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Alessandro Labriola, nato in Campania 23 anni fa. Estirpato con forza da quella terra vi lascia le sue radici più profonde. Trapiantato con le poche radici rimaste s’attacca alla terra del nord ma protendendo con forza, come un albero, i suoi rami verso altri orizzonti.
Quando lessi per la prima volta una delle sue poesie rimasi folgorato dallo stile di questo -giovane vecchio- che riversa la sua anima maledetta e decadentista su fogli che prendono vita dal suo stesso sangue. Fui colto da una sete desertica e cominciai a leggere quanto più possibile di lui. Ebbi quasi paura nel ritrovarmi prepotentemente tra i suoi versi.
L’autore è quanto di più scevro vi sia oggi rispetto a una falsa morale che s’impone nella società contemporanea. Egli rifiuta, rifiutato, ogni contaminazione con i mali che hanno permesso il crollo di una civiltà. Egli ha scelto con forza, e senza alcuna paura, d’essere l’antitesi d’ogni pregiudizio, moralità e insipienza del mondo. Ma come un Rimbaud redivivo sceglie con fierezza di andare incontro ad ogni scelleratezza dei sensi per poter cambiare la visione del mondo. Questa coscienza, questa volontà, traspare chiara nel suo poemetto “Atto per la regina”, dove l’autore si impone l’atto più lontano dalla sua intrinseca personalità, in fondo, romantica. Questo atto viene ripreso, o anche parte, dalla sua poesia “lesbo d’angeli”.
Alessandro è davvero un vate che aspira all’eternità. Schivo ed essenziale nel suo procedere nel mondo ne è intriso profondamente. È un anacoreta e allo stesso tempo un conquistatore d’ogni esperienza mondana. Alessandro si è sporcato le mani, e continua a voler sperimentare ogni ambiguità stereotipata. (“Il desiderio è forte!” -Mistica- 2011).
Anela ad abbandonare il mondo per sperimentarlo appieno. Vuole toccare e sentire ogni atomo che compone il cosmo in ogni sua sfaccettatura (“… e ancora … in mezzo a voi e alle campagne: le file di campi - il cotone…” -La cerca- 2011)
E pur restando fermo cammina, e cammina, in infinite partenze, dentro la sua anima per sputare addosso ai vili e agli indifferenti tutto il dolore e la percezione di questo in un urlo che sembra spezzare ancora una volta il velo del peccato.
La sua maschera, o le sue maschere, nascondono l’intimo suo animo solo agli infedeli, solo a coloro che hanno tradito un umanità che si disperde nell’etere delle inconsistenze sociali. Un filo sottilissimo, e nascosto ai più, attraversa ogni suo scritto, ogni suo verso: Un flebile senso di colpa che si zittisce ogni qual volta Alessandro, d’impeto, difende ogni stilla del sudore versato.
Francesco Romano (12 maggio 2013) |
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