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Trovati 1032 commenti di Antonio Terracciano

Commento n° 822
«Il sensibile poeta, con questi bei versi, ha ricordato lo spiacevole episodio di pochi giorni fa allo stadio di Roma. Però io amo cercare di trovare le cause di qualunque avvenimento in modo possibilmente originale e, se l’autore me lo consente, darei la colpa maggiore all’istituzionalizzazione della Shoah, con il "giorno della memoria" che ha reso obbligatorio onorare ufficialmente quelle vittime. Si sa che i ragazzi e i giovani si oppongono sempre (esteriormente o interiormente) alle istituzioni, ed ecco cosa può accadere... (Quando ero ragazzo, negli anni Sessanta, delle vittime dell’Olocausto si parlava quasi segretamente, ed io sentii da solo, per reazione, il bisogno di leggere, come feci, il "Diario" di Anna Frank...)»
Inserito il 29/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Canto dell’ odio per la Memoria" di romeo cantoni  

Commento n° 821
«Incipit quasi montaliano, direi ("Tu non ricordi la casa dei doganieri... ") , per questa deliziosa poesia in calibratissimi versi liberi (impreziositi di non rari endecasillabi) del "classico" Crocetti (sono del parere che il verso libero possa essere meglio usato da chi ha una precedente pratica con gli schemi metrici) . L’argomento trattato (la mancata condivisione dei ricordi) è stimolante, perché ogni avvenimento incide in modo diverso sulle varie persone, tanto che addirittura ci si potrebbe paradossalmente chiedere: "Esistettero davvero certi fatti, o essi sono esclusivo patrimonio di ogni singola mente? "»
Inserito il 26/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Vento sul passo della Futa" di ex Lorenzo Crocetti  

Commento n° 820
«Gli inviti a cena, o a pranzo, un po’ come le vacanze, sarebbero davvero efficaci se fossero pressoché quotidiani (e le vacanze se potessero essere continue) . Altrimenti, come chiaramente espresso da questo poeta, un maestro del limpido verso libero, ci si sforza per non sentirci in imbarazzo e si lenisce illusoriamente solo per un po’ di tempo la propria solitudine, che poi si ripresenta più tenace di prima quando si torna a casa (come un farmaco che, preso saltuariamente per alleviare un dolore, ripropone più intensamente quel dolore quando non se ne fa più uso) .»
Inserito il 24/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Quel sentirti" di Felice Serino  

Commento n° 819
«Sarò sincero (come sempre): raramente leggo le poesie di Lia, perché sono solo un lettore medio( cre) che intuisce la bellezza delle sue opere, ma che non riesce a coglierne che molto superficialmente il contenuto. Mi accadeva, da giovane, spesso anche con Montale, e ciò che riesco a dire è che lo stile di Lia assomiglia un po’ a quello del grande ligure, soprattutto per la palese e compiaciuta ricerca di parole rare, che obbligano a consultare un buon dizionario (questa volta ho appreso il significato, finora da me sconosciuto, di "càmole") . Leggendo Lia, otteniamo sempre un sicuro risultato: ampliamo la nostra conoscenza dell’italiano.»
Inserito il 22/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Respiri d’albeggio" di Lia  

Commento n° 818
«Forse il lessico (bukowskiano, vogliamo dire?) usato dal poeta potrebbe essere non gradito da parte delle lettrici e dei lettori più delicati e perbenisti, ma credo che non si possa contestare la verità contenuta in questa poesia. Come siamo costretti, fisicamente, a liberare l’intestino, o lo stomaco, quando avvertiamo un peso opprimente, così la stesura di una poesia ci libera (provvisoriamente) dalle angosce dell’anima (Dante si liberò dei suoi nemici politici, Ungaretti delle paure della guerra, Pascoli degli atroci ricordi infantili, ecc.) E, aggiungerei, non ci si scandalizzi troppo per gli insistiti riferimenti anali (altrimenti, anche Freud dovrebbe scandalizzarci...)»
Inserito il 20/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "" di   

Commento n° 817
«Spesso le poesie brevi, proprio perché usano poche parole, non sono di facile interpretazione, e l’autore mi perdonerà se sbaglio, ma ritengo che questa composizione (perfetta per l’equilibrata struttura e per l’efficacia del lessico usato) sia una di quelle poesie che parlano della poesia stessa, che sia una ricerca poetica elevata al quadrato. Sospinto da qualche dio, il fonema (l’unità minima del linguaggio), che spesso serve ad iniziare (o a completare) un lavoro e che quindi è avidamente ricercato dall’autore, passa velocemente nella sua mente, soprattutto nel sogno, o in momenti estatici, facendogli ammirare tutta la sua bellezza: fortunato è il poeta che riesce a catturarlo e a trasferirlo nella sua opera!»
Inserito il 17/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Fonèma" di Felice Serino  

Commento n° 816
«Il Garbellini, con questi suoi chiari ed armonici versi, ha messo il dito sulla piaga: per un uomo è un’impresa disperata capire fino in fondo una donna! C’è chi, palesando false sicurezze, sostiene di riuscirci, ma gli uomini più sensibili (gli scrittori) hanno onestamente ammesso più volte la loro sconfitta. Penso a Boris Vian, a Italo Svevo, a Franz Kafka... (A proposito di quest’ultimo, secondo Elias Canetti pare che egli abbia addirittura scritto il famosissimo "Processo" per trasfigurare l’esperienza avuta con una ragazza berlinese, da lui considerata semplicemente un’amica e che, invece, l’aveva portato a un passo dalle nozze, che spaventavano Kafka in modo paralizzante...)»
Inserito il 14/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "E’ il più grande mistero della vita" di sergio garbellini  

Commento n° 815
«Tutto cambia lentamente sotto i nostri occhi e, se il cambiamento di ciò che vediamo ogni giorno è quasi inavvertibile, quando abbiamo l’occasione di rivedere dopo tanto tempo un luogo amato quasi non lo riconosciamo più, perché le differenze rispetto al passato si sono accumulate e piombano tutte insieme nella nostra mente (non accade la stessa cosa, ad esempio, anche per le persone riviste dopo tanti anni?) : questo tema è trattato da Lorenzo Crocetti con la sua solita lucidità poetica, in perfette e linde quartine di endecasillabi.»
Inserito il 13/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Ritorno al paese" di ex Lorenzo Crocetti  

Commento n° 814
«Chissà se la demenza senile, descritta dalla poetessa con tanta empatia ed in maniera molto toccante, è davvero una malattia o non rientra piuttosto nella norma, in quello che in realtà noi siamo sempre stati, dei bambini indifesi, costretti a trasformarci in adulti "consapevoli" soltanto a causa delle necessità di questa vita così assurda? Il tramonto assomiglia all’alba: la luce è scarsa, e la fine (della giornata / della vita) non è che l’altra faccia dell’inizio.»
Inserito il 11/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Bimbi sperduti" di Eleonora Capomastro Orofino  

Commento n° 813
«Quanti sani consigli in questi deliziosi ottonari! Per i Francesi, spesso più freddi, razionali e realistici di noi, quei castelli non sono "in aria", ma "en Espagne", alludendo forse alle assurde aspirazioni donchisciottesche (che riassumevano quelle di molti Spagnoli dell’epoca) . Ognuno deve seguire la propria natura per evitare figuracce, sembra suggerirci giustamente il poeta! (Ad esempio, un’aspirazione più che legittima sarebbe quella del Garbellini, se egli ambisse a farsi leggere anche dai posteri; se vi ambissi io, troverei al massimo un novello Cervantes Saavedra che farebbe ridere il mondo creando un nuovo don Chisciotte...)»
Inserito il 10/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "I castelli in aria della nostra vita" di sergio garbellini  

Commento n° 812
«Ho dato un’occhiata, in Internet, a questo "Mercato di San Benedetto" di Cagliari, descritto con tanto amore e tanto colore dal poeta nella sua bella e lunga poesia con accattivanti rime: edificato nel 1957, è il più grande d’Europa, e si trova nel centro di Cagliari, in via Ortu. Ebbene, questa poesia è stata per me una specie di "madeleine" proustiana, perché mi ha fatto rivivere i quindici giorni gioiosi passati nel 1974 proprio in quel mercato (che magari allora non era ancora così grande), quando, recluta alla caserma "Monfenera", fui incaricato, insieme a un altro soldato, di aiutare un anziano e umanissimo maresciallo a fare la spesa viveri (soprattutto frutta e verdura) per la mensa della caserma.»
Inserito il 04/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Saint Benedict Markt" di gabriele vacca  

Commento n° 811
«Ogni dialetto possiede le sue caratteristiche e, se quello napoletano è adatto alle fantasie sdolcinate, se il milanese appare spesso realistico, se il romanesco e il toscano ben si prestano a una visione sovente scanzonata e pungente della vita, il dialetto siciliano esprime con forza l’intensità dei sentimenti, sia positivi che negativi: è come un vento che spira dal sud (preislamico) e dall’ovest (donchisciottesco) che, frenando un po’ la sua furia sull’isola, permette l’adeguata espressione di pensieri così sofferti come questo dello Scimonelli.»
Inserito il 01/10/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Senze’tia" di Giacomo Scimonelli  

Commento n° 810
«Ogni vecchia generazione si rammarica per la scomparsa, o per l’affievolimento, nella generazione attuale di valori presenti e forti ai suoi tempi (o che il suo ricordo gli fa ritenere che fossero tali) . In questo pregevolissimo (come al solito) lavoro poetico, il Ghione, pur non disperando, si rincresce della poca luce che fanno attualmente la pace, la fede, l’amore e la speranza (un po’ come, negli anni Sessanta, Georges Brassens, nella sua canzone- poesia "La rose, la bouteille et la poignée de main" già si lamentava della quasi totale scomparsa della galanteria, dell’arte della condivisione, dell’amicizia gratuita e della sincerità) .»
Inserito il 29/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Quattro sorelle" di Giovanni Ghione  

Commento n° 809
«Direi che l’autore è stato fortunato nell’aver conquistato sua moglie (anche) con le poesie a lei dedicate, perché spesso si rischia di ottenere l’effetto contrario (dipende, certo, dalla sensibilità delle singole donne) . Sono invece totalmente d’accordo con le poesie dedicate ad amici, amiche, conoscenti, colleghi, colleghe, ecc., perché queste poesie, prive dell’assillo della conquista amorosa, risultano il più delle volte un regalo davvero gradito, una finezza, un surplus al quale il genere umano è raramente insensibile.»
Inserito il 22/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Quando l’amore diventa poesia" di Antonio Guarracino  

Commento n° 808
«Con questa poesia, ancora una volta tecnicamente costruita in modo interessante, il giovane poeta riesce di nuovo a toccare una corda molto simile alla mia. La poesia, la letteratura, l’arte e il pensiero in generale sono parecchio esclusivi, e riescono ad attrarci così fortemente da impedirci di godere delle gioie semplici, alla continua portata della maggior parte della gioventù. E, quando capita di assaporarle (anch’io giocai, rarissimamente, a biliardino), il nostro godimento è più grande di quello di coloro che vi sono abituati, perché le eccezioni hanno sempre un gusto più intenso, in quanto (lo intuiamo) soltanto provvisorio.»
Inserito il 21/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Biliardino e miracoli" di Angelo 2000  

Commento n° 807
«Non è la prima volta, mi pare, che Angelo ci fa sapere di amare la pioggia, e anche stavolta esprime questa sua preferenza (che io condivido) con molta grazia. E' facile far passare una prosa per poesia, ma Angelo resta ben lontano da questo pericolo, scrivendo versi che, pur avendo una lunghezza estremamente variabile, sono imperniati su un abile gioco di rime e di consonanze. Spesso le belle poesie non sono tanto quelle che si occupano di sentimenti elevati e di profonde riflessioni, ma quelle che esprimono con finezza considerazioni su minimi avvenimenti, e Angelo ce ne fornisce un delizioso esempio.»
Inserito il 14/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Un punto al pessimismo (ma sarà pessimismo?)" di Angelo 2000  

Commento n° 806
«Attratto dal titolo baudelairiano ("Ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare") , ho letto con piacere questa composizione. Certo, l'autrice (un'insegnante, suppongo) ha avuto una brillante idea (considerare la scuola, nel suo complesso, come una bottiglia di ottimo vino, che dispensa l'ebbrezza a chi la frequenta) . Nella realtà, purtroppo, le cose stanno raramente così, perché le "bottiglie di vino" che vi si trovano sono sovente mediocri, e inoltre pure spesso nascoste dalla troppa burocrazia. Certo, se gli insegnanti di materie letterarie fossero tanti Ungaretti (poniamo), e quelli di materie scientifiche tante Margherita Hack, allora sì che gli alunni si ubriacherebbero davvero, e con gran gusto!»
Inserito il 13/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Ubriacatevi" di Franca Mugittu  

Commento n° 805
«Ogni dialetto (come del resto ogni lingua) è bello, a condizione che sia scritto con la massima cura. Non conosco (come credo anche la stragrande maggioranza dei lettori) il dialetto della Val Bormida, ma basta un occhio (e un orecchio) minimamente esercitato per rendersi conto dell'estrema attenzione dedicatagli dal Ghione (cosa che d'altronde si riscontra in tutte le sue produzioni, non solo dialettali) . I dialetti (soprattutto quelli più rari, patrimonio ormai di poche persone) vanno salvaguardati e rispettati il più possibile, come, nel campo etologico ad esempio, quei famosi panda, affinché non si estinguano.»
Inserito il 10/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "L'è carò la neuc" di Giovanni Ghione  

Commento n° 804
«Secondo la mia lettura, il poeta ci fa muovere in un'atmosfera situata tra Baudelaire (per la presenza di quell'"albatros" qui morente, e non catturato come nelle "Fleurs du mal") e Pessoa (per il riferimento, fin dal titolo, all'inquietudine, a quell'ansia ben presente nell'autore del "Libro dell'inquietudine", appunto) . Ad una certa età, sembra dirci il poeta (secondo la mia interpretazione), si comincia ad avere paura di osare, di comportarsi spensieratamente come i giovani. A nessuna poesia fanno male i riferimenti letterari, ed in questa opera essi mi appaiono particolarmente adeguati.»
Inserito il 09/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Inquietudini" di Pino Tota  

Commento n° 803
«Charles Baudelaire, nelle "Fleurs du mal", dedicò tre poesie al gatto. Pinotota si è ispirato particolarmente alla prima di queste poesie (quella relativa agli occhi e allo sguardo del divino animale) . "Viens, mon beau chat, sur mon coeur amoureux; / Retiens les griffes de ta patte, / Et laisse- moi plonger dans tes beaux yeux (...) " sono dei versi superbi, ma quelli che Pinotota ha voluto dedicare al grande poeta transalpino e al suo animale preferito non sono certo tanto inferiori!»
Inserito il 06/09/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Il gatto di Baudelaire" di Pino Tota  

Commento n° 802
«Rari sono i poeti e gli scrittori capaci di fare appassionare il lettore ad argomenti che egli poco conosce e cura (di solito il lettore ama maggiormente gli autori che hanno i suoi stessi interessi) . Sono ben poco avvezzo al mare, ai porti e tanto meno alla pesca, ma il Vacca, con questa sua nitida e concreta poesia (in cui le belle rime sembrano essere funzionali al rinforzo dei concetti espressi), mi ha quasi suscitato il desiderio di fare quantomeno una passeggiata nei paraggi di un porto! I grandi scrittori, inoltre, si riconoscono anche dal loro stile personale, ed ormai sarei capace di riconoscere una poesia del Vacca anche se non fosse da lui firmata...»
Inserito il 30/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Nel porto" di gabriele vacca  

Commento n° 801
«Il poeta confessa di aver trovato l'anima di Firenze non nei suoi monumenti o nelle sue chiese più celebri, ma in un'anonima ansa dell'Arno che si rispecchiava in un anonimo palazzo. E' l'impressione che ho avuto anch'io visitando varie città che conosco meglio di Firenze. In generale l'anima non s'annida nei luoghi più turistici di una città, come non si trova nelle qualità più esibite dalle persone, nell'ufficialità delle feste comandate o nei versi delle poesie più premiate...»
Inserito il 26/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "L'anima nell'Arno" di Angelo 2000  

Commento n° 800
«Trovo molto saggio il pensiero del padre dell'autrice di questo lavoro. Anch'io la penso un po' così, ed ho ricollegato immediatamente quella considerazione a ciò che disse uno zaddik (un rabbino dell'Europa orientale dell'Ottocento; cfr. "I racconti dei Chassidim", di Martin Buber): "Quando Rabbi Bunam stava per morire, sua moglie piangeva. Egli disse: 'Che piangi? Tutta la mia vita è stata soltanto perché imparassi a morire. ' "»
Inserito il 23/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Il trapasso" di Giulia Gabbia  

Commento n° 799
«E' senz'altro meritevole di plauso tutta l'opera poetica dialettale (compresa quest'ultima poesia, naturalmente) di Peppe Cassese, che con perfetta padronanza ortografica (essenziale anche, e forse soprattutto, per un dialetto), e sovente con una verve un tantino istrionica che non guasta, ci fa gustare un dialetto napoletano classico difficile da trovare in altre produzioni. Paragonerei la preziosa opera del Cassese a quella di Fabrizio De André nell'album "Creuza de ma": a Napoli, come a Genova, non si usano più ormai certi termini ("guarattelle", "schiattosa", "guittaria" ...) nella vita odierna, ma sono essi che danno sapore a un'opera d'arte degna di essere tramandata.»
Inserito il 17/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "E so' cuntento (E sono contento)" di Peppe Cassese  

Commento n° 798
«In questo sito c'è chi inserisce quasi tutte le sue poesie nella nobilissima categoria dell'"amore", e chi, come il Pochini, le immette, magari senza neppure grandi pretese letterarie, in quella, molto più umile, della "comicità" . Ma, secondo me, la sua è un'impresa benemerita, perché viviamo in un'epoca che spesso sembra aver perso la virtù del (sor) riso. Più che far ridere, le poesie del Pochini (come questa, dedicata alle tante file che siamo costretti a fare nella vita) fanno (talvolta un po' amaramente) sorridere: al poeta va dato il merito di sapere tenersi lontano dal mettere in poesia raccontini più salaci, che potrebbero sfiorare la volgarità, tranello nel quale io, ad esempio, ho rischiato talvolta di cadere.»
Inserito il 15/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Le file" di vittorio pochini  

Commento n° 797
«Questo giovane poeta (e valente critico: ho letto alcuni suoi commenti) mi è congeniale, perché spesso mi ricorda chi ero io (con minore profondità) alla sua età. In questa poesia egli si rammarica di dovere abbandonare la sua attività poetica per intraprendere gli studi ingegneristici. Anch'io dissi "basta" attorno ai vent'anni, perché dovevo fare le "cose serie" . Ma la poesia è come una malattia cronica: la si può curare prendendo qualche pilloletta ogni giorno, ma non debellare. E sono quasi certo che Angelo, dopo una più o meno lunga "cessazione di attività", riaprirà, in età più avanzata, il negozio della poesia con ancora maggior vigore e determinazione (smetterà di prendere quelle "pillolette sociali" ...)»
Inserito il 14/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Mai mi avrete" di Angelo 2000  

Commento n° 796
«Confesso che leggo sempre le poesie di Dorella Dignola, ma che non le commento più da tantissimo tempo per un solo motivo: sono (e questa non fa eccezione, anzi...) così belle, così tecnicamente perfette, così musicali e così piene di significato (spesso nostalgico) che ho paura di sciuparle con qualche parola di troppo o inadeguata (mi sto accorgendo, col tempo, che molte volte la bellezza e il valore di una poesia sono inversamente proporzionali al numero di commenti che essa ha ricevuto) . Immagino che anche tutti gli altri lettori della poetessa (che secondo me dovrebbe averne molti di più) la pensino come me.»
Inserito il 12/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Precarietà" di Dorella Dignola  

Commento n° 795
«Non amo ripetermi, e penso che sia superfluo ribadire le eccelse doti di chiarezza e di plasticità che hanno tutte le poesie del Vacca: la scelta di vocaboli semplici ma netti riesce a dare rilievo a tutti gli argomenti trattati (questa volta è di scena la scultura) . Ma vorrei approfittare del commento per evidenziare un vezzo particolare (non è la prima volta che lo noto) che il poeta può permettersi in quanto cagliaritano. Nella prima strofa, "descritta" fa rima con "finita" e "matita": ciò che sarebbe un po' scorretto in un'altra regione non lo è in Sardegna, dove spesso non c'è differenza tra la "t" semplice e quella geminata (la consonante è pronunciata sempre doppia) .»
Inserito il 08/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Lo scultore" di gabriele vacca  

Commento n° 794
«Forse all'inizio di questa ben strutturata poesia c'è un molto larvato doppiosenso che non guasta affatto in un'opera "comica" . Ma la poetessa essenzialmente rende un giusto omaggio al peperoncino, a quell'ingrediente della cucina meridionale (soprattutto lucana e calabrese) che è un vero toccasana (studi scientifici lo dimostrano) per la nostra salute. Mi risulta che in Calabria il peperoncino "si presenta in tavola già di buon mattino, col 'morseddu', perché, dice un adagio calabro, 'chi ben mangia di buon'ora con un pugno sfascia un muro' " (da un libro di cucina) .»
Inserito il 06/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Peperoncino amore mio" di RitaLM  

Commento n° 793
«Se ho ben compreso, il poeta, con significativi e ben strutturati versi liberi, fa un sogno che anche a me, forse proprio perché sono un linguista e conosco piuttosto bene i trucchi e gli inganni del linguaggio umano, capita ogni tanto di fare: ci capiremmo meglio ed in modo certamente più essenziale se fossero gli occhi, anziché le bocche, a parlare, se ci avvicinassimo all'autentico linguaggio, semplice e diretto, degli "specchi dell'anima"! E alla fine, sembra sostenere il poeta, il messaggio principale sarebbe forse quello di una benefica risata da opporre alle molte volte finte seriosità dei nostri mondi di parole...»
Inserito il 03/08/2017 da Antonio Terracciano alla poesia "Due occhi" di Fedel Franco Quasimodo  

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