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Poesia sul tema La mia terra
| O chiameno orto,
io qua cent'anni fà
ce so morto.
Nù me ricordo er punto preciso,
''n do sto seporto.
Sì fra l'asparaci e l'insalata
o lì da quarche parte appena cortivata.
Er nome ce l'ho 'mpresso
sotto a'n monumento,
che sotto a'ncipresso.
Mò te lo ricconto.
Nù lò contati quanti eravamo,
stavamo 'nfrattati dentr ' an cespujo,
s'era fatto bujo a forza de stà 'ccuciati,
più che io, lì ginocchi 'sereno stufati.
Lì spari ereno finiti,
an certo punto Pietro,
che stava'n po'più 'nfonno,
jè pijò da matto
e dopo avè guardato la foto dè lì fiji,
la moje jera morta de tumore n'anno dietro,
fece 'n passo avanti,
fù così che ricominciarono lì canti.
Aspe' n'attimo solo,
sento e rumore de a tera
che se scanza, che perde l'aderenza.
Deve dà esse n'fijo suo,
ormai pure lui,
de e piante meno verde,
ma lassamo perde.
Starà a piantà le cipolle,
dopo sto ricconto avrò fatto accaponà la pelle,
e fatto venì a l'occhi le bolle.
Se so voluti comprà la tera,
nù lo sanno che lì n'do è morto er padre
ciànno fatto a serra.
E' 'nutile nun dillo,
me fa piacere ogni tanto da sentillo he je dice e che chiede
che lì fa più callo,
dà levaje sta tenda e ste radici
da sott'ar piede.
A turno noi je dimo
"A Piè li fiji, e prima lì spari,
ma qui tocca corre sempre a li ripari,
eh annamo. |
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