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Con in mano un colmo paniere
di gustosi, serotini frutti,
verso casa, s'avviava
ottobre...
la vecchia estate,
dell'autunno ospite,
golosa, con in bocca l'acquolina
lo fermò
e con modo cortese,
al giovane mese, chiese
di farle gustare,
quei frutti maturi.
Molto garbatamente,
egli rispose,
che non poteva
darle niente,
per l'inverno imminente
la frutta conservava,
per farci squisite merende.
Con artifizio originale,
per poter i frutti mangiare,
cominciò la vecchia estate,
a far ad ottobre complimenti,
elogiandolo nella sua beltà,
ma il ragazzo, in realtà
bello proprio non appariva,
Autunno scalzo, rattoppato,
motoso, per il mondo lo mandava.
La furba vecchietta,
fece leva sulla vanità,
esaltando i sui tre figli,
luglio che d'oro vestiva,
agosto che damascati indossava,
settembre che con celesti rasi s'adornava,
promise ad ottobre,
in cambio dei frutti,
un nuovo vestito,
bello da far invidia anche ai gigli.
Cedette il mese alla tentazione,
non resistette all'ambizione,
d'esser un mese bello,
diede all'estate il colmo
paniere
di fichi e d'uve mature.
Estate malandrina,
promise ad ottobre,
che la seguente mattina,
avrebbe trovato, sul letto posato,
un vestito di lino pregiato.
Ma la vecchietta invece,
presi i cenci del giovane mese,
col rosso sangue, con caldo viola,
con giallo arancione, li tinse,
facendoli bollire nel calderone.
Vecchi pampani seccò,
con essi poi una bella bavera creò,
con foglie gialle di pioppo la trina formò,
con quelle rugginose delle querce,
il risvolto dei pantaloni adornò.
Quando ottobre si svegliò,
con molta gioia il vestito indossò,
preso dalla vanità,
corse a farsi dagli altri ammirare,
ma gli uccelli migratori,
non avevan tempo per restare,
ma dissero al gabbato mese,
che il suo vestito
a lungo non poteva durare.
Osò spavaldo, ottobre,
anche il vento sfidare,
vestito di nuovo,
poteva il suo soffio sopportare
ma quando questi si mise a soffiare,
le foglie volaron via,
i piccioli aridi si staccarono,
con aspro rumore,
il vecchio vestito ritinto,
in pezzi andò,
nudo e tremante ottobre restò.
Colmi gli occhi di malinconia,
invano l'estate cercò,
se ne era andata via,
lasciano terre spoglie,
senza frutti,
colme solo di gialle morte foglie.
Questa storia ha una morale,
l'eccesso di vanità
mai assecondare,
può far molto male,
l'animo in brulla terra mutare. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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