«Secondo la mia lettura, questa succinta poesia su Barcellona esprime bene il concetto che il nuovo non può mai cancellare del tutto il vecchio, dal quale comunque esso nasce. Barcellona, la spagnola Milano sul mare (come tutta la Catalogna, la Lombardia iberica), è senz'altro la città più evoluta della sua nazione, ma quella biancheria messa ad asciugare che sventola alla vista del turista ci rinvia ad un passato incancellabile, ad uno stereotipo tipicamente napoletano che ci riconcilia con le nostre tradizioni mediterranee.» |
Inserito il 27/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Mediterraneità" di Angelo 2000 |
«Mi è piaciuta questa poesia, perché chi l'ha scritta, con molta chiarezza, esprime i motivi per i quali non riesce più (momentaneamente) a scrivere . Mi spingo a dire che forse, proprio perché non sta scrivendo più, l'autore è un vero poeta, dato che i veri poeti non sono legati ad alcun vincolo, né di denaro, né di fama, ecc., e smettono quando vogliono (vedi Rimbaud, vedi Campana...): quando si accorgono di non avere più valide idee in testa, quando pensano di avere già dato il meglio di sé, quando desiderano vivere altrimenti la loro vita... Certe (anche lunghe) pause, a volte, non possono che essere propedeutiche a futuri risultati ancor più splendenti!» |
Inserito il 21/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Scrivevo" di Soledad |
«La malinconia, che per la psicoanalisi è un sinonimo della depressione, per i poeti (soprattutto romantici) è invece una compagna ideale, e chi ne è talvolta posseduto dovrebbe rallegrarsene, considerandola alla stregua di un prerequisito per la composizione di opere di valore (chi vuol essere vero poeta, deve mettere in conto la sofferenza) . Baudelaire scrisse, nelle "Fleurs", ben quattro poesie con l'identico titolo, "Spleen" (il nome inglese allora in voga per designare la malinconia), la più bella delle quali comincia così: "Quand le ciel est bas et lourd pèse comme un couvercle / Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis, / Et que de l'horizon embrassant tout le cercle / Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits" .» |
Inserito il 19/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Malinconia" di Giacomo Scimonelli |
«Con molta chiarezza il poeta sostiene che non si possano "confezionare" le poesie, perché esse (quelle vere) nascono soltanto quando siamo posseduti dal "fuoco azzurro" dell'ispirazione. Direi che la prima ipotesi non è però da scartare del tutto, anche se in tal caso dobbiamo essere consapevoli di avere fatto solo un po' di allenamento, di avere scritto un'opera di "serie B" . (Da un po' di tempo, ad esempio, partecipo, nel forum, al simpatico "gioco" della creazione di brevi poesie con tre parole fisse: talvolta riesco anche a scrivere qualcosa di interessante, che però non mi azzarderei mai a ripubblicare nel settore "pubblico" del sito, perché quell'esercizio è comunque privo dell'indispensabile "fuoco" che l'autore mette in evidenza.)» |
Inserito il 18/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Fuoco azzurro" di Felice Serino |
«E' assolutamente vero ciò che scrive il Crocetti in questo suo bel sonetto: l'amore universale (a parole) si manifesta soprattutto nei giorni delle importanti festività religiose (in particolare a Pasqua) . Ma direi che non c'è tanto da scandalizzarsi, perché l'uomo è fatto in modo tale da potere amare davvero soltanto un numero (molto) limitato di persone. (Ultimamente ho letto, non ricordo dove, che Cristo, saggiamente, disse "ama il prossimo tuo come te stesso", e non "l'umanità", intendendo con "prossimo" solamente le persone più vicine e concretamente raggiungibili.)» |
Inserito il 17/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Festività nell'anno" di ex Lorenzo Crocetti |
«"T'ha pijèd gust? " ("Ci hai preso gusto [ a comporre i sonetti ]? ") , direbbe la mia nonna pesarese. E si fa bene, secondo me, quando in un'età non più verdissima (qual è, credo, quella del Capaldo) si torna alle tradizioni, si (ri) scopre la nostra vera identità (chi vide sul letto di morte Proust, per metà ebreo, dal lato materno, ma che era rimasto indifferente, se non ostile, a quella religione durante la sua vita, disse che egli aveva finalmente acquisito le sembianze di un vero ebreo), oscurata dai tentativi giovanili (talvolta eccessivi) di contestare tutto, di trovare una strada a tutti i costi originale . I primi sonetti potranno anche avere qualche piccolo difetto, ma col tempo miglioreranno sempre più.» |
Inserito il 13/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Sospeso... come una finestra" di Luciano Capaldo |
«S'il y a une langue capable d'exprimer avec le maximum d'intensité et de délicatesse tous le détails de l'amour, cette langue est le français. Et Laura, une très valide femme poète, emploie le français d'une façon vraiment efficace pour décrire ici une partie des joies qu'on éprouve quand on tombe amoureux, quand on ressent la "ferveur première": la "blanche volupté clarifiant l'instant", ou "ton regard féconde les fragments du soleil" sont des vers absolument dignes de participer à la tradition de la meilleure poésie française de tous les temps.» |
Inserito il 12/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Ferveur première" di Laura Mucelli Klemm |
«E' un'interessante riflessione, da me senz'altro condivisa, quella che ci propone l'autore. Dopo avere dettagliatamente descritto le caratteristiche del telefono fisso, il suo carattere quasi umano oserei dire, l'autore lo paragona ai moderni mezzi di comunicazione, soprattutto ai telefonini e ad altre diavolerie del genere. La partita è vinta certamente dal telefono fisso, che già, secondo me, rappresentava il massimo della modernità in conversazioni con le persone assenti, e che non aveva certo bisogno di avere figli.» |
Inserito il 12/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Telefonica (mente)" di Paolo Delladio |
«E' una poesia che esprime molto schiettamente il pensiero di tanti (il mio senz'altro): le guerre servono soltanto per arricchire gli alti gradi militari, per mandare alla morte, alle mutilazioni o comunque a conseguenti disagi psichici o fisici giovanotti incolpevoli, e per conquistare, come dice l'autore, "cime che dovevano decantare le bellezze d'Italia", cime che sarebbero rimaste ugualmente belle (o forse ancora più belle?) se avessero continuato a decantare quelle dell'Austria, o di qualunque altra nazione, perché la natura è (dovrebbe essere) di tutti.» |
Inserito il 07/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Il monumento ai caduti della prima guerra mondiale" di Franco Campana |
«Giovanni Perri è uno dei maggiori esponenti (perlomeno in questo sito) della poesia moderna. Nelle sue composizioni c'è sempre qualcosa di ermetico, ma mai fino al punto di impedirne (ai lettori poco smaliziati come me) la comprensione, che almeno è possibile tentare. Vedo, in questa poesia breve, essenzialmente una riflessione linguistica: le parole ("luna" in questo caso) non hanno mai soltanto il significato letterale, ma aprono spiragli ad altri pensieri, a volte da esse totalmente scollegati, fanno pensare a ciò che lasciano in sospeso.» |
Inserito il 07/04/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Dici luna" di Giovanni Perri |
«Amo le rime, ma non al punto di essere, come mi sembra di capire lo sia l'autore di questa bella poesia, un loro difensore a spada tratta. A volte ci si mette a scrivere qualcosa che ci pare interessante, ma le rime non arrivano, oppure arrivano in modo forzato. Ci si domanda allora: "Che fare? " Due sono le possibili risposte: o si rinuncia, o si scrive senza rime (magari rispettando, laddove ci si riesce, la metrica) . Solo così, credo, possiamo far passare il nostro messaggio senza apparire "ben vestiti" a tutti i costi (a certi appuntamenti è meglio presentarsi con un jeans e una maglietta che in doppiopetto...)» |
Inserito il 31/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "La rima" di Giuseppe Vita |
«Ho apprezzato questa composizione poetica, in cui l'autrice confessa che, quando ha disagi fisici o morali, riesce soltanto a scarabocchiare il foglio, nell'attesa che le giunga una (sul momento improbabile) vena poetica. Ma fa bene a non disperare, perché, prima o poi, essa arriverà. Si tratta di elaborare il disagio, il dolore (come si fa con il lutto), di non tentare di dargli subito voce, perché si correrebbe il serio rischio di fare un semplice sfogo, di cercare una banale commiserazione, senza comporre una (sia pur modesta) opera letteraria. (Chissà perché a me - sia detto per inciso -, quando mi trovo in quelle condizioni, capita talvolta di scrivere qualche poesia comica...)» |
Inserito il 29/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "C’è una speranza" di Patrizia Cosenza |
«Argomento ambiguo, ambivalente, quello dei confini. Tutto ciò che dice il poeta in questa ben proporzionata, geometrica poesia, è vero. A noi umani sembra che solo la terra abbia i confini (cominciamo a porli all'uscio delle nostre case, per poi estenderli ai villaggi, alle città, alle regioni, alle nazioni), un fatto naturale per gli uomini e per gli animali, che marcano, come sappiamo, i loro territori. Ma chissà (noi non lo possiamo vedere) se anche i pesci nel mare e gli uccelli nel cielo hanno posto qualche sorta di confine in quelle quasi infinite distese che ci sembrano così uniformi?» |
Inserito il 28/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Confini" di Paolo Delladio |
«Chi ha scritto questa poesia, dotata di un'interessante struttura e di piacevoli giochi di rime, sembra quasi (piuttosto ironicamente, direi) chiedere scusa ai lettori, perché ama svisceratamente i fumetti, un genere d'arte da molti considerato ancora "di serie B" . Pur avendoli io sempre poco amati (forse perché non so disegnare...) , difendo senz'altro la passione dell'autore, che troverebbe un grande alleato (da Lassù ormai, purtroppo!) in Umberto Eco, cultore di tutti i generi letterari e che sdoganò il fumetto già negli anni Sessanta.» |
Inserito il 26/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Vignetta imperitura" di Angelo 2000 |
«Con il suo solito stile, lindo e impeccabile, ancora una volta il poeta ci fa riflettere su una grande verità, quella da lui ribadita nella nota: le cose ci sembrano belle o brutte, piacevoli o spiacevoli secondo il nostro stato d'animo. E anche secondo il nostro carattere, forse: personalmente, fin da bambino ho provato spesso un'inspiegabile maggiore soddisfazione nel vedere, magari, un funerale che una festa di carnevale, uno stato d'animo più sereno in una giornata uggiosa che in un'altra in riva al mare, ecc., ecc.; potrebbe darsi che certi caratteri non si rassegnino a reagire pavlovianamente agli ordini impartiti dalla consuetudine, e che cerchino vie quasi opposte per sentirsi più vivi.» |
Inserito il 25/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Pessimismo" di ex Lorenzo Crocetti |
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«E' interessantissima la questione sollevata dal Crocetti in questo, come al solito, tecnicamente perfetto sonetto: può essere considerata valida una poesia in cui c'è soltanto tecnica, e non sentimento? Direi che la risposta è ovviamente negativa: anche se la produzione è linguisticamente bella, le manca quella marcia in più, quell'"anima" che deve caratterizzare ogni opera poetica degna di tal nome. (Del resto, all'opposto, credo che le poesie pregne di sentimento ma prive di tecnica siano in qualche maniera invalide, che lascino cioè affiorare confidenze anche sincerissime, anime messe completamente e magari spudoratamente a nudo, ma adatte più ad una seduta psicoanalitica che all'arte poetica) .» |
Inserito il 20/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Sonetto senza ...sale!" di ex Lorenzo Crocetti |
«Noto, in questa composizione, uno stile letterario denso e inimitabile (posso dire alquanto lombardo, posso dire vicino a quello di Gadda, di Arbasino, di Brera?) , attraverso il quale chi ha scritto questa poesia si sofferma sull'amicizia, giustamente contrapponendo due proverbi contrari (ogni proverbio, di solito, ha sempre il suo opposto, proprio come la vita, in cui ogni medaglia ha il suo rovescio) sul valore dell'amicizia. Entrambi hanno ragione, perché non si deve generalizzare (quando ero ragazzo, mio padre, parecchio idealista, giudicò male un vicino di casa che sosteneva tranquillamente che le amicizie esistessero per sfruttarle; ma quel vicino di casa, forse, non aveva tutti i torti...)» |
Inserito il 18/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Sull'Amicizia" di giuseppe gianpaolo casarini |
«E' una poesia scritta in modo piacevole, ma che presenta una ben amara verità: la formazione dei tumori è causata essenzialmente dal nostro pessimo comportamento nei confronti dell'ambiente. E non sono solo i tumori ad aumentare! Sere fa, su "Rai Tre", vedevo un'impressionante inchiesta, in cui si evidenziava che, negli ultimi trent'anni, è cresciuto esponenzialmente il numero dei giovani (di vent'anni) infertili, se non già impotenti (e talvolta col seno eccessivamente sviluppato)! Sarebbe colpa dei prodotti chimici derivati dal petrolio, presenti ormai in tante cose che tutti usiamo ogni giorno. La razza umana, l'ultima arrivata sulla Terra, sarà anche la prima a scomparire?» |
Inserito il 17/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia ""Quella Malattia"" di Franca Merighi |
«La poesia, con piacevoli rime e formata prevalentemente da versi decasillabi, pone simpaticamente l'accento sulla tirannia del lavoro che, soprattutto quando esso non è molto gradito, tende a farci momentaneamente evadere con la mente, a ricondurci a un passato più piacevole, o a farci approdare, solo per pochi istanti, a qualche creazione, fatalmente interrotta dal noioso richiamo di quel lavoro. (Quante volte, a scuola, mentre i ragazzi facevano un compito in classe, mi mettevo a scrivere una poesia, inevitabilmente cancellata da una loro domanda o richiesta, che la soffocavano per sempre!)» |
Inserito il 13/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Lavoratori's karma" di Francesco Balzano |
«E' una fantasticheria che faccio talvolta anch'io, quella di essere sasso, pietra, soprattutto quando le cose della vita vanno un po' storte e si desidera intensamente una quiete quasi buddhista. Ma poi mi ricordo di una poesia portoghese di cento anni fa, della poetessa Florbela Espanca, che scriveva, anche lei, "eu queria ser a pedra que nao pensa, / a pedra do caminho, rude e forte! ", per concludere sconsolatamente, però, che anche le pietre non trovano pace, perché "pisa- as toda a gente! " (tutti le calpestano) .» |
Inserito il 07/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Essere sasso" di Silvana Poccioni |
«Luciano Capaldo è un autore interessante che, nelle sue composizioni poetiche con un marcato stile personale, si occupa spesso di temi davvero intriganti. Questa volta ci parla, con delicatezza, di ciò che si può provare nell'attesa di un incontro amoroso. Ha un ottimo alleato nel grande semiologo Roland Barthes, il quale, nei "Frammenti di un discorso amoroso", scriveva: "L'essere che io aspetto non è reale. Come il seno materno per il poppante, io lo creo e lo ricreo continuamente a cominciare dalla mia capacità di amare, a cominciare dal bisogno che io ho di lui: l'altro viene là dove io lo sto aspettando, là dove io l'ho già creato. L'attesa è un delirio. "» |
Inserito il 07/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "L’attesa di un incontro" di Luciano Capaldo |
«Ho molto apprezzato, in questa poesia, il tono rassegnato, realistico, ma sostanzialmente sereno, con il quale il poeta dipinge l'età avanzata che, è inutile negarlo, lascia poco spazio ad ottimismi e ad illusioni. La poesia ha un andamento quasi più francese che italiano: a parte il titolo e la bella e rara foto del "Voyage" del dottor Destouches, forse nella sua prima traduzione in italiano, i temi della composizione poetica mi sembrano molto vicini a quelli che furono magistralmente cantati da Léo Ferré nella sua "Avec le temps", dedicata a quel tempo che, quando si accumula ormai troppo, ci impedisce perfino di amare.» |
Inserito il 06/03/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Al termine della notte" di Pietro De Simone |
«In questa poesia, che potrebbe anche essere un po' criticata per alcuni versi un tantino prosastici, l'autore affronta, dal punto di vista del contenuto, acutamente un argomento che mi sta a cuore, e che talvolta non viene sufficientemente approfondito: la parola è croce e delizia del genere umano, e forse sono più numerose le volte in cui abbiamo pronunciato o scritto parole di cui poi ci siamo pentiti che quelle in cui le abbiamo indovinate, e spesso abbiamo parlato quando era meglio tacere, mentre siamo stati zitti, come osserva il poeta, quando dovevamo parlare. La parola è una sofisticata arma a doppio taglio, da maneggiare con estrema cautela.» |
Inserito il 18/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "La parola" di Agostino Biddau |
«Questa significativa poesia del Sossi mi ha fatto tornare in mente "Os Lusìadas" di Camoes, la "Divina Commedia" dei Portoghesi, dedicata in gran parte alle imprese di Vasco da Gama, le quali, come ben sintetizza l'autore, furono una via di mezzo, attorno al 1500, tra la diffusione di un blando potere portoghese e di un'addolcita religione cattolica. Il passato splendore lusitano (del quale proverà nostalgia perfino il Pessoa di "Mensagem") fu dovuto in gran parte ad alcuni grandi navigatori, a cominciare proprio da Vasco da Gama che, come scrisse Camoes, si avventurò "por mares nunca dantes navegados" (in mari mai prima navigati), e che "se mais mundo houvera, là chegara" (se ci fosse stato ancora mondo, là sarebbe giunto) .» |
Inserito il 16/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Il viaggio rosso" di Andrea Sossi |
«I poeti non si stancheranno mai di tessere le lodi di Parigi, di quella città in cui tanti popoli sono spesso stati accolti, per pochi giorni o per un'intera vita, con finezza e senso dell'ospitalità. Per chi l'ha saputa osservare e capire, Parigi si trasforma poi, come scrive il Prenna, in luogo dell'anima, da portare sempre in sé, anche quando si abita in un paesino del tutto insignificante. Il mio rammarico è che molti giovani d'oggi non sanno andare a Parigi "comme il faut": per loro la città non potrà mai trasformarsi in un luogo della loro anima, perché essi non colgono la sua anima, anzi spesso l'offendono, a cominciare dall'uso della lingua inglese nel tempio della bellezza, della ragione, dell'arte, della poesia!» |
Inserito il 16/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Nel cuore" di Michele Prenna |
«Arguta osservazione (mi sembra di capire), quella del Capaldo; le maschere (che comunque indossiamo sempre) sono bifronti: mentre quelle di tutti i giorni servono a nascondere la verità (le verità), quelle del Carnevale (sovrapposte alle maschere abituali) servono a farla emergere. Si potrebbe dire che, come in matematica il prodotto di due numeri negativi è un numero positivo, così una maschera (sempre negativa) messa sopra un'altra dà un prodotto positivo (ovvero: la falsità moltiplicata per la falsità produce la verità) .» |
Inserito il 14/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Maschere ... di Carnevale!" di Luciano Capaldo |
«Questa poesia mi è piaciuta perché riesce, con poche parole (è una "breve") a farci dubitare (se ho interpretato bene) delle categorie preconfezionate, una delle più abusate delle quali è quella che contrappone il lupo all'agnello. Quante volte, credendo di avere a che fare con un lupo, abbiamo constatato che era in realtà un agnello? E viceversa? La verità è che ognuno di noi è allo stesso tempo lupo ed agnello (segretamente i due animali "stringono accordi", scrive il poeta), secondo le circostanze, secondo le vicissitudini, più o meno adeguate al nostro io, che la vita ci presenta.» |
Inserito il 12/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Ninna nanna" di Salvatore D’Antonio |
«Ci sono probabilmente certe persone che amano fare i poeti "per finta": costoro non si stancheranno mai di scrivere versi, perché ciò li impegna relativamente, ed accresce la buona reputazione di cui essi già godono, per altri motivi, in società. Ci sono poi quelli, come l'Amaddeo, che cercano di fare i poeti "per davvero", di "essere" poeti, mettendo con sincerità e sforzo a nudo il proprio animo: ciò costa fatica, svuota di energie, fa dubitare della propria produzione (talvolta poco considerata); è comprensibile che venga la voglia di smettere, ma la passione vera, genuina, trascinante, prenderà sempre il sopravvento, anche contro l'originaria volontà dell'autore.» |
Inserito il 10/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Finisce qui" di Demetrio Amaddeo |
«Non molto tempo fa commentai entusiasticamente una poesia su Lisbona (e su Pessoa) di questo autore: aveva perfettamente compreso l'anima della città. Ora, leggendo questo profondo ritratto poetico della sua città, Trieste, ne comprendo meglio il motivo. Lisbona e Trieste hanno entrambe il particolare e irresistibile fascino della città decadente: Lisbona per non essere più la capitale di un immenso impero quadricontinentale, e Trieste per non fare più parte dell'Impero austro- ungarico, del quale essa era l'unico porto degno di tal nome. Ora è solo uno dei tanti porti italiani, e il fascino del coacervo di popoli che vi abitavano (Italiani, Sloveni, Tedeschi, Ebrei...) si è alquanto affievolito nel caotico calderone della nostra nazione.» |
Inserito il 09/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Trieste, o la mia città" di Andrea Sossi |
«E' una poesia semplice, schietta, le cui piacevoli rime cercano forse di addolcire la spiacevole verità di cui essa è portatrice. Se il telefono fisso (e non per caso, ad esempio, già Proust e Freud lo detestavano) è il rappresentante del simulacro della vera conversazione, il cellulare è il simulacro di un simulacro. Sono d'accordo con il poeta che esso dovrebbe essere usato solo in casi eccezionali (per chiamare urgentemente un medico, un poliziotto...) , mentre il suo abuso (come quello del telefono, del resto) disabitua sempre più alla vera conversazione, quella faccia a faccia: quando essa arriva, ci trova non allenati e viene trasformata in uno scambio di parole alquanto superficiale ed impacciato.» |
Inserito il 08/02/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Il cellulare" di Lucillo Dolcetto |
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