«Mi sarebbe piaciuto essere il dottor Freud, e colgo questa occasione (suggeritami dalla nota alla poesia) per (fingere di) rappresentarlo, cercando di interpretare questo godibilissimo sogno poetico. Come tutti i veri toscani, Lorenzo non è mai contento di ciò che vede in giro ("L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare! ", era il famoso ritornello di Gino Bartali), e questa sua caratteristica arriva nel sogno quasi a sfiorare la blasfemia, quando critica la barba di San Pietro. Ma direi che questo è un segno positivo, un segno di ottima salute (mentale): finché c'è voglia di criticare gli altri (e possibilmente anche se stessi) c'è speranza di migliorare la società, molto più di quando si usa il "politically correct", ora così di moda.» |
Inserito il 29/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Davanti a san Pietro" di ex Lorenzo Crocetti |
«Anche per un napoletano è quasi impossibile comprendere un barese quando parla (soprattutto se velocemente), ma il dialetto scritto è ben più accessibile (avevo capito la poesia anche prima di leggere la traduzione) . Per quanto riguarda il contenuto, devo ammettere che esso è veritiero: la poetessa rende bene l'idea della suggestione esercitata dalla città vecchia, ricca di passato e di spiritualità, nonostante i suoi problemi di piccola delinquenza ("State attento al portafoglio! ", mi disse gentilmente l'anziana negoziante dalla quale avevo comprato un ricordino della bellissima basilica di San Nicola, "qui la microcriminalità è più agguerrita che a Napoli... ")» |
Inserito il 29/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Acquann camine" di picciro |
«"Tutto è vanità", diceva Salomone, e l'uomo, a differenza degli altri animali, non saprebbe vivere senza una qualche forma di (vana) produzione artistica (dai disegni nelle grotte preistoriche ai grezzi monili che gli uomini primitivi realizzavano per se stessi e per le loro compagne, alle navi in bottiglia, ai lavori a uncinetto delle signore, alla produzione letteraria...) Sappiamo benissimo che tutto ciò è vano, che tutto sarà (prima o poi) cancellato, ma siamo altresì consapevoli che senza queste vanità non avremmo il diritto di distinguerci dagli altri animali.» |
Inserito il 23/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "In fondo al sacco nero dell'immondizia" di sergio garbellini |
«Non è la prima volta che il tecnicamente perfetto poeta Garbellini se la prende con la nostra classe politica. Non sto certo a difenderla, ma mi permetto solo di osservare che i politici non sono degli approfittatori venuti da un altro pianeta, bensì i nostri "rappresentanti" in tutti i sensi. Quanti di noi (magari dopo avere studiato Giurisprudenza...), senza un lavoro fisso o appagante, non si lascerebbero tentare da quella carriera, per fare soldi e acquistare prestigio? I difetti degli Italiani vengono semplicemente elevati al quadrato o al cubo da quegli incarichi!» |
Inserito il 15/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Il "Popolo" non è una parolaccia!" di sergio garbellini |
«Questo sincero sfogo poetico dell'autrice invoglia la mente a delle riflessioni. Quanto più si è onesti, tanto più l'ira (se ripetutamente provocata) può rovinosamente esplodere (e ciò, storicamente, spiegherebbe anche l'avvento del nazismo in Germania, ad esempio) . "Porgi l'altra guancia" è un precetto valido, e piuttosto facile da applicare, soprattutto per chi ha in precedenza schiaffeggiato le guance degli altri, mentre una persona che ha fatto dei grandi sforzi e sacrifici per non contravvenire a nessuna legge non riesce, come se nulla fosse, a condividerlo! L'Italia perdona forse troppo facilmente tanti episodi criminali perché è sostanzialmente un Paese di peccatori...» |
Inserito il 14/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Amo il prossimo" di Anna Rossi |
«Penso di poter condividere, anche se solo per induzione, ciò che il poeta sostiene in questo suo componimento. Uno dei miei primi incarichi di insegnamento lo ebbi nella scuola media di Carinola (Caserta) e nella sua sezione staccata di Nocelleto, lì dove c'è il confine con i cosiddetti "Mazzoni", cioè con la zona d'influenza storica della mafia casalese. L'ultimo anno in cui vi insegnai, di fronte alla sede centrale iniziarono i lavori per l'edificazione di un importante carcere. Quando, molti anni dopo, tornai un paio di volte in quella scuola, per motivi burocratici, ebbi l'impressione di trovarvi un'atmosfera più tranquilla, più rispettosa delle leggi, da parte della scolaresca, rispetto a quando vi insegnavo.» |
Inserito il 12/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Davanti al carcere" di Michele Prenna |
«Questa mordace e satirica poesia mi ha con forza richiamato alla mente un personaggio da me davvero, se non conosciuto, più volte visto, quando, dal 1966 al 1973, frequentavo quasi quotidianamente Napoli, per motivi di studio. A Piazza Garibaldi (quella della Stazione Centrale) c'era spesso un uomo tra i quaranta e i cinquant'anni, dall'aspetto alquanto dimesso, con in mano un mucchio di fogli (fotocopiati o, più probabilmente, ciclostilati) che offriva, con una certa insistenza, ai passanti, al prezzo di dieci lire (equivalenti, più o meno, a venti centesimi di euro di adesso) l'uno. Erano le sue poesie, e lui era un poeta che così campava. Io provavo una certa tristezza per i poeti a tempo pieno, per chi voleva vivere solo di quel lavoro!» |
Inserito il 04/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Scaccolamenti estatici di poeti depressi in fase mistica" di Hariseldom |
«Con una chiarezza encomiabile, la poetessa coglie alcuni dei più rilevanti aspetti di ogni poesia: essa è come un uccellino (non sappiamo mai bene dove volerà, chi, dopo di noi, andrà ad allietare col suo canto); al di là delle loro eventuali perfezioni tecniche, le poesie sono apprezzate maggiormente quando presentano tematiche che stanno a cuore ai lettori; una volta liberata, la poesia diventa proprietà del lettore più che dell'autore (che è il sarto, mentre il fruitore è l'indossatore, se non, talvolta, il definitivo proprietario del vestito) .» |
Inserito il 03/05/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Caro lettore" di Rosetta Sacchi |
«Nella mia modesta esperienza ho constatato che le poesie si possono scrivere anche soltanto con la lucidità della propria mente (poesie per varie occasioni, come nascite, compleanni, matrimoni, oppure poesie che per gioco devono contenere parole obbligatorie...) , ma voglio dare ragione a chi ha scritto questi versi, nel senso che anch'io penso che le opere poetiche più significative siano quelle che nascono quando siamo improvvisamente presi per la mano e guidati da qualche divinità (o dal nostro subcosciente?) , che però ci accompagna solo per un breve tratto: a meno che la composizione non sia brevissima, tocca a noi, poi, portarla a termine con le sole nostre forze (è per questo motivo, forse, che abbiamo il buon diritto di firmarla)» |
Inserito il 27/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Calliope" di Sabyr |
«In questa poesia, chiara e ben strutturata, la poetessa pone l'accento su ciò che anch'io ho spesso pensato: ogni città rassomiglia a una donna (spesso diventata anziana e saggia), di carattere e di bellezza sempre un po' diversi da quelli di un'altra, ammirata da più persone, e che ama molte persone... Io addirittura considererei anche la possibilità di invertire l'equivalenza, di dire cioè che ogni donna è come una città: porta con sé i sapori del suo luogo di origine, ama sempre (anche se talvolta in segreto) varie persone, e da tanti è ammirata... In quasi ogni lingua, del resto, la parola "città", come la parola "donna", appartiene al genere femminile!» |
Inserito il 20/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Donna citta'" di Debora Calarota |
«Non conosco l'antica capitale della Spagna, ma la poesia, intensa ed evocativa, mi ha attratto fin dal titolo: esso è infatti simile a quello di un'opera teatrale di Raffaele Viviani, "Tuledo 'e notte"; già, perché a Napoli c'è una piccola succursale di quella città, Via Toledo appunto, voluta nel Cinquecento proprio dagli Spagnoli, che le hanno dato un certo sapore quasi equipollente a quello che la poesia suscita. Inoltre, quell'amore, quella morte e quelle ombre che si riversano nel Tago giungono, forse un po' attenuate, fino alla mia amata Lisbona, per perdersi, finalmente, nelle acque del grande oceano.» |
Inserito il 19/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Toledo e le sue notti" di elena rapisa |
«C'è molta verità, anche se sopraffatta da un'esagerazione un po' rabelaisiana, in questa poesia. Non ci si mette a fare i poeti per caso (soprattutto quando non si è più giovani), ma perché esiste sempre un pizzico di (positiva) anormalità, qualche granello di (innocua) deviazione dal pensiero comune: sono requisiti che fanno nascere la passione per quest'arte (e forse per tutte le arti) . Attraverso una volutamente esagerata (lo si è già detto) elencazione di alcuni frequenti tic dei poeti, l'autore rende un utile servizio ai lettori che intendono approfondire il funzionamento della psiche di costoro.» |
Inserito il 14/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Chi è il poeta?" di rob ponzani |
«Dubito che il primo commento abbia colto appieno i toni sconsolati, oserei dire macabri, di questa intensa poesia. La poetessa ci dice che "non riesce a procedere", che vede "solo nebbia, vuoto e silenzio", che è "in attesa del buio che tutto uniforma", che "la pioggia infradicia i sogni primaverili", e infine che "tutto ha una soluzione: non v'è quesito precluso alla morte" . Sono amari pensieri che possono forse trovare in disaccordo persone molto giovani, ma che a una certa età sono naturali: interviene la "Todestrieb", la freudiana "pulsione di morte" che, secondo il Maestro viennese, "aspira al ristabilimento di uno stato disturbato dalla nascita della vita" (cfr. "L'Io e l'Es") .» |
Inserito il 13/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "La soluzione" di elena rapisa |
«In questa bella, ben strutturata e significativa poesia, la ragazza e la sigaretta si confondono. La sigaretta ha bisogno di essere guidata e consumata, e trova nella ragazza la sua guida e la sua consumatrice, anche se lei non è riuscita a trovare chi la guidasse e la consumasse. E' una storia (purtroppo) frequente, che personalmente interpreto così (non so con quanta giustezza): le giovani donne (bellissima, a proposito, la foto, quasi preraffaellita) cercano nei giovani uomini delle guide, che essi non sono capaci di offrir loro, perché a loro volta necessiterebbero ancora di chi li guidasse (e li consumasse?)» |
Inserito il 12/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Una sigaretta" di Barbara Golini |
«Deliziosa ed istruttiva nella sua semplicità, questa favoletta in poesia mi ha fatto ricordare un episodio accaduto in seno alla mia famiglia. Il mio cugino più vecchio, ora ottantenne (il primo figlio della sorella maggiore di mio padre), frequentando, da giovane, la buona società napoletana, si era fatto un amico alquanto benestante, e forse nobile (la nobiltà non scarseggiava a Napoli!) . Un giorno l'invitò a casa sua, nella sua (e mia) cittadina. Mia zia, per un complesso di inferiorità che (ingiustamente) i provinciali hanno nei confronti dei cittadini, si scusò di potergli offrire solo un piatto di pasta e fagioli: il signorino, che non l'aveva mai mangiato, lo trovò eccezionale, e approfittò di altre occasioni per gustarne ancora!» |
Inserito il 07/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "La chiave della felicità" di Agnese Iannone |
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«Nell'incantevole stesura in dialetto genovese, il poeta dà voce alla lingua della sua terra: essa si lamenta, si sente trascurata e ormai sconfitta dall'imperante lingua nazionale. Chissà quanti dialetti, nel mondo, sono morti nel corso dei millenni! Del resto, questo è forse il loro destino, che negativamente incide sulla crescente difficoltà dell'espressione individuale (ogni uomo, a pensarci bene, parla una lingua diversa da quelle di tutti gli altri), ma che positivamente apre le porte ad una maggiore comprensione e fratellanza tra i popoli della terra.» |
Inserito il 06/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Dove ti væ (Dove vai)" di Giovanni Ghione |
«"Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", la poesia scritta da Cesare Pavese quattro mesi prima di suicidarsi e dedicata, a quanto pare, all'americana Constance Dawling, la sua ultima illusione d'amore, trova l'autore di questo magistrale sonetto in sostanziale disaccordo su ciò che concerne il contenuto. Certo, non possiamo sapere di chi avrà gli occhi la morte (se ne avrà), e sicuramente non si può generalizzare ("Quant'è bella! " furono le ultime parole del mio nonno materno: aveva forse visto la Madonna o, più probabilmente, rivisto sua madre?) L'unica certezza, riprendendo l'ultimo verso di quella famosa poesia di Pavese, è che "scenderemo nel gorgo muti"!» |
Inserito il 05/04/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" di ex Lorenzo Crocetti |
«Ho qui davanti a me "Montgolfières", il CD del 1995 dell'immaturamente scomparso cantautore Gianmaria Testa, prodotto ad Amiens, non distante da Lille, città in cui il bravo autore di questa bella ed evocativa poesia ci dice di avere avuto l'occasione, in una cornice ambientale marcatamente nordica, di ascoltare il grande "ferroviere", che con semplicità, fantasia e vera poesia cantava uomini, donne e cose peculiari soprattutto del suo Piemonte. Come per Paolo Conte, anche per Testa dovette pensarci la Francia a lanciarlo ed a valorizzarlo, mentre noi in Italia abbiamo spesso troppo incensato cosiddetti "cantautori" (non faccio nomi per mancanza di spazio...) più abili nell'esibire un costruito personaggio che una valida produzione.» |
Inserito il 30/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "La morte" di rob ponzani |
«Sono convinto, come mi pare voglia sostenere il poeta in questa sua simpatica satira, che tutte le figure retoriche (dai nomi spesso impronunciabili...) che si possono trovare in una (buona) poesia non devono essere messe lì dal poeta di proposito, ma che vengono individuate a posteriori. Sono i critici (che comunque devono pur lavorare!) ad andare a pescare pazientemente tutte quelle cose che l'autore spesso non si accorge neppure di avere inserito, che nascono sovente per caso, come conseguenza dei vari particolari ritmi imposti all'espressione di ogni singolo pensiero poetico.» |
Inserito il 30/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Figurateggiando" di Peppe Cassese |
«"Meglio soli che male accompagnati! ", dice il proverbio, e certe volte è proprio vero! Lorenzo Crocetti, nel suo solito stile classico e cristallino, parla di una sua esperienza che, credo, pur se in forme diverse, sarà capitata a tutti. Personalmente, mi sono ricordato di quella volta che un parente mi invitò a pranzo nella sua villetta al mare (mi aspettavo una bella mangiata di pesce, e invece dovetti sorbirmi un menu ridotto al minimo e quasi vegetariano, quello che piaceva al fidanzato di sua figlia!) , o di quell'altra volta in cui, a Lyon, entrai in un ristorantino arabo, evidentemente integralista senza che io lo sapessi, per gustare un cuscus: alla mia richiesta di una bottiglia di vino, mi andò bene se non mi malmenarono!» |
Inserito il 29/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Una Pasquetta... non proprio fortunata" di ex Lorenzo Crocetti |
«C'è un'atmosfera rarefatta e raffinata in questa deliziosa poesia, che oserei avvicinare a quelle di "Xenia" di Montale. La borsetta di una donna, quell'oggetto i cui segreti un uomo forse non potrà mai penetrare completamente, è la protagonista di questo ricordo, insieme alla sua elegantissima (lo si comprende facilmente dalle parole usate dal poeta) proprietaria, e (perché no?) alla via XX Settembre, che tutto lascia immaginare essere quella di Genova, la strada che congiunge Piazza De Ferrari a Brignole, nel cuore borghese ed elitario di quella città raramente evocata in letteratura, ed anche proprio per questo così affascinante.» |
Inserito il 29/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "La tua borsetta" di Giovanni Ghione |
«Chi ha conosciuto, anche se solo per pochi giorni come me, Bruxelles non può che essere rimasto alquanto scosso da quel recentissimo attentato. Città pacifica, tollerante, magari un po' disorganizzata, patria (pur nel suo piccolo) di tante razze diverse che lì vogliono soltanto vivere civilmente e lavorare, meta dei politici e dei burocrati che realizzeranno (speriamo!) la nuova Europa unita di cui essa è davvero il cuore (incominciando dal suo bilinguismo interno), Bruxelles non meritava tale oltraggio. La poetessa, anche ricorrendo ad un accenno di uso di più lingue, è ben riuscita a rendere l'idea di sconforto che ha attanagliato, credo, ogni europeo.» |
Inserito il 28/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "La città offesa" di valentinatortora |
«Leggendo talvolta questo poeta (ora più che meritatamente "autore della settimana"), mi accorgo di quanto la mia poesia sia davvero inferiore, così semplice, alla portata di tutti! Eolo (e lo pseudonimo lo dice chiaramente) è impregnato di mitologia, di classicismo, è siciliano (se non erro) e, quasi quasimodianamente, è capace di produrre immagini suggestive, pregne di antica cultura, di parole rare, di simboli non troppo distanti dall'ermetismo. E poi, la cosa forse più importante è che egli introduce pressoché tutte le sue opere (come questa) nella categoria "amore", certamente la più prestigiosa, quella che dantescamente "move il Sole e l'altre stelle"!» |
Inserito il 28/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Chiudo gli occhi" di Eolo |
«Sono perfettamente d'accordo con il contenuto di questa composizione poetica, concernente il fanatismo di una fede religiosa che ora sembra imperante. Sono anch'io del parere di rispettare una divinità disarmata, oscillante tra l'umorismo e la pietà per le creature, secondo una visione panteistica tipica del mio grande conterraneo Giordano Bruno... Ecco il punto: un certo Islam, al giorno d'oggi, non fa che ripetere gli errori che il Cristianesimo fece per secoli, mandando gente al rogo, o emarginandola nel migliore dei casi, quando non sapeva a memoria le preghiere, quando non voleva far parte, con la cresima, dell'"esercito" di Cristo, o quando qualche donna "peccava" ... Cambiano i nomi, ma non cambia la violenza di un certo monoteismo!» |
Inserito il 24/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Non indosserò mai un giubbetto esplosivo" di Sergio Melchiorre |
«Già autore di parecchie valide poesie in dialetto napoletano, questa volta Raffaele Ventola si è dedicato, in italiano, a ripristinare un'altra tradizione tipicamente partenopea (pur se di origine parigina), quella della macchietta con doppio senso, presente soprattutto in numerose canzoncine quasi tutte nate durante la Belle Epoque all'ombra del Vesuvio, interpretate principalmente da Nicola Maldacea, e scritte da valenti poeti (Ferdinando Russo, Giovanni Capurro, Eduardo Nicolardi, Rocco Galdieri e perfino, in italiano, da Trilussa) . L'arte di queste composizioni (e Ventola ce ne dà un ottimo esempio) consiste nel riuscire a far credere a qualcosa di indecente, salvo scoprire poi, alla fine, che ci si riferiva a tutt'altro...» |
Inserito il 21/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Oggi faccio outing" di Ventola raffaele |
«Fantasia per fantasia, mi sarà concesso vedere, in questa ben costruita composizione, una garbata critica della poesia ermetica, che si serve spesso di parole rare e ambigue (come alcune di quelle sapientemente scelte dall'autore in questo suo lavoro), per fare in modo che i lettori non possano mai giungere ad un'interpretazione certa di quelle opere, per rendere "vana l'altrui tesi", anche se spesso si sente puzzo di bruciato, o "sentor d'un falso" . Ma sì! A volte la poesia può anche divertirsi a prendere le sembianze di un gioco fine a se stesso (non c'è niente di male, purché non si esageri...)» |
Inserito il 15/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Nèmesi ed eccímeri" di Pasquale Farallo |
«Forse c'è bisogno delle dimensioni di una città medio- piccola per gustare le armoniche scenette familiari: le metropoli sono troppo frettolose, ed i paesini non forniscono troppe possibilità (molti anni fa vidi qualcosa di simile, di molto simile in una città poco distante da Terni, a Rieti) . Il poeta ha saputo farci vivere, mediante un'oculata e delicata ricerca linguistica e con uno stile impressionistico, direi, questa variegata scenetta familiare che può far solo del bene all'anima.» |
Inserito il 14/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Estate ternana negli occhi di un bimbo" di Ettore Salamena |
«Forse perché sono di una cittadina che è, sì, in piena provincia di Napoli, ma che ha il primo casello autostradale (dopo quello di Napoli) dell'autostrada per Bari, sono stato sempre attratto dal dialetto barese, quasi incomprensibile all'orale, ma molto meno ostico quando lo si legge. La poetessa rende qui un bell'omaggio agli elementi del Creato ed all'amore, e quei "frangimenti vocalici" ("céile", "lìune", "apèirte") , allungando le parole, danno quasi l'impressione di potersi soffermare di più e meglio sulle cose descritte, di afferrarne più pienamente il senso ed il valore.» |
Inserito il 11/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "L'amore" di Grazia Bianco |
«Certo, la lentezza non può essere una legge universale: ci sono dei casi in cui essa non si può usare (nei pronti soccorsi, nelle energiche frenate per evitare incidenti automobilistici, eccetera) . Ma direi che la maggior parte delle volte è consigliabile. Senza un po' di lentezza non sarebbe probabilmente nata una poesia bella e curata come questa (immagino che DaviD non abbia impiegato solo cinque minuti per scriverla...) : "L'uso del linguaggio richiede una grande attenzione. [ Si] riflette talvolta per un'intera giornata sul valore che [ si] darà a un'unica parola", scriveva lo psicologo francese Pierre Sansot nel suo libro "Sul buon uso della lentezza", del 1999.» |
Inserito il 04/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Bradipo" di DaviD |
«Se sbaglierò l'analisi del contenuto (cosa molto probabile...) , "mi corrigerete", ma a me, cui non è mai piaciuto far parte di un coro, Wojtyla non ha mai ispirato nessun vero pensiero spirituale, mentre l'ho sempre visto come un "generale" alleato degli Stati Uniti per sconfiggere il comunismo, iniziando dalla sua Polonia (il contrario del vero "Papa buono", Roncalli, che coi comunisti dialogava serenamente, e i frutti si vedevano!) Senza la caduta del comunismo, picconato da Wojtyla, ora forse il mondo sarebbe più vivibile, privo dell'ambigua globalizzazione e forse anche del terrorismo islamico, non per caso nato nei Paesi arabi dopo il fallimento dei regimi socialisti che parecchi di loro stavano, sia pur con fatica, consolidando.» |
Inserito il 02/03/2016 da Antonio Terracciano alla poesia "Papa Wotjtyla" di Adele Vincenti |
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