C’ era una volta una principessa felice… No, il protagonista della nostra fiaba non è la figlia di un re, ma di una meticcia, nata da un incrocio tra un labrador ed una spitz. Bravi, avete naturalmente indovinato! La nostra storia racconta di una cagna, Dada; di un arzillo e simpaticissimo vecchietto, nonno Felice; di un padre e di una madre, Giovanni e Teresa; di un bambino il piccolo Felice, Felice Junior o Felix. Si svolge a C., una ridente cittadina in provincia di Napoli, e in un giorno, anzi una notte particolare, quella di Natale. L’ anno lo facciamo scegliere a voi… A noi ne va bene uno qualsiasi…
Dada, così la chiamò nonno Felice, era stata trovata abbandonata dallo stesso in un bosco, ed era entrata, a due anni, in casa T., diventando “ la nostra principessa”, come era solito dire Giovanni, il figlio di nonno Felice, sposato da pochi mesi con Teresa, uno splendido esemplare di ragazza mediterranea. I tre, anzi i quattro, vivevano in una villetta, fornita di un piccolo giardino, di cui Dada era diventata la regina incontrastata. Il vecchietto svolgeva ancora la sua attività di mediatore, il figlio era un commerciante di prodotti agricoli, perciò la cagnetta (diciamo così ma pesava i suoi 22 chili) fu una vera e propria manna per la giovane sposa, perché le due passavano gran parte della giornata in reciproca compagnia. La labraspitz possedeva un gran naturale senso di protezione, per cui non lasciava mai sola Teresa.
Dopo alcuni mesi, e precisamente agli inizi di un magnifico ottobre (l’ anno è sempre di vostra competenza), la famiglia T. si allargò, poiché venne alla luce il piccolo Felice (non poteva essere chiamato altrimenti), che diventò immediatamente il padrone di casa. Dada, poi, fu la più “ felice” di tutti: considerò subito quel piccolo fagottino di tre chili e ottocento, come suo e non lo perdeva d’ occhio nemmeno un attimo. Quando Teresa era impegnata nelle faccende domestiche, mamma Dada si accucciava nei pressi della culla del bambino e guai a chi si avvicinava. Se poi si usciva per una passeggiata, lei si metteva ai lati del carrozzino ed era sempre sul chi va là, pronta ad intervenire. L’ unico che poteva farlo senza problemi era nonno Felice, perché fra i due si era istaurata una tale intesa che bastava un semplice sguardo per capirsi. Naturalmente Dada non sapeva parlare ma non ce n’ era bisogno, perché capiva a volo i “ desideri” del suo grande amico; e poi che lo faceva a fare, il labraspitzese lo conosceva solo lei e nessuno la poteva comprendere.
Ma veniamo al nostro particolare Natale… Si preparava per C. una giornata unica: il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, ci sarebbe stato il “ Presepe vivente”, una manifestazione che ogni anno raccoglieva un enorme successo, e vedeva la partecipazione di tanta gente. Si svolgeva nella parte antica della cittadina, fra viuzze e cortili. Quell’ anno era veramente speciale, poi, per la famiglia T.: nonno, padre, madre e bambino dovevano rappresentare, rispettivamente, il re magio Baldassarre, San Giuseppe, la Vergine Maria e Gesù Bambino. L’ intera famiglia aveva accettato con entusiasmo il compito. Solo per Dada, nonostante i tentativi di nonno Felice, non era stato possibile trovare una parte adatta a lei: il Vangelo non registrava la presenza di un cane nella Santa Notte. Per questo e per altro, il giorno della vigilia, il 24 dicembre, mamma e papà T. si recarono al “ Big Market”, un centro commerciale nei pressi della città, per acquistare dei graziosi omaggi da offrire a tutti i piccoli visitatori della manifestazione natalizia. Nonno Felice e Dada erano stati lasciati a casa. Procedeva tutto come da programma, quando marito e moglie, distratti da una manifestazione in corso in una delle piazzette del centro commerciale, lasciarono incustodito, per qualche secondo, il bambino, che dormiva beato nel carrozzino. Pochi attimi, il ritorno e grida altissime sconvolsero quel pacifico assembramento: Felice junior non stava più al suo posto. Le urla disperate della madre fecero il giro del centro commerciale in pochissimo tempo… Papà Giovanni incominciò ad andare freneticamente su e giù, in cerca del figlio, preso da una frenesia ossessiva e da una paura indicibile. Tentava di restare freddo ma non gli era possibile. Non sapeva, in quel momento, se restare vicino alla moglie, che ormai non dava segni di vita, o cercare… cercare… che cosa? Intervennero le guardie giurate che si attivarono immediatamente, e con loro dei volontari, ma il bambino era come volatilizzato, scomparso nel nulla. Dovette intervenire anche un’ ambulanza, perché mamma Teresa aveva perso completamente i sensi, mentre i carabinieri, intervenuti prontamente, avevano cominciato a svolgere le prime indagini, a fare le domande di routine: nessuno, in quella enorme confusione di gente, distratta da ben altro, nessuno aveva notato qualcosa di anormale. Ma come si fa a sospettare di qualcuno/qualcuna che porta in braccio un bambino e, per giunta, in quel particolare giorno? La terribile notizia aveva subito raggiunto le case di C. e i suoi abitanti si erano riversati per le strade della cittadina e sotto casa di papà Giovanni, un po’ per curiosità, un po’ perché la famiglia del bambino era conosciuta da tutti, un po’ perché, in certi particolari frangenti, molti vogliono essere presenti, anche per dire la propria, sul luogo del “ delitto”. Dopo tre lunghissime ore, niente era mutato e i carabinieri, certi che di un rapimento, accompagnarono madre e padre a casa loro, dove nonno Felice, già raggiunto dalla nefasta notizia, cercò in tutti i modi di rincuorare sia il figlio che la nuora. Dada invece si aggirava per la casa in cerca del piccolo Felice e, non trovandolo nella culla, non vedendolo nel carrozzino, si avvicinava, ora all’ uno ora all’ altra, per tentare un aggancio con una realtà che non riusciva a comprendere, anche se gli occhi sgomenti di Giovanni e le guance bagnate di Teresa le infondevano un senso di un qualcosa di molto grave. E poi tutta quella gente che andava su e giù, che faceva in casa T. e nel suo giardino?
Il resto della giornata trascorse pesantemente, senza che qualche segno ne rompesse la monotonia… E così la notte, che sembrò non finire mai… Tutti rimasero svegli nell’ attesa dello squillo del telefono che avrebbe annunziato le intenzioni dei rapitori, ma… niente; tanto che il capitano dei carabinieri confidò, prima di andare via, a nonno Felice:
“ Questo rapimento non mi convince. Credo che sia opera di uno sventato che ha agito da solo e non per chiedere soldi. “
Il mattino dopo, quando il capitano ritornò a casa T. gli sembrò di vedere la stessa scena della notte precedente: Dada che se ne stava lì, buona e immobile, sul tappeto del soggiorno; in un angolo mamma Teresa, con il volto tra le mani, piangeva disperatamente; papà Giovanni, poggiato ad una finestra, fissava il cielo, come a cercare un aiuto; nonno Felice che, non avendo perso la sua forza d’ animo, consolava, con parole dolci e colme di speranza, ora l’ una ora l’ altro. Le novità erano: nessuna telefonata, nessuna richiesta, nessun cambiamento. A quel punto però, a nonno Felice, nel rivedere il rappresentante dei CC, ritornarono alla mente le parole pronunciate, poche ore prima, dallo stesso, e… come illuminato da un raggio di luce rivelatore, esclamò:
“ Dada, andiamo a cercare Felicino!”
La labraspitz non se lo fece dire una seconda volta e subito imboccò la porta dell’ uscita. Tutti, in casa, non ebbero nemmeno la possibilità di intervenire per fermarli: Il vecchio e la cagna erano letteralmente e repentinamente scomparsi. Nonno Felice, dopo aver girato un paio di angoli di strade, si avvicinò a Dada e, guardandola intensamente negli occhi, le disse:
“ Piccola, Felicino si trova in una di queste case. Tu devi aiutarmi a trovarlo. Hai capito? “ Dada abbaiò e nonno Felice: “ Brava! Cerchiamolo!”
La cagna non se lo fece ripetere una seconda volta. Abbassò il muso, tese la coda e incominciò ad avanzare con fare deciso e a strappi. Il vecchio la seguiva a distanza, anche perché la “ seconda mamma” di Junior, ora avanzava, ora tornava indietro, per essere certa che il “ capo” la seguisse. Non ci volle molto; dopo un quarto d’ ora, Dada si bloccò vicino ad un portoncino e, senza abbaiare aspettò l’ arrivo di Felice senior, che, dopo qualche attimo, fu sul posto.
“ Ma qui abita Maria B. Dada, ne sei proprio sicura?” Questa volta la cagna abbaiò, come a dire: “ Ma per chi mi hai preso?”
Nonno Felice entrò nel portoncino, salì l’ unica rampa di scale che portavano al solo appartamentino che c’ era e: non ci fu bisogno di bussare. La donna era sulla porta di casa, come se li aspettasse. Cadde in ginocchio e pregò: “ Don Felice, perdonatemi ma è stato più forte di me. Voi sapete che, due giorni prima della nascita del vostro piccolo Felice, è venuta alla luce mia figlia Carolina e m’ avrebbe fatto piacere se avesse potuto fare la parte di Gesù Bambino nel presepe vivente di questa’ anno ma la commissione mi ha risposto che il Bambin Gesù doveva essere un maschio. Io non ci ho visto più e ho creduto di ottenere “ questa grazia” portando a casa mia il vostro piccolo a favore della mia; ma già qualche minuto dopo il fatto la coscienza non mi ha lasciato un momento in pace. Ora fate come volete, perché merito di tutto, qualsiasi pena, ma Felicino l’ ho trattato come un principino. Entrate pure, nella stanza a destra, il bambino dorme sereno e beato assieme alla mia piccola Carolina.”
Nonno Felice non sapeva se piangere o ridere; se dare un bel ceffone a quella povera disgraziata o abbracciarsela teneramente come una figlia. Si introdusse nella stanza e trovò il piccolo Felice che dormiva, fresco e pulito, segno che era stato trattato da figlio di Dio, come gli aveva confessato la donna. Lo prese delicatamente tra le sue braccia, lo avvolse con una copertina datagli dalla donna e, accompagnato festosamente da Dada, lo riportò a casa sua, passando tra gli attoniti carabinieri e consegnandolo a mamma Teresa che piangeva e rideva allo stesso momento.
Voi ora mi chiederete: “ E la rapitrice è stata giustamente condannata?”
Che rispondere? Non dimenticate che è una fiaba; perciò mamma Teresa perdonò mamma Maria, anzi tra le due nacque una tenera amicizia e i bambini crebbero insieme. Il giorno dopo poi, a Santo Stefano, mamma Maria interpretò la Madonna al “ Presepe vivente”, mentre a nonno Felice toccò la parte di San Giuseppe. La settimana successiva e precisamente il due gennaio, per volontà popolare, il “ Presepe Vivente” fu ripetuto e questa volta: Felicino fu Gesù Bambino, mamma Teresa la Vergine Maria, papà Giovanni San Giuseppe, nonno Felice il re magio Baldassarre e Dada, eccezionalmente, fu messa tra il bue e l’ asinello e si mostrava la più “ felice” di tutti. La gente venne ad assistere al miracolo da tutta la regione e, credetemi, quello fu, in ogni senso: “ il giorno più bello”.