«Mirabile sonetto satirico in spagnolo sugli "uomini senza vergogna", su un boss della malavita se ho compreso bene, che forse la lingua spagnola, per noi Italiani leggermente esotica, riesce a rendere un po’ meno antipatico, se ciò è possibile. L’apparente rispetto che il popolo gli porta è in realtà dettato dalla paura, perché quell’uomo ha alle sue dipendenze un esercito di "picciotti" che egli ricompensa con poco e che sono pronti alle peggiori azioni. Purtroppo questi personaggi non si estinguono mai!» |
Inserito il 23/12/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Hombres sin vergüenza" di Gerardo Cianfarani |
«L’evidente contrasto fra la supposta rinascita del Cristo e la sicura permanenza nelle tenebre (materiali, ma vieppiù spesso anche spirituali) dei nostri cari defunti (od anche soltanto degli amici persi di vista da tanto, troppo tempo) è uno dei maggiori motivi di inquietudine e di tristezza che ci arreca la festa del Natale (la vivo in questo modo fin da bambino, forse perché persi, quasi improvvisamente, quando avevo quattro anni, il mio nonno materno, che tanto mi voleva bene) . Tutto ciò, se ho ben letto e interpretato, è espresso (con parole giustamente scarne, prive di inutili abbellimenti, adatte al contenuto ben poco lieto) dalla poetessa in questa sua sentita e toccante poesia.» |
Inserito il 22/12/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Natale" di Elena Poldan |
«L’Italia, come sostiene il poeta in questa sua simpatica e realistica poesia, è davvero un guazzabuglio, un coacervo di popoli che ancora oggi, dopo più di un secolo e mezzo di unità, non trovano l’accordo fra loro (basta considerare le diversissime priorità dei due partiti politici ora al potere insieme...) Il retaggio di una storia di divisioni più che millenarie ha ancora il suo forte peso sulle solo illusorie caratteristiche comuni di una nazione, che le trova (forse) soltanto quando gioca la nazionale di calcio...» |
Inserito il 20/12/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Italiani si nasce" di rob ponzani |
«Originale composizione, per forma e per contenuto. L’incontro (immaginario, credo) con quello strano poeta risulta molto educativo: ci fa capire che la nostra arte non è capace di svelare i misteri dell’universo, e che non si propone chissà quali missioni filosofiche; bisogna scrivere non proprio il nulla (altrimenti si arriverebbe al noto "foglio bianco" dell’ultimo Mallermé), bensì ciò che ci passa per la testa, e che rappresenta, sovente, le tante miserie umane. Ma ogni poeta ha in mano una potente arma personale, la penna con la quale crea la bellezza stilistica, che in un modo o nell’altro può, anzi direi deve, cercare di conferire alle sue pur modeste creazioni.» |
Inserito il 12/12/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Quel poeta del nulla" di Saverio Chiti |
«Sempre più raramente, ma sempre con immutato piacere (almeno nel mio caso) leggiamo, nel sito, le opere del Tarabella, autentico maestro del sonetto livornese. E questa volta, chiaramente e simpaticamente, il poeta si occupa del percorso che fa la fede (cattolica): nella maggior parte dei casi è forte da piccoli, si affievolisce sempre più (fino ad annullarsi completamente talvolta) nell’età matura, per poi riaffacciarsi timidamente in età avanzata, quando, durante il recupero delle cose infantili che spesso l’accompagna, anch’essa rivendica di nuovo un sia pur piccolo suo ruolo ("Non possiamo non dirci cristiani", scrisse Benedetto Croce) .» |
Inserito il 05/12/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Natale 2018" di Luciano Tarabella |
«E’ una poesia dialettale che potrebbe anche essere musicata, come sostengono giustamente l’autore in nota e il commentatore che mi ha preceduto. Appena l’ho letta, per associazione di idee, il mio pensiero è andato a "Chella llà", uno dei cavalli di battaglia di Renato Carosone. Ma c’è almeno una differenza: nella canzone di Carosone l’innamorato aveva definitivamente detto basta a quell’amore amaro ("Me ne piglio ‘n’ata cchiù bella / e zetella restarrà / chella llà / chella llà / chella llà") , mentre qui la strofa finale ci fa pensare che il protagonista sia ancora nella fase dell’amore- odio, e che non abbia raggiunto quella della completa indifferenza.» |
Inserito il 29/11/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "E mo’ me fumo n’edelwaiss" di Peppe Cassese |
«Pur amando maggiormente le poesie che adottano una qualche forma metrica, ritengo che a quelle di potente denuncia sociale, di sdegno come questa, ben si addicano i versi liberi, perché l’inaccettabilità di una certa realtà, se non edulcorata attraverso la satira o la comicità, è più genuinamente espressa dal moto di ribellione che fuoriesce liberamente dall’animo. (Sono stato insegnante, alla scuola media, di un giovanotto che "banchetta alle spalle" di uno dei due "corvi più grandi", con almeno centomila euro all’anno di stipendio: a scuola si distingueva essenzialmente per le sue capacità di affabulazione, di far credere di sapere tutto anche quando, spesso, sapeva ben poco...)» |
Inserito il 29/11/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Povera Italia" di Hariseldom |
«E’ stato già detto tanto, e bene, di questa deliziosa poesia, ed io sono d’accordo con chi mi ha preceduto. Intervengo soltanto in difesa della poesia dialettale. Gran parte della bellezza di questo lavoro si avverte già a partire dal titolo, "U sciòu", composto tutto da vocali, tranne una fricativa. Il fiato, connesso con l’aria, è una sostanza quasi immateriale, adatta ad essere rappresentata dai più eterei suoni della lingua, le vocali (e in genovese "aia" ha addirittura soltanto tre vocali!) Quanto più "pesanti", per la presenza di varie consonanti, sono quelle parole nelle lingue "di prestigio" ("fiato", "flatum", "souffle", "breath", "Atem", "aliento" ...; "aria", "aer", air", "Luft", "aire" ...)!» |
Inserito il 24/11/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "U sciòu - Il fiato" di Giovanni Ghione |
«La distopia è il contrario dell’utopia: il futuro appare indesiderabile, ostile, conforme alla società totalitaria e tecnocratica prevista da George Orwell. La poetessa, con le sue solite originalità e stringatezza (di stile e di contenuto), si lamenta (giustamente) di una storia d’amore distopica, mi sembra di capire. I telefonini, i computer, tutte le più moderne invenzioni della tecnica non potranno mai soddisfare come la presenza reale dell’altra persona, caratterizzata dal suo sguardo, dalle sue parole vive, dai suoi pregi (e difetti) messi inevitabilmente in primo piano.» |
Inserito il 15/11/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Distopico" di Paola Riccio |
«La poesia sembra cullarci, con il suo andamento sinuoso, mentre ci invita alla vaghezza (quella sana, non quella usata per secondi fini), la vaghezza che dovrebbe sempre essere appannaggio degli esser umani, consapevoli di non possedere mai l’intera verità. E’ la dote che riscontrai nei miei migliori professori, soprattutto universitari, e che tanto piacerebbe anche a me possedere (e purtroppo quasi mai ci riesco) . I discorsi vaghi, quelli che lasciano sempre aperta la porta del dubbio, ci invitano a riflettere per conto nostro, ad andare più avanti sulla strada di ogni ricerca, a far funzionare meglio la nostra mente.» |
Inserito il 04/11/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Vaghezza" di carla vercelli |
«Sono completamente d’accordo con questi incalzanti (e calzanti) versi (ritengo che essi sarebbero stati ancora più efficaci se il poeta, romano mi pare, avesse scritto in romanesco quelli in grassetto) . I ragazzi d’oggi sono oberati di troppi impegni, a volte superflui se non addirittura potenzialmente dannosi (imparano davvero proficuamente l’inglese frequentando quei corsi? acquisiscono certo nozioni usando il computer, ma non l’arte di saper ragionare correttamente; ecc.) Lasciamoli giocare a pallone, dando così, fra l’altro, ai docenti di Educazione fisica la possibilità di insegnare loro tanti altri esercizi, e non solo quella (cosa che spesso accade) di accontentarli troppo spesso, facendoli giocare a calcio (solo) a scuola!» |
Inserito il 01/11/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "LASCIATECI GIOCARE (a pallone)" di Gian Franco Dandrea |
«Chissà, forse sarebbe bello se le parole di una poesia avessero la dote cabbalistica di tranquillizzare le persone ansiose, o di risolvere i problemi esistenziali di un clochard... In questi ben calibrati ed efficaci versi liberi, in cui avverto dei toni jazzistici (e penso che i richiami a New Orleans e a Chicago non siano casuali), il poeta appare rassegnato a perdere quella speranza, ma l’ultimo verso apre uno spiraglio ottimistico: "Nobody knows" ...» |
Inserito il 20/10/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Oltre parole vuote, in aridi percorsi di vita" di Salvatore Pintus |
«"C’è più di Montmartre in (tutta) Parigi che di Parigi in Montmartre", disse una volta Rodolphe Salis, il fondatore dello "Chat noir" . Montmartre è cioè un’oasi, che riesce ad estendere i suoi benefici a tutta la metropoli, pur talvolta così caotica e dura come ogni grande città del mondo. Il poeta, in questa sua breve ma intensa poesia, riesce davvero a trasferire sulla carta l’anima di questo luogo, che di notte evidenzia più nettamente i suoi valori, le sue caratteristiche e quel sentimento di comunanza umana che deriva anche dall’impressione di vivere (come si conclude la poesia) "avventure già vissute" .» |
Inserito il 02/10/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "La scalinata di Montmartre by night" di Felice Di Giandomenico |
«La semantica dell’amore è soprattutto la sua sintassi, o la sintassi la sua semantica: questo mi sembra il messaggio di una poesia deliziosamente scritta. In amore è pressoché impossibile distinguere i tratti della persona amata (per l’amante sempre belli), cioè il significante, dalle sue intenzioni (talvolta non cristalline), cioè il significato: per questo motivo non raramente, dopo un po’ di tempo, nascono incomprensioni e delusioni...» |
Inserito il 27/09/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Significanti" di Salvatore Pintus |
«In questa godibilissima "breve" in endecasillabi con rime il Cantoni invoca la musa della poesia affinché essa si degni di inviargli delle belle rime, ed io condivido questa preghiera. Ma ho purtroppo l’impressione che la poesia che ora detta legge, almeno in Italia, sia quella in cui le rime vengono evitate ad ogni costo, se non quasi schifate (ah Montale, Montale!) Come la pittura, come la musica, come l’abbigliamento, anche la poesia segue la moda... Ma io voglio continuare a credere che esistano perfezioni già raggiunte, ed oltre le quali non si può andare. (C’è qualche designer capace di cambiare la forma al bicchiere, per bere più comodamente?)» |
Inserito il 23/09/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Canto alla Musa" di romeo cantoni |
|
«E’ una pregevolissima poesia, per struttura, per scelta del lessico, per contenuto. Pubblicai nel sito (otto anni fa ormai) una "breve" sulla costiera amalfitana, proprio per sottolineare, in estate, l’incanto, l’estasi, l’ebbrezza di questo luogo unico. D’inverno indubbiamente, come scrive la poetessa, i colori, i sapori, gli odori si modificano, si smussano, anche se io, figlio della Campania pianeggiante, penso che il paradiso terrestre (cui accenna la poetessa negli ultimi versi) non risieda in un luogo estremo come questo, ma in bucolici e tranquilli campi dove l’odore dell’erba spadroneggia e dove i sensi si placano.» |
Inserito il 21/09/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "La Costa d’Amalfi" di Anna Piccirillo ov |
«Armoniosa, simpatica e allo stesso tempo realistica questa poesia del Vacca, che mette l’accento sulle gioie e sui dolori del telefono. Come argutamente egli nota, sono ben più le telefonate inutili che dobbiamo sorbire che le comunicazioni importanti, le quali anzi, per qualche disguido, a volte vanno perse... Come già succedeva, con i primi telefoni, a Proust e a Freud, anch’io divento spesso ansioso quando squilla quell’aggeggio, statisticamente più fastidioso che utile!» |
Inserito il 18/09/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Il telefono" di gabriele vacca |
«Innanzitutto si deve sottolineare che questo è un sonetto degno della migliore tradizione napoletana, scritto senza sbavature e con una padronanza assoluta della grafia. La voce del vento a volte sembra davvero mandarci un messaggio della persona da noi amata, ma ne dubitiamo alquanto. La poetessa si dichiara disposta a concedersi completamente se quel vento è un messaggio d’amore, ma a rimandarlo indietro, senza complimenti e senza pietà, se esso è solamente un inganno, se l’uomo amato vive con un’altra donna.» |
Inserito il 06/09/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "’A voce d’o viento (La voce del vento)" di RitaLM |
«Talvolta penso che se i poeti famosi ormai morti da tempo potessero tornare per un’ora in vita, apporterebbero delle minime correzioni ad alcune loro opere, apprezzate in tutto il mondo ma che apparirebbero ancora un po’ difettose agli occhi dei loro creatori: ecco il concetto di "limatura", nitidamente definito dalla poetessa in questo suo lavoro. Ogni poesia, come ogni altra opera d’arte del resto, aspira alla perfezione, la quale però si sposta sempre un po’ oltre, quando noi ci illudiamo di averla raggiunta.» |
Inserito il 26/08/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Fogli scritti" di Elisa Mascia |
«Riuscito omaggio a Mina, che da quarant’anni allieta le nostre orecchie e i nostri cuori senza farsi vedere. E’ forse questo il segreto dei grandi: ritirarsi al culmine della gloria (come fece anche Greta Garbo, ad esempio), per evitare che qualche piccola ma inevitabile smagliatura vada ad intaccare l’immagine di sé al raggiungimento del suo apogeo.» |
Inserito il 22/08/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Canto di Colei che disse mai più quel dì d’Agosto" di romeo cantoni |
«Con questi armoniosi versi endecasillabi e con un sapiente uso delle rime, la poetessa fa un delizioso elenco di piccole grandi cose della vita che ci riconciliano con l’esistenza. Arrivati a una certa età, si comincia spesso a pensare, come cantava Léo Ferré nella sua forse più famosa e bella canzone, che "avec le temps tout va bien", e si guardano, come acutamente osserva la poetessa in una sua strofa, con indulgente distacco le proteste e i malcontenti del passato, perché ci si accorge che, in fin dei conti, essi erano piuttosto puerili e dettati sovente da un esagerato orgoglio.» |
Inserito il 14/08/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "La bellezza della vita" di Dorella Dignola |
«Sono da tempo portato a pensare che, tutto sommato, la vita sia poco più di un’illusione, e che la nostra vera dimensione sia la morte. Ecco perché amiamo tanto il sonno: sospende le attività vitali, le pene, le angosce, i dolori e, magari allietato da un sogno colorato che ci fa tornare alle nostre spensierate esperienze fanciullesche, ci conduce con grazia alle soglie di quello che sarà finalmente il nostro eterno destino (è per questo forse che molte persone desidererebbero morire nel sonno) . Sono, queste, considerazioni che possono nascere nella mente di chi legge attentamente la profonda poesia di Demetrio Amaddeo.» |
Inserito il 07/08/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Il mio sonno" di Demetrio Amaddeo |
«Come al solito coraggioso nel mettere a nudo il suo animo, il poeta, piuttosto paradossalmente, non prova vergogna di farci sapere (usando anche delle belle rime) che uno dei suoi maggiori handicap nella vita è stato proprio quello di provare spesso troppa vergogna, quel sentimento che attanaglia forse particolarmente il nostro mondo giudaico- cristiano ("Adamo ed Eva si accorsero di essere nudi e ne provarono vergogna", si legge nella "Genesi") , e che invece sarebbe meglio (ma chi ci riesce?) mettere in secondo piano, perché il non avere timore di essere osservati e giudicati dagli altri può aumentare le possibilità di conoscere meglio noi stessi e, se è il caso, di trasformarci.» |
Inserito il 04/08/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "La vergogna" di Demetrio Amaddeo |
«Pur essendo i miei interessi opposti a quelli di un manager, sono rimasto davvero molto male stamattina apprendendo la triste notizia, peggio che di fronte alle morti di alcuni scrittori o poeti. Posso testimoniare che i parecchi anni in cui egli è stato a capo della FIAT, e poi della FCA, hanno cambiato in meglio le sorti e lo stile di vita della mia cittadina, quella dell’ex Alfasud, dove si cominciano ora ad apprezzare i suoi "percorsi visionari", come dice il poeta. (E mi auguro che quei "mediocri invidiosi" operai che tempo fa inscenarono il suo finto funerale passino il resto della loro vita a pentirsene amaramente.)» |
Inserito il 25/07/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Se muore un visionario" di rob ponzani |
«Breve ma densa, questa riflessione della Vercelli. La poliedrica artista, dando per scontato che in pratica ogni uomo ed ogni donna sono sempre un po’ infelici (o un po’ nevrotici), privilegia il (momentaneo) superamento di quell’infelicità attraverso la scrittura dei versi che, almeno (mi è piaciuto molto l’ultimo verso), non combina guai. (Si pensi infatti, ad esempio, a un uomo geloso: egli, se è poeta, sfogherà sul foglio di carta quella gelosia, e non si dedicherà, di solito, a stalking, ad appostamenti, a scenate o a qualcosa di peggio...)» |
Inserito il 23/07/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Ricordati d’accendere le luci" di carla vercelli |
«C’è un verso di questa bella e interessante poesia sul quale mi piacerebbe soffermarmi: "in cui sillabe s’accoppian in versi" (e talvolta anche singole vocali, o consonanti) . Mentre in prosa l’unità minima di senso e di valore è la parola, nella poesia essa è (almeno) la sillaba (non per caso i poeti più meticolosi le contano...) Prendendo a prestito dalla chimica la sua terminologia, potremmo dire che la prosa è molecolare, mentre la poesia è atomica (e talvolta, nei casi migliori, "esplode" davvero come una bomba atomica!)» |
Inserito il 05/07/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "S’alza il sipario" di Giovanni Ghione |
«Chi ha scritto questo testo, piuttosto sofferto direi, sa bene che cosa è la (vera) poesia, il prodotto di un’attività che, quando la si pratica, occupa, colonizza per tanto tempo il cervello del poeta, il quale si mette a lottare con le parole e talvolta perfino con gli accenti... Ma la soddisfazione, alla fine, è enorme, perché a pochi è concesso il privilegio di essere chiamati dalla poesia, simile a una bellissima donna indipendente, che è inutile corteggiare, perché è lei a scegliere i suoi amanti.» |
Inserito il 30/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Poeta perché" di Abi |
«Ricordo di aver letto, nel passato, qualche altra poesia della Sogno, più difficile da comprendere di questa, e soprattutto scritta in forma alquanto più libera. Noto qui invece un passo indietro (che per i miei gusti è un passo avanti) della poetessa, che ha cercato di realizzare qualcosa che assomigliasse a un sonetto: anche se evidentemente non lo è, la Sogno vi si è abbastanza avvicinata (molti endecasillabi, due quartine e due terzine), rendendo così più musicale il componimento, più godibile, più destinato, forse, a durare nel tempo.» |
Inserito il 26/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "L’acquagrande della piccola marina" di Claudia Sogno |
«Secondo me (e il mio è un complimento convinto e sincero), il Garbellini sarebbe potuto essere anche un ottimo autore di fiabe (quelle in cui, alla fine, tutti "vissero felici e contenti") o un valido sceneggiatore cinematografico (dei film di F. Capra, che io vedevo con molto piacere in televisione da bambino, ad esempio) . La maggior parte delle sue poesie, come questa, oltre a essere tecnicamente impeccabili, raccontano storie ai limiti della realtà, sono immerse in un "realismo magico" di cui lo spirito umano ha un grande bisogno: anche se raramente la realtà ci offre quegli spettacoli, le opere del poeta hanno il merito di renderci per almeno cinque minuti più buoni, di fare (ri) emergere nel nostro animo le qualità più altruistiche.» |
Inserito il 22/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Quella ragazza si stava suicidando" di sergio garbellini |
«Questa breve, essenziale poesia, in cui l’autore fa parlare l’erbaccia con sincerità ed efficacia, potrebbe, secondo me, avere anche un valore simbolico, riferirsi cioè alle persone che non seguono le regole della società, e mi ricorda una delle prime poesie- canzoni di Georges Brassens, "La mauvaise herbe", appunto: "Les hommes sont faits, nous dit- on, / pour vivre en bande comme les moutons. / Moi, je vis seul, et c’est pas demain / Que je suivrai leur droit chemin. / Je suis de la mauvaise herbe / Braves gens, braves gens, / C’est pas moi qu’on rumine / Et c’est pas moi qu’on met en gerbe. / Je pousse en liberté / Dans les jardins mal fréquentés . / Et je me demande / Pourquoi bon Dieu / ça vous dérange / Que je vive un peu... "» |
Inserito il 19/06/2018 da Antonio Terracciano alla poesia "Insolenza d’un filo d’erba tra i mattoni d’un marciapiede" di Salvatore Pintus |
|