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♦ Giuseppe Vullo | |
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Aprile 2025 |
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Disquisire di te, del tuo sembiante
arduo perviene a me vate cadente
che altre sublimi Menti aviano vanto
con diligenza dire di tanto manto .
La testa ch’è vagante e pertinace
Non tiene pace a essere incapace
e allor s’inoltra nell’oscura selva,
tenacemente, ad affrontar la belva.
L’arma con cui combatte è una penna
che patisce dir del cervel ch’affanna,
che s’arrovella e non trova forma
l’enunciar che vorrebbe in piena norma.
Mò pare che irta poco meno è l’erta,
indi, la scritta scorre un po’ più certa.
Entra nel mezzo di folta foresta
e, caparbiamente, a belva tien testa.
Vede bontà dell’esser tuo, descrive
la dolcezza del tuo cuore, rivive
quanto grande per l’altrui hai amore
e della carità lo gran spessore.
Ma nell’andare incespica, cade, s’alza,
si rincammina, ricade, sobbalza
ma intricato di cespugli è il loco
indi la penna più non regge il gioco.
Si sfiducia, s’abbatte, indi, soggiace.
Ma sol per poco, essa, però,si tace.
Chè una penna pur debole e flemma
si scalda e brucia più d’immensa fiamma,
ancor maggior di fiamma rossa diviene
se a bontà s’affaccia e non a pene.
Qui la dolcezza, in breve, vuol narrare
d’uomo gentil che sa soltanto amare.
Di te vuol dire, Cavaliere illustre,
della schiettezza limpida, campestre
ch’altra maggior, giammai, rilevi altrove
e anco la scorza zotica rimuove.
Cuore gentile, colmo d’ogn’affetto
che per il ben’ altrui non tien difetto,
proclive e lesto a propinar man forte
e al bisognoso aprir le chiuse porte.
Se di un essere eretto già hai scritto
e anche in verbo ripetuto e detto
di dolcezza e umanità infinita
ch’ altro vuoi dir che porta in sé tal vita?
Ch’altro un uomo può aver che spinge
oltre la carità e che dolcezza aggiunge
a stile, bontà, fede e grand’amore?
Se cotante virtù racchiude in cuore
cosa vorresti, penna, dir più ancora?
Qui, diletto amor, la mente scolora
perciò t’implora a gentil riflessione
alfin che t’ammanti di comprensione
e per la mente che troppo vacilla
quanto pel cuore che in pett’oscilla. | |
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