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| Un massiccio mi sta
davanti agli occhi.
Da bimbo.
Taburno: gigante di tuoni,
mansueta essenzialità distesa,
ombroso stregone della valle.
C'intendevamo così bene un tempo.
Ti sorridevo.
Tu eri tu: gigante di tuoni
aggrappato alla terra come una sicurezza.
Ti sorridevo e t'amavo
siderale groppone di rocce arse.
In queste notti invece vedo un estraneo
Non riconosco più i sentieri, i cigli, le scalate
Evidentemente te ne sei scrollato. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Ai piedi di questo monte, il Taburno, sono stato felice e spensierato per gran parte della mia vita. A volte l'ho scalato, mille volte l'ho fotografato nelle sue parti più intime, volandoci sopra col mio deltaplano. E' un amico, fa parte di me, la sua stabilitè è anche la mia. Qualche volta l'ho perso di vista, mi è sfuggito, non sono stato più in grado di riconoscerlo di trarne la forza, la fermezza d'un tempo. E questo di questa poesia a è uno di quei momenti.» |
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