da lontan, veniamo da Trento.
Avevamo mestier professione e arte
di vostre miserie deh! Fateci parte.
Dacché guerra su nostra Terra regna
destino cattivo nostri animi segna;
dacché l’odio è calato come lampo
manco nella preghiera avemmo scampo.
Noi, che poveri eravamo non men d’essi
in un abbraccio a lor stemmo commossi,
le nostre a loro lacrime mischiammo
e l’un con l’altro un solo corpo fummo.
Di militi a cavallo e giacca a vento
era un esteso, grand’accampamento,
militi erano a guardia per cancello
e avea disloco in area Polpicello,
Portavano divise lacere a stellette
e a pranzo sgranavano gallette
con poco vitto ch’era in scatolame,
per appagare i morsi della fame. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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