«Ho letto con vero piacere questo sonetto un po’ anomalo, perché tratta chiaramente un argomento che conosco bene: la grande difficoltà di scrittura del dialetto napoletano. Solo attraverso letture di alcuni poeti classici e la consultazione di libri e di vocabolari (come ho fatto artigianalmente io) o, meglio, con la frequentazione di un corso (come ha fatto l’autore di questo lavoro) si può sperare di scrivere in modo corretto il dialetto, pur, forse, senza mai avere la certezza di non commettere errori. Basterebbe una minima défaillance (come non raddoppiare, ad esempio, la "n" nella parola "napulitano" del titolo) per far crollare tutto il delicato poetico castello di parole!» |
Inserito il 16/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "’O cuncorzo e ‘o nnapulitano" di Antonio Guarracino |
«Con questi versi essenziali ed efficaci la poetessa si sofferma su una condizione esistenziale da me ben conosciuta: sentirsi estranei nel proprio paese, nella propria città. I motivi possono essere diversi, ma la sensazione, certo poco piacevole (quando non si parla il dialetto del luogo, ad esempio, o non se ne condividono le tradizioni, c’è la quasi certezza di fare risicate ed aleatorie amicizie), può essere riscattata dalla soddisfazione intellettuale di saper vedere le cose da un altro, personale punto di vista. Le radici, però, ci suggerisce l’autrice alla fine della poesia, restano comunque, e forse in età avanzata ci si riconcilia con esse.» |
Inserito il 14/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Il mio Sud" di Monica Messa |
«Se è indubbiamente vero che il mistero è intrigante, è altrettanto vero che uno dei bisogni fondamentali del genere umano è quello di svelarlo, di dare una spiegazione (sia pur solamente illusoria) a tutte le cose. E, soprattutto nella sua seconda parte, la poesia elogia le similitudini tra il macrocosmo e il microcosmo, la completezza cui lo spirito anela. Indirettamente, questo lavoro mi sembra anche un apprezzamento per quelle poesie che sanno, magari con pochi versi, darci un senso compiuto, se non del mondo, almeno degli argomenti che esse affrontano.» |
Inserito il 11/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Poesia della completezza" di Monica Messa |
«Il prolifico autore, che questa volta si è voluto cimentare con la satira, mi permetterà, immagino, di non essere d’accordo con lui. Anch’io mi preparo delle autentiche ciofeche, intese come caffè, che però non mi permetterei mai di offrire ad eventuali ospiti. Se vado al bar, invece, pretendo un caffè almeno sufficiente. Passando alle poesie, tutti hanno certo il diritto di scriverne di scadentissime, ma dovrebbero tenerle per sé, mentre quando le pubblicano (soprattutto in un sito selettivo, sia pur blandamente, come questo) dovrebbero fornire al lettore un prodotto almeno accettabile... (Chi ritornerebbe nello stesso bar in cui gli hanno servito una ciofeca?)» |
Inserito il 08/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "" di |
«E’ una situazione comune a molti, credo, quella descritta dalla poetessa in questa sua accorata composizione poetica. La tristezza, il silenzio, l’ombra dei ricordi strettamente personali, che non possono essere condivisi con gli altri, sembrano impossessarsi di tante persone sensibili e condurle verso strade senza uscita, verso la passiva accettazione della vanità del mondo. Del resto, senza queste intime e profonde sofferenze (che talvolta però, all’improvviso, per un gradevole incontro fortuito o per un repentino mutare dello stato d’animo, possono essere, anche se per breve tempo, superate) difficilmente nascerebbe la poesia.» |
Inserito il 26/05/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Labirinti" di Elena Poldan |
«E’ molto difficile per me, pessimo lettore di poesie ermetiche, commentare un’opera come questa, ma sento il dovere di farlo, per una volta, perché da essa emana un fascino particolare, sembra una poesia nata proprio da un sogno, come Sogno è il cognome della poetessa. Posso appena dire che vi scorgo un’originale vena metafisica molto personale, anche se non la so analizzare approfonditamente (evidenzia il piacere della piccolezza, dell’isolamento?) Mi trovo di fronte a questa poesia quasi come davanti a certi film di Federico Fellini: ne apprezzo la bellezza onirica e me ne lascio passivamente conquistare. Spero che la poetessa saprà perdonare le eventuali inesattezze di questo mio modesto commento.» |
Inserito il 22/05/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Pochi decimi di efa e un grano nuovo" di Claudia Sogno |
«"Delle poesie rimangono non le parole, ma il gusto che si prova a pronunciarle" . E’ indovinatissima, direi, questa definizione della poesia (a volte ho l’impressione che le poesie sulla poesia siano la quintessenza della poesia stessa), che evidenzia, a mio modo di vedere, la prevalenza della forma sul contenuto nella nostra arte. (Quante volte mi trovo, ad esempio, a ripetere un verso di Dante, di Mallarmé, o di Montale, senza pensare al significato - pur se c’era -, ma inebriandomi esclusivamente della loro musica, dell’eccentrico piacere che danno all’anima, proprio come "dopo un bacio, un silenzio, un addio"! )» |
Inserito il 15/05/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Quello che resta" di santo aiello |
«E’ un delicato sonetto d’amore, quasi perfetto. Ma scrivo questo commento soprattutto per complimentarmi con l’autore per la sua originale idea di far terminare con una parola francese praticamente tutti i versi. Piaccia o meno, la lingua francese è molto probabilmente la più indicata per apportare a una composizione poetica quel lusso, quella calma e quella (ponderata) voluttà (per citare le tre parole di una famosa poesia di Baudelaire), virtù quanto mai utili per farci almeno momentaneamente astrarre dalla vorticosa (e a volte folle) velocità del mondo moderno, causa di numerose insoddisfazioni.» |
Inserito il 14/05/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Un incontro" di Mattia Pomponi |
«"Esiste un insondabile terreno vago della percezione che è esclusivo dominio dell’elemento femminile, un terreno nel quale i maschi sono destinati a soccombere", scrive Giancarlo De Cataldo nel suo ultimo romanzo, "L’agente del caos" . Questa raffinata poesia rende bene l’idea (malgrado l’ottimismo finale) della difficile comprensione, da parte degli uomini, del complicato universo femminile.» |
Inserito il 06/05/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Zala e l’altra faccia della luna" di Salvatore Pintus |
«Napoli è tutto e il contrario di tutto, sembra dirci, in pratica, il poeta in questi suoi sontuosi versi. Tutte le città sono tutto e il contrario di tutto, ma a Napoli questa dicotomia si manifesta in modo più marcato, e ciò può attrarre irresistibilmente alcuni e respingere inevitabilmente altri. Vivere a Napoli significa (anche) essere disposti ad accettare l’estremamente bello accanto allo squallidamente brutto, a passare con disinvoltura dal sommo bene all’inquietante male. Come la natura in cui è immersa, Napoli non conosce le mezze misure, e un fine d’anno, ad esempio, o una vittoria dello scudetto nel calcio non saranno mai altrove così festosi e così pericolosi allo stesso tempo come in questa inimitabile città.» |
Inserito il 03/05/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Napoli" di Peppe Cassese |
«"Dov’è quel tempo meraviglioso sparito nel tempo? " è la domanda (retorica) che conclude questa leggibilissima composizione poetica. Penso che uno dei principali motivi di rammarico degli adulti, e ancor più degli anziani, sia quello di non rassegnarsi alla fine dell’epoca vissuta da ragazzi, o da giovani. Se c’è una colpa, però, essa è solo nostra, perché non avevamo messo in conto, allora, che la vita così come la vivevamo negli anni Cinquanta, Sessanta o Settanta dovesse (come tutte le cose) poi inevitabilmente finire, cambiare forma, diventando non necessariamente peggiore. L’intenso ricordo dei nostri primi lustri dell’esistenza diventa così un importante motore dell’ispirazione poetica e della nostalgica concezione del mondo.» |
Inserito il 25/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Dov’è quel tempo" di Mara Reggio |
«Feci, nel 1974, i primi due mesi di servizio militare a Cagliari, alla caserma "Monfenera", cioè a poca distanza dalla Basilica di Bonaria. Non sono tanto credente, ma ricordo ancora che, ogni volta che le passavo davanti, provavo un senso di quiete e di pace, che mi aiutava a sopportare meglio i disagi di quella vita militare che poco gradivo. Alcuni sostengono addirittura che questa Madonna abbia dato il nome alla capitale dell’Argentina, a quella Buenos Aires che, unitamente al nome "Palermo" di un suo vecchio e centrale quartiere, renderebbe così benissimo omaggio alle due maggiori isole italiane.» |
Inserito il 22/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Madonna Di Bonaria" di Francesco Cau |
«Riflettiamo un po‘. Se Dante, poniamo, non avesse mandato all’inferno i suoi nemici politici con rime ed endecasillabi perfetti, ma con dei "vaffa" come un Beppe Grillo qualsiasi, non sarebbe venerato da tutti ancora adesso, a settecento anni dalla sua scomparsa. E anche nella prosa, Voltaire e d’Holbach espressero più o meno le stesse critiche nei confronti della religione, ma Voltaire è diventato eterno per la sua grazia e la sua ironia, mentre l’eccessiva rudezza di d’Holbach lo ha fatto praticamente dimenticare... C’è modo e modo di dire le cose, ed assicuro alla poetessa (che tanto stimo) che il modo migliore è quello vestito di leggerezza, di lingua raffinata e - perché no? - di un po’ di finzione.» |
Inserito il 19/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "No filter" di Paola Riccio |
«E’ solo per colpa mia che di solito non riesco a comprendere (pur se talvolta le gusto) le poesie in stile moderno e piuttosto enigmatico di Lia. Ma questa volta credo di avere afferrato il senso della poesia: la poetessa, secondo me, confronta la fanciullezza con l’età matura; nella prima fase della vita si è legati alla terra, si colgono le bellezze dei prati, dei fiori, ecc., mentre nella seconda siamo portati ad alzare gli occhi verso il cielo, a preoccuparci maggiormente dello spirito (dato che la fisicità comincia a perdere dei colpi), facendoci trascinare dal vento che è nell’aria e che non sappiamo dove ci condurrà... Mi scuso se la mia interpretazione non è corretta.» |
Inserito il 18/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Oralità nel vento" di Lia |
«Ottima, breve e intensa, questa considerazione poetica del Laurenti, che suona a mo’ di consiglio per le ragazze. Ma esse, credo, ne sono intuitivamente consapevoli, perché il "gusto amaro del pianto" si legge a distanza, e l’altro sesso non lo gradisce granché. (Sarà per questo gusto, forse, che buona parte della produzione poetica - degli uomini, ma, a dire il vero, anche di parecchie donne - si concentra sulle storie d’amore sfortunate?)» |
Inserito il 14/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Senza titolo" di Eraldo Fabrizio Laurenti |
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«Questi consigli in forma di poesia trattano un argomento a me molto caro: l’importanza degli incisi (e in particolare delle parentesi) . Mi innamorai delle parentesi soprattutto leggendo la "Recherche" di Proust (che, in media, ne ha una, a volte lunghissima, ogni due pagine), accorgendomi che esse sono come gli affluenti di un fiume, come le parole bisbigliate all’orecchio, come quegli indispensabili dettagli che ci aiutano a capire meglio le cose. Forse più adatti alla prosa che alla poesia, gli incisi ci invogliano a deviare ogni tanto dalla via maestra, come quando si abbandona momentaneamente un’autostrada per cercare una trattoria, e si scoprono paesaggi inaspettati.» |
Inserito il 09/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "L’inciso e i lillà" di carla vercelli |
«Sembrerà strano ai più (in questi tempi moderni dell’imperante poesia in versi liberi), ma quelle "contiguità inespresse [ che ] s’intrufolano furtive" alle quali si riferisce l’autore di questo breve componimento, io le trovo nelle costrizioni della metrica, e forse ancor più nella ricerca delle rime. Il pensiero, infatti, in questo caso, deve per forza deviare dalla via maestra iniziale (dall’ispirazione originaria), per rispettare le regole, e spesso è proprio lì, in quelle stradine secondarie della ricerca, che trova quelle inaspettate associazioni di idee che un pensiero più lineare (come quello della prosa) più raramente riesce a incontrare. Preciso comunque che questa è solo la mia lettura personale del testo.» |
Inserito il 05/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Contiguità" di Marco Forti |
«Un altro testo forte di Paola Riccio, questa volta scritto per protestare contro la censura alle poesie. Penso che essa sia sempre esistita, e che purtroppo esista tuttora. Durante il Ventennio, ad esempio, i poeti ermetici riuscirono ad eluderla, pagando però il prezzo di dover scrivere in modo così oscuro da farsi comprendere da pochissimi lettori eletti (non certo dai censori fascisti, a volte non tanto raffinati) . Sarebbe davvero una disgrazia se quei tempi tornassero, se almeno i poeti non avessero riconquistato la libertà di dire ciò che pensano! (Forse l’unica censura si dovrebbe applicare alle forme ben poco poetiche...)» |
Inserito il 04/04/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Bavaglio" di Paola Riccio |
«Quanto sono d’accordo con questa potente doppia satira della Riccio! Io sarei incapace di usare uno pseudonimo (e ciò non mi darebbe neppure soddisfazione), figuriamoci due o tre! (Pessoa non ha mai usato pseudonimi, ma eteronimi, il che è diverso.) Per quanto poi riguarda le poesie d’amore, sono di nuovo oltremodo d’accordo con la poetessa (c’è chi inserisce tutte le sue poesie in quella categoria, anche se parlano d’altro, e lo fa, credo, per attirare con più facilità tanti lettori e lettrici...)» |
Inserito il 28/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "What’s my name?" di Paola Riccio |
«Con molta schiettezza il poeta affronta il problema della malavita a Napoli, e dell’omertà della gente (almeno questo un vero scrittore dovrebbe fare: vedere il male che è a due passi da lui prima di intravvedere quello che è lontano) . Ci sono certe zone della città, soprattutto certi vicoli, in cui le guerre di camorra producono talvolta dei morti ammazzati: delle persone vedono tutto, ma per paura (e ciò è comprensibile) fanno finta di non sapere niente. Il poeta sottolinea giustamente che però non si possono condannare certi atti solo col pensiero: esso dovrebbe essere seguito dalle parole, usate invece spesso per descrivere falsamente la presunta contentezza della città.» |
Inserito il 27/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Paura ‘e parlà" di Andrea Sbarra |
«Ai tempi di Petrarca e Dante vigeva l’aristocrazia, intesa non tanto come titolo nobiliare (era la cosa meno importante), ma soprattutto come eccellenza in qualunque mestiere o arte. Ora (ad eccezione dello sport, forse) viviamo in una democrazia esagerata, in tempi di "uno vale uno", ed ognuno sembra libero di proclamarsi anche poeta... Ho il timore che il protrarsi di questa tendenza possa portare un domani (non tanto lontano) a non saper più distinguere ciò che è poesia da ciò che non lo è (o forse quel domani è già arrivato?)» |
Inserito il 25/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Arte della poesia e corsa di Maratona" di ex Lorenzo Crocetti |
«Approfitto di questa poesia per ringraziare ancora il suo autore che, anni addietro ormai, mi fece notare qualche lieve imperfezione in due o tre mie composizioni: quei suggerimenti mi aiutarono a stare poi più attento! Purtroppo ci sono persone con l’ego smisurato, che pensano di non sbagliare mai, o forse di avere un dono particolare, in base al quale i difetti si trasformano, per una qualche alchimia, in grandi pregi... Peccato, perché costoro contribuiscono al decadimento della nostra bella arte, un po’ come certi politici che ottengono momentanei successi con le loro malefatte, rendendo invisa (e ridicola) quella nobilissima attività...» |
Inserito il 22/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Lesa Maestà" di ex Lorenzo Crocetti |
«Il poeta ci dà una grande lezione di vita, con questa bella poesia dialettale. Quante persone si lamentano per piccole cose, dando magari sempre la colpa agli altri? Forse solo quando le pene, le sofferenze sono maggiori, ci si riconcilia con la vita: è il concetto che il poeta benissimo trasmette in tutta la poesia, in particolare, secondo me, nei due endecasillabi "Nisciuno po’ capì comme me sento, / ma nun chiagno, tanto nun serve a niente... ", e nei due settenari " ‘A vita è accussì bella, / ne vale sempe ‘a pena... "» |
Inserito il 19/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Vivo pur’je" di Andrea Sbarra |
«Condivido, per motivi tecnici (anche se non sono un ingegnere, capisco che, in quella zona altamente sismica, il ponte sarebbe sempre in pericolo), questa lunga e potente invettiva dello Scimonelli. Mi piace un po’ meno quel larvato sogno indipendentistico che sembra covare sotto la cenere ("Lu cuntinenti ca ci trasi cu nuatri? "), e poi non credo che l’isola stia morendo di fame "da lu primu all’ultimu figghiu" (gli stipendi scandalosi alla Regione, allora, ad esempio?) E’ vero, la colpa è dei politici, ma non dobbiamo dimenticare che i politici li votiamo noi ...» |
Inserito il 19/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Lu ponti nun nni servi... a Sicilia jè n’isula" di Giacomo Scimonelli |
«E’ una poesia piena di sentimento, degna della più classica poesia napoletana, ma contiene non pochi errori ortografici, e la lingua, dobbiamo riconoscerlo, è sempre l’ingrediente principale di ogni opera letteraria. Voglio concentrarmi su una sola parola, "luntan", che è milanese, mentre l’autore avrebbe dovuto scrivere "luntano" . (Basta confrontare i versi di due famose canzoni sull’emigrazione: "O mama mia / mi sun luntan, / ma gh’o la nostalgia / del mè Milan", e "Se gira ‘o munno sano, / se va a cerca’ furtuna / ma, quanno sponta ‘a luna, / luntano ‘a Napule / nun se po’ sta‘! ")» |
Inserito il 13/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "A Giuventù" di Giuseppe Buro |
«Con la sua solita grazia poetica, con tatto e con ottimismo il Garbellini conclude questa storia in cui un giovanotto tituba nel vivere il pieno amore con una ragazza che rassomiglia a sua sorella, per la quale egli porta rispetto e un profondo affetto. E’ un caso più diffuso di quanto si creda, laddove il complesso edipico e il tabù dell’incesto si conformano in modo troppo forte ed appaiono di difficile superamento. (Ciò vale per la figura di una sorella, ma soprattutto per quella della madre: sappiamo tutti, ad esempio, che Pier Paolo Pasolini diventò omosessuale per avere troppo adorato sua madre, della quale trasferiva l’immagine in ogni donna che conosceva.)» |
Inserito il 09/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Conflitto di sentimenti contrastanti" di sergio garbellini |
«Questa poesia semplice ma sincera, scritta, immagino, da un giovane studente, propone, secondo me, una verità della quale raramente si tiene conto: la fatica di studiare (talvolta anche cose che non piacciono) è confinata nell’età più verde, proprio in quell’età in cui si vorrebbero spesso fare altre cose, anche le più banali; lo studio più appassionato, più convinto, è sovente invece quello possibile in un’età più avanzata (quando, però, non serve più, se non per soddisfazione soltanto personale) .» |
Inserito il 07/03/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Studio" di Eugenio Marino |
«E’ senz’altro da lodare il lavoro del poeta che, con numerose ed armoniose ottave di endecasillabi, ha abbondantemente illustrato la particolare storia di Napoli, dalle sirene ai giorni nostri, direi. E la conclusione (almeno per come lo leggo io) è che Napoli non potrà mai (purtroppo, o per fortuna?) essere assimilata alle città "normali", soprattutto perché sorge nei pressi di una natura allo stesso tempo così bella e così potenzialmente malvagia, la quale nel corso dei secoli ha forgiato il carattere dei suoi abitanti, che appaiono anch’essi "vulcanicamente" incantevoli, ma pure capaci, magari all’improvviso, di riservare non piacevoli sorprese...» |
Inserito il 26/02/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Napoli in ottave" di Angelo 2000 |
«Qual è la differenza tra una canzone (anche con un testo non particolarmente poetico) e una poesia? La presenza della musica: è essa soprattutto che ha il potere, come scrive la Vercelli, di farci rapidamente tornare indietro al passato, dove spesso "prende nitida forma il dolce piacere di essere triste" (e sembra quasi che qui la poetessa abbia dato una sublime definizione della saudade, presente pressoché obbligatoriamente in tutti i fado portoghesi) . Ciò probabilmente accade perché i suoni sono preesistenti alle parole (tarde invenzioni umane), e quindi capaci di esercitare una più forte presa sull’animo di chi li riascolta, similmente, direi, ad una "madeleine" proustiana.» |
Inserito il 21/02/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Una canzone" di carla vercelli |
«Azzardo un commento, anche se ultimamente ho l’impressione di non essere sempre tanto bravo nel cogliere il vero significato di alcune poesie. Ma questa composizione è chiarissima, e i versi sono accattivanti perché, pur essendo metricamente disuguali, formano gradevoli giochi di rime. La poetessa pone l’accento sulle "note stonate" che, in vari contesti sociali, ci capita a volte, a malincuore, di produrre, danneggiando così l’armonia della situazione. Ma non bisogna mai disperare perché, ci ricorda filosoficamente l’autrice alla fine della poesia, "senza la nota dissonante, neppure l’eufonia si apprezzerebbe, perché solo il contrario delle cose le rende appieno sì armoniose" .» |
Inserito il 14/02/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Quella nota dissonante" di Patrizia Iannetta |
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