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Trovati 1032 commenti di Antonio Terracciano

Commento n° 432
«Ripensando ai (mis) fatti di Roma, penso che talvolta faccia bene sdrammatizzare i brutti episodi (in particolare quello dei tifosi olandesi che hanno orinato addosso ai monumenti romani) inquadrandoli in una (possibilmente spiritosa) cornice culturale. In questo senso sono andati perfettamente a nozze Belli e Brel. Se Belli in una sua poesia ("Li prelati e li cardinali") scriveva che Roma "è la stalla e la chiavica der monno", e Brel in una sua canzone ("Amsterdam") cantava che i marinai olandesi "quand ils ont bien bu, ils pissent comme je pleure" ("quando hanno ben bevuto, pisciano come io piango") , direi che le cose non potevano andare diversamente!»
Inserito il 22/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "PIAZZA di SPAGNA a ferro e fuoco!" di sergio garbellini  

Commento n° 431
«Il contenuto di questa composizione corrisponde perfettamente a ciò che ho sempre pensato: i libri sono gli stessi, ma indossano vestiti ben diversi quando vengono imposti dai programmi scolastici rispetto a quando sono scelti liberamente dal lettore! Mi spingerei a dire che una scuola davvero all'altezza dei discenti dovrebbe permettere a costoro, almeno nell'ambito letterario, di scegliere i testi più graditi in quel momento della loro esistenza; l'insegnante (con maggiore fatica, ma con quanta soddisfazione in più!) , seguendo gli allievi ad uno ad uno, li formerebbe meglio e si arricchirebbe enormemente! Alla fine dell'anno, poi, quella classe avrebbe conosciuto non solo "I promessi sposi", ma una ventina di romanzi diversi!»
Inserito il 21/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Piacevoli riletture" di Antonio Guarracino  

Commento n° 430
«E' proprio indispensabile la fede nell'immortalità? Non ci annuncia già la nostra stessa vita, con la progressiva e sempre più accentuata perdita di vigore fisico e intellettivo, il ritorno al nulla, una condizione non solo da non temere, ma naturale e addirittura auspicabile una volta arrivati a un certo punto? Forse la credenza nell'immortalità (con la conseguente invenzione degli dei) nacque presso i popoli antichi, quando si moriva molto spesso nel fiore degli anni, e l'uomo non si rassegnava al fatto di non potere realizzare che una minima parte dei suoi progetti qui sulla terra!»
Inserito il 20/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Quello che la morte tace" di Hariseldom  

Commento n° 429
«Condivido in pieno le considerazioni dell'autore: è da parecchio tempo che la vera musica è morta; molta di quella che ci ostiniamo a chiamare musica è in realtà soltanto un irritante rumore. Forse tutto cominciò quando una parte del jazz (l'ultimo stile musicale valido) si trasformò, già negli anni Cinquanta, in America (e purtroppo non restò solo lì!) , in rock (che i jazzisti puri considerano un loro figlio degenere) . E forse non hanno torto alcuni predicatori d'Oltreoceano, quando associano certi comportamenti devianti alla cattiva musica, che non ha certo più quel ritmo, quell'armonia, quella melodia, quel linguaggio divino capaci di correggere le nostre debolezze e di renderci migliori.»
Inserito il 18/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Dov'è la Musica" di Aldo Messina  

Commento n° 428
«Ha (parzialmente) ragione Angelo Ricotta: la poesia (un certo tipo di poesia, quella - come egli sottolinea nel testo - che va spesso alla ricerca di un amore troppo idealizzato, che si nutre di sogni infantili, che vagheggia un mondo inesistente) muore a vent'anni, con tre future possibilità: o non si scrive più (come successe a Rimbaud), o si passa a scrivere altro (come fece Pirandello), o si torna ad essa (come - si parva licet - è capitato a me) dopo svariati lustri, con una concezione del mondo e della poesia stessa direi radicalmente mutate.»
Inserito il 17/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "I poeti muoiono a vent'anni" di Angelo Ricotta  

Commento n° 427
«Bellissimo omaggio reso ad un grandissimo Nolano del Cinquecento da un Nolano non meno encomiabile dei nostri giorni. Non è da tutti avere il coraggio di affermare la Verità fino alle estreme conseguenze, ed io, lo ammetto, se fossi vissuto in quel periodo (e se avessi avuto - cosa assai improbabile! - una simile intelligenza) mi sarei comportato probabilmente come Galileo. La mia cittadina appartiene alla diocesi di Nola, ed il motivo principale che me ne rende orgoglioso è quello che essa era anche quella di Giordano Bruno.»
Inserito il 17/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Bruno's day (17 febbraio 1600/2015)" di Peppe Cassese  

Commento n° 426
«Sono capitato quasi per caso nuovamente su questa poesia, e devo riconoscere che, all'indomani di quel barbaro assassinio, l'autore era stato profetico. Ci invitava a non gioire per la morte del dittatore: ora, a distanza di più di tre anni, tutti i commentatori più autorevoli sono d'accordo nel ritenere che l'aggressione alla Libia fu sbagliata, perché la passò dalle mani del Rais a quelle di individui ben più feroci, i rappresentanti dell'Isis, che il dittatore, se ancora al potere, avrebbe senz'altro combattuto. Ora abbiamo i nemici (quelli veri e affamati di sangue!) a duecento miglia dalle nostre coste: ha dato davvero un "bel" risultato la guerra a Gheddafi!»
Inserito il 15/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Non gioire. (Rais Muammar Gheddafi è morto) " di Salvatore Ambrosino  

Commento n° 425
«Ho molto apprezzato questa armonica poesia rimata in dialetto milanese (o comunque lombardo), abbastanza comprensibile anche senza traduzione, sulle croci (e le delizie, forse: non è così che gode maggiormente un temperamento un tantino masochistico?) dell'amore non corrisposto. La poesia mi ricorda piacevolmente una canzoncina (scritta da Dario Fo e dal maestro Carpi) che Enzo Jannacci cantava quando ero ragazzo, "La luna è una lampadina" . Sotto il balcone dell'amata che non lo curava affatto, Jannacci ripeteva, più o meno (mi scuso del mio milanese incerto): "E mi sun chi che cammino avanti e indré; mi fa mal i pé! "»
Inserito il 13/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "La sira de l'ultim de l'an (con scuse al dialetto bosino)" di Adriano Lungosini  

Commento n° 424
«Ben descrive la poetessa la forza tranquilla del vento, con poche ma intense parole (è questa spesso una delle principali doti di una poesia) . Quel vento che nasce dal nulla, per volere della natura, va poi man mano espandendosi, fino a fare danzare le chiome degli alberi, che diventano ancora più belle all'alba, quando i raggi del sole nascente le indorano.»
Inserito il 12/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Vento" di claudia pinheiro montenegro  

Commento n° 423
«Direi che è confortante credere che tra di noi non ci sia nessun vero poeta! "Primo a scuola, ultimo nella vita", si diceva una volta, e questo detto vale in tutti i campi: per scienziati come Einstein che erano una frana in famiglia, per matematici asociali come Majorana, per poeti psicolabili come Campana, ecc., ecc. Viviamo serenamente la nostra condizione di "poeti della domenica", con la speranza di trovare le porte aperte alle altre numerose attività umane!»
Inserito il 09/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "I poeti che scrivono nei siti" di ex Lorenzo Crocetti  

Commento n° 422
«E' gradevole e delicata questa poesia di una giovane poetessa che ricorda il caro nonno morto attraverso una sua giacca rimasta in casa. Penso che sia diffusa, giustamente, l'abitudine di non gettare alcuni oggetti appartenuti alle persone defunte (non usando più metterli nelle loro tombe, come facevano certi popoli antichi): l'oggetto, non potendo più fare compagnia al morto, la fa a noi, ci conforta, pur probabilmente illudendoci, perché ci induce a pensare che la persona defunta non è del tutto scomparsa, ma che una particella della sua anima è rimasta impigliata in esso (in questo caso in una vecchia giacca) .»
Inserito il 04/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "La giacca" di Elizabeth Nightley  

Commento n° 421
«Non ci sono note alla poesia, ma da parecchi particolari mi sembra di capire che queste perfette quartine di endecasillabi si riferiscano alla "Campania felix", diventata purtroppo, per colpa dell'uomo, "infelix" . Ogni volta che leggo, scrivo e vivo queste cose, non posso fare a meno di ricordarmi di Benedetto Croce, che in un suo studio fece un'approfondita analisi del perché, già tanti secoli fa, nacque, prima nella stessa Italia, e poi all'estero (soprattutto in Germania), il famoso e poco gratificante detto: "Napoli è un paradiso abitato da diavoli"!»
Inserito il 01/02/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Malata" di Tonia La Gatta  

Commento n° 420
«Le grandi città tendono a "ripulire" i loro centri, spostando le cose che non vanno bene in periferia, perché i centri sono frequentati dai turisti, che devono essere invogliati a frequentarli ed a spendere denaro. Così, approfittando del terremoto del 1980, che aveva prodotto, sì, danni, ma non tali da indurre ad abbandonare tantissime case, molti abitanti dei famigerati "Quartieri spagnoli" furono "deportati" a Scampia, dove c'erano prima, appunto, solo campi, ed il cui quartiere abitato più vicino era (è) quello di Secondigliano, con gente operaia, semplice e onesta... Creando quel "ghetto", più isolato e incontrollabile dei "Quartieri spagnoli", non si fece altro che peggiorare la situazione! Quando la coperta è troppo corta...»
Inserito il 30/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "L'inferno esiste, l'abbiamo in casa" di sergio garbellini  

Commento n° 419
«E' una poesia che affronta con lucidità uno degli aspetti meno indagati della mentalità umana: l'amore per il nulla (o comunque per qualcosa di non umano) . Penso che una buona parte di persone, se al momento di venire al mondo potesse rispondere alla domanda "Vuoi nascere? ", direbbe "No" . Ecco spiegati, forse, i momenti di leggera ebbrezza che si assaporano quando, finalmente, si può non fare una cosa: il risparmio di un'ora di lezione da ragazzi, la fine di una storia d'amore problematica da adulti... Chissà, forse chi non voleva nascere, chi avrebbe preferito il nulla e i suoi dintorni, sarà capace un domani di morire meglio, di accomiatarsi meno dolorosamente da quella pienezza di vita che non desiderava!»
Inserito il 29/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Io non volevo" di Daniele Piredda  

Commento n° 418
«"La poesia è nata per essere recitata a voce alta e mandata a memoria, altrimenti ditemi voi perché mai avrebbe dovuto usare artifici mnemotecnici come il piede, il metro o la rima" (Umberto Eco) . Ogni volta che leggo una poesia di Dorella Dignola mi tornano alla mente queste parole del nostro intellettuale vivente forse più famoso: pochissimi autori e autrici del sito sono capaci di elevare a così nobili livelli tecnici la nostra arte.»
Inserito il 26/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Anche l'anima si desta" di Dorella Dignola  

Commento n° 417
«Per parlare poeticamente di un amore (si spera solo momentaneamente) perduto, questa volta lo "Strimpellatore", dell'impianto classico della poesia, conserva solo le quartine, abbandonando le rime ed usando sapientemente i metri più vari (si incontrano un quinario, settenari, ottonari, novenari, due decasillabi e un endecasillabo) . Il risultato ottenuto è davvero molto interessante: sembra quasi, leggendola, che la poesia abbia il ritmo jazzistico di un malinconico blues, con le sue variazioni ed improvvisazioni che alla fine, però, forniscono all'opera un'autentica armonia.»
Inserito il 25/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Il roseto" di ex Lorenzo Crocetti  

Commento n° 416
«Ricordate il "Mito" e la "Rona"? Erano gli acronimi che, un paio di decenni fa, alcuni politici avevano coniato per indicare le due grandi megalopoli italiane (Milano con Torino, e Roma con Napoli), ognuna con due metropoli simili per cultura, tradizioni, storia, economia, ecc. Del "Mito" non so, ma la "Rona" si è effettivamente realizzata... I difetti della capitale, elencati dal poeta, sono molto simili a quelli che Napoli già aveva da tempo, e che ho in parte stigmatizzato in alcune mie poesie. A volte sembra che un incendio, attecchito al Sud, risalga poi con vigore nel resto della penisola; di quanta acqua (pura) abbiamo bisogno per spegnerlo?»
Inserito il 25/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Povera ROMA, l'hanno fatta piagne!" di sergio garbellini  

Commento n° 415
«E' un componimento molto significativo, anche a causa dell'impiego della poeticissima metafora del viaggio in treno. Essenzialmente lo vedo come la trasformazione in poesia della famosa domanda: "E' meglio vivere un giorno da leone o cento da pecora? " Il poeta ci lascia intendere che ha messo in pratica (come la stragrande maggioranza di noi) la seconda ipotesi, ma che, se potesse tornare indietro, vorrebbe comportarsi come quell'occasionale compagno di viaggio dei suoi sogni adolescenziali, disposto ad andare incontro anche alla morte pur di vedere realizzati i suoi sogni.»
Inserito il 25/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Lo strano passeggero" di Davide Ghiorsi  

Commento n° 414
«Questa volta il Garbellini usa dei magistrali senari per rendere un meraviglioso omaggio all'elemento più importante della natura, di cui siamo noi stessi in gran parte composti. E, da un punto di vista grafico, che pure mi piace vedere in una bella poesia, mi si permetterà di notare che la scelta dei brevi e ripetuti senari mi sembra quanto mai indovinata: leggendo la poesia si ha quasi l'impressione di veder nascere e sgorgare un bel filo d'acqua da un rubinetto o, meglio ancora, da una pura fonte!»
Inserito il 22/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Il grande TESORO più ricco dell'ORO" di sergio garbellini  

Commento n° 413
«Con questi ottimi ottonari in un perfetto dialetto (o lingua, per alcuni) napoletano, il poeta, attraverso un personaggio immaginario, pone il problema dell'evoluzione del monoteismo: nato ebraico, trasformatosi in cristiano, si è infine evoluto in musulmano, lasciando un po' tutti insoddisfatti. E' forse proprio questo il problema? E' nel monoteismo, incapace di confermare le sue promesse? Per una maggiore tolleranza, serenità e buonumore, anche se con minori aspettative, sarebbe forse il caso (tralasciando altre attuali religioni, o l'ateismo) di tornare ai vecchi, forse più poetici politeismi?»
Inserito il 14/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "UNO o TRE? (lingua napoletana) spiritualità" di Peppe Cassese  

Commento n° 412
«Se ho bene inteso, questa poesia ben costruita è di carattere religioso (ce lo fanno capire le ripetute "s" maiuscole di "Suas") . Si paragonano i nostri poveri corpi peccatori a vasi in frantumi, che si spargono per terra, finendo talvolta addirittura nell'immondizia. Ma non bisogna rattristarsi, perché una Potenza Superiore provvederà, se lo vogliamo, a riunire tutti quei cocci (i nostri, e quelli degli altri) e a formare di nuovo vasi degni di questo nome, cioè integri.»
Inserito il 12/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Vaso de barro" di claudia pinheiro montenegro  

Commento n° 411
«"Tutte le religioni sono crociate contro il senso dell'ironia", si legge a un certo punto di "La vita eterna" del filosofo Fernando Savater. Ma, col passare del tempo, quell'avversione si dilegua un po'. Nel monoteismo, forse gli Ebrei sono quelli che sanno scherzare di più con la loro stessa fede, mentre la maggior parte dei Musulmani, ultimi arrivati, si trova ora purtroppo nelle stesse condizioni dei Cristiani di sei, settecento anni fa (periodo in cui U . Eco ambientò "Il nome della rosa", con sette morti e l'incendio finale dell'abbazia, perché l'abate che la dirigeva non voleva che venisse letto l'ipotetico trattato di Aristotele sul riso) . Per un diffuso illuminismo musulmano dovranno passare ancora tre, quattrocento anni?»
Inserito il 08/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Charlie Hebdo, 7 gennaio 2015" di Giorgia Spurio  

Commento n° 410
«In questa breve, essenziale, chiara poesia, la poetessa esprime con efficacia una grande verità: siamo stati davvero noi stessi in un solo periodo (o in pochissimi periodi) della nostra vita; il resto del tempo lo impieghiamo senza più trovare la pienezza che, in quelle occasioni, ci aveva caratterizzato, una pienezza che cerchiamo di recuperare, ma sempre senza successo o, al massimo, con il successo letterario (ecco perché si suol dire che gli scrittori, in realtà, scrivono - più volte, e in modi diversi - sempre lo stesso romanzo) .»
Inserito il 07/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Autobiografia" di hy ju  

Commento n° 409
«Al di là dell'indubbia bellezza delle quartine in endecasillabi con le quali il Cassese ha reso omaggio al grande poeta e cantante scomparso, vorrei dire (ai lettori di altre parti d'Italia) che l'autore usa benissimo un dialetto napoletano "puro e duro" (alla Raffaele Viviani, per intenderci), difficile anche per parecchi Napoletani stessi (abituati ormai a una sua versione edulcorata, "eduardiana"): io vivo in provincia di Napoli dalla nascita, ma confesso che ho dovuto consultare un paio di vocabolarietti per interpretare bene sette o otto parole. Il mio conterraneo, se mettesse qualche nota esplicativa, penso che la maggior parte dei suoi lettori lo ringrazierebbe!»
Inserito il 07/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Ma comme faccio a dì?" di Peppe Cassese  

Commento n° 408
«E' un doveroso omaggio a Pino Daniele, un cantante e poeta che è riuscito a rinnovare la prestigiosa ma stantia tradizione musicale napoletana, contaminandola col jazz e con altri ritmi, dandole una dimensione internazionale. Forse proprio nella sua città non fu amato e compreso da tutti, come avrebbe senz'altro meritato. Mi piaceva già molto la sua prima produzione, caratterizzata spesso da un miscuglio tra lingua e dialetto, ma ho apprezzato ancor più le sue canzoni più recenti, in italiano ("Vento di passione", ad esempio) . Mi piace immaginare che ora abbia raggiunto il suo amico (morto quasi per le stesse cause) Massimo Troisi, col quale aveva cantato l'indimenticabile poesia del sangiorgese: " 'O ssaje comme fa 'o core" .»
Inserito il 05/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "Il sole nostro non perderà mai la luce" di Giorgio Lavino  

Commento n° 407
«Mi risulta che alcuni scrittori (anche grandi) scrivono direttamente al computer (e, in passato, direttamente alla macchina per scrivere) . Ma come è possibile? Vidi un paio di mostre degli scritti originali di grandi autori (di Proust a Parigi, di Borges a Roma), dai quali si sprigiona la loro anima (soprattutto quella di Proust, con le sue frequenti correzioni) . Gran parte di quell'anima, poi, permane quando quei fogli scritti a mano si trasformano in libri stampati. Io non sono certo un grande scrittore (e forse neppure uno scrittore), eppure, quando getto nel cestino i miei fogli di carta ormai corretti e pronti per la pubblicazione, ho l'impressione di gettare anche un pezzo della mia anima!»
Inserito il 01/01/2015 da Antonio Terracciano alla poesia "L'immenso VALORE di un FOGLIO BIANCO" di sergio garbellini  

Commento n° 406
«Penso che sia naturale guardare al futuro da parte dei giovani (anche soltanto nello spirito): si aspettano giustamente cose più interessanti e più belle di quelle vissute fino a allora. Ma quando si invecchia (anche soltanto nello spirito) ci si rende conto che la vera vita è già passata, che, proprio per la smania di futuro, non abbiamo saputo dare l'importanza che meritavano a certe cose capitateci: vorremmo tornare indietro, per recuperarle, ma, dato che non possiamo farlo nella realtà, attiviamo il pensiero, perché ci rendiamo conto che quella, solo quella, è stata (è) la nostra vera dimensione.»
Inserito il 26/12/2014 da Antonio Terracciano alla poesia "Discorsi Gelati" di Azar Rudif  

Commento n° 405
«In un'altra delle sue poesie sempre tecnicamente perfette, "Lo strimpellatore" esprime anche questa volta una grande verità, quella della tristezza che sopraggiunge alla fine di ogni festa, come ci faceva ben intendere Vinicius De Moraes nella sua nota poesia- canzone "A felizidade", riferendosi al Carnevale ("tutto finisce il mercoledì") , o addirittura già al suo inizio, come nel famoso "Sabato del villaggio" di Leopardi. Forse, l'unica (alquanto paradossale) soluzione per non (ri) diventare più tristi sarebbe quella di restarlo costantemente, abolendo le feste!»
Inserito il 26/12/2014 da Antonio Terracciano alla poesia "Sera di Natale a Luino" di ex Lorenzo Crocetti  

Commento n° 404
«E' una piacevole poesia, formata essenzialmente da settenari e senari, con rime occasionali. La poesia, com'è detto chiaramente nell'ultimo verso, si riferisce al castello delle carte da gioco, ma, viene da pensare, quanti castelli veri si trasformano, col tempo che passa, in castelli di carte da gioco? Basta pensare a quelli delle dittature (comunista, franchista, castrista, salazariana...) , che col tempo sono diventati castelli di cartone, e chissà, se non fossero scomparsi violentemente, se sarebbe successa la stessa cosa ai castelli fascista e nazista? Forse l'unico "Castello" che non può sbriciolarsi, perché appartiene all'immutabile mondo della letteratura, è quello di Kafka...»
Inserito il 22/12/2014 da Antonio Terracciano alla poesia "Enorme castello" di Davide Ghiorsi  

Commento n° 403
«E' una giusta difesa di Roma, secondo me, quella che tenta il poeta: oggidì la capitale, non per colpa sua, fa vivere nel lusso tanti onorevoli sfaccendati che vengono da fuori! Questa poesia mi ricorda "Li prelati e li cardinali" di G . G . Belli (allora, nella Roma papalina del primo Ottocento, il suo bersaglio non poteva essere che il mondo ecclesiastico): " (...) E qualunque città li più affamati / Li manna a Roma a cojonà er diggiuno. / Ma sarrìa poco male lo sfamalli: / Er pegg'è che de tanti che ce trotteno / Li somari so più de li cavalli. / E Roma, indove viengheno a dà ffonno, / E rinnegheno Iddio, rubben'e ffotteno, / E' la stalla e la chiavica der monno. "»
Inserito il 20/12/2014 da Antonio Terracciano alla poesia "A proposito de Roma" di Benito Ciarlo  

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