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Svettava al cielo,
chioma frondosa,
il giovane faggio,
cresciuto sulle pendici
del monte.
Superbo, passò
l'estate
a gloriarsi della sua bellezza,
nel mito di Narciso
il cuor suo affondò.
Ma sul finir
della bella stagione,
a lamentarsi cominciò,
con l'arrivo imminente
dell'autunno,
scarni sarebbero
divenuti i suoi rami,
il vento dispettoso,
il suo fogliame
avrebbe sparso e corroso.
Il genio della foresta,
un di, di lì, passò,
sentendo il lamento
al faggio, domandò
spiegazione.
Esso la sua delusione
esternò,
dicendo che il Grande Creatore,
aveva commesso un errore
e che i faggi non amava,
perché permetteva
all'autunno di sfrondarlo,
far, su lui, scempio.
Invano, il genio
al ragionar lo invitò,
portandogli ad esempio
che ogni cosa fu fatta
con divino criterio,
ma il faggio insistendo,
espresse il desiderio,
di conservar le foglie,
per rimanere sempre bello.
Il genio acconsentì,
ma quando arrivò
il freddo vento,
inorgoglito,
insultava gli altri alberi
che ne subivano il tormento,
solo lui aveva il fogliame,
era il più bello del reame.
Una notte dal cielo lieve,
scese la candida neve,
che tutto ammantò.
Gli alberi spogli non offese,
dai loro rami scivolò,
ma sui rami fogliati
del faggio,
sempre di più gravò,
fino a quando,
oppresso dal peso,
anche il tronco si spezzò.
Quando primavera tornò,
di nuovo gli alberi con foglie adornò,
ma del povero faggio,
che per ambizione non fu saggio,
solo un vecchio, marcio ceppo restò.
Triste è la sorte
del presuntuoso,
di colui che ambizioso,
vuol sfidar leggi divine,
ma se Iddio creò tutto per amore,
può commetter danno
verso le sue creature? | |
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