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Come vengono a galla a volte i ricordi, tracimando dalle stanze del cuore, spesso chiamati da un’ immagine che vedono gli occhi.
Ieri tornando dal lavoro, mi è capitato di vedere un vecchietto seduto su di una panchina, che parlava con un ragazzino, il ragazzino aveva al collo una sciarpa del Genoa; beh la mia famiglia è sempre stata composta solo da genoani, sempre, se mai fosse nato un qualsiasi componente sampdoriano, sarebbe stato esiliato in Polonia in qualche miniera di tufo, comunque adesso, la passione per il calcio mi è quasi passata, ma da ragazzino ero parecchio esaltato, comunque questa premessa per affermare che la visione di quelle due persone mi ha portato in un secondo al 1997: In quei tempi lavoravo come guardiano notturno presso una casa di riposo, e la sera quando arrivavo verso le 19 aiutavo le infermiere ad accompagnare i vecchietti nelle loro camere per prepararsi per la notte, così spesso mi soffermavo con un vecchietto, piccolo piccolo, ormai reso completamente cieco dal peso infinito degli anni, lo chiamavo il generale, non so perché mi faceva venire in mente l’ inverno, così candido e stanco. Mi fermavo spesso lì con lui, per leggergli qualche articolo di giornale, raccontargli qualche mia storia, ascoltare le sue, ed ascoltare i suoi meravigliosi racconti sul Genoa del passato, mi sembrava di essere con un nonno, un nonno speciale; frequentai il generale per moltissime sere, ed il nostro rapporto diventò quasi davvero quello di un nonno ed un nipote, ci eravamo affezionati moltissimo. Un sabato sera il generale ebbe un malore e l’ indomani rimase a letto tutto il giorno, era piuttosto mal messo, purtroppo. Quella domenica il Genoa giocava a Ravenna, se avesse vinto sarebbe andato in serie A, invece pareggiò 1 a 1 e non riuscì ad essere promosso. Io arrivai alla sera, sempre verso le 19, mi dissero di andare alla camera del generale, perché stava molto male, e difficilmente si sarebbe rialzato dal letto, e voleva vedermi, feci la scala di corsa, e lo trovai lì nel letto che respirava a fatica, lo salutai, e lui mi chiese “ allora, cosa abbiamo fatto a Ravenna? Abbiamo vinto? Siamo in serie A?”…. ed io gli dissi: “ Si generale, abbiamo vinto, 2 a 0, siamo in A! !! e gli raccontai di una partita trionfale vinta alla grande e di una festa per la promozione che stava cominciando in tutta la città”…. Vidi quella grande barba di cotone che lo proteggeva da resto del mondo allargarsi come un sipario per lasciare la scena ad un sorriso meraviglioso come forse ormai da secoli non si affacciava così felicemente, gli occhi gli si aggrinzirono ai lati e divennero quasi luccicanti e mi strinse la mano con talmente tanta forza che non pensavo potesse averne ancora così tanta.
Nel mio cuore allontanandomi dalla sua stanza, ero felice, perché sapevo che la mia piccola bugia lo avrebbe fatto morire sereno e gli aveva regalato un ultimo soffio di felicità. L’ indomani il generale ebbe un ulteriore aggravamento, lo portarono all’ ospedale in coma, dove morì due giorni dopo. Il lunedì sera quando arrivai alla casa di riposo, un’ infermiera mi venne incontro dandomi un biglietto scritto da lei il lunedì mattina sotto dettatura del generale, e diceva: “ caro Davide, sei un ragazzo d’ oro, il nipote che non ho mai avuto, ieri sapevo che a Ravenna era andata male, ma la partita che mi hai raccontato tu è stata meravigliosa, non mi sono mai entusiasmato tanto al campo, e credo proprio che in serie A, almeno noi, ci siamo andati di sicuro. Che Dio ti benedica”. Mi sedetti su una sedia a rotelle col cuore in frantumi, io gli avevo raccontato una bugia per renderlo felice, e lui aveva fatto finta di crederci, per far felice me, e piansi, piansi, piansi come se non avessi mai saputo far altro nella vita.
A volte i ricordi vengono a galla tracimando dalle stanze del cuore e giungono agli occhi portandosi delle immagini che mai potranno essere dimenticate, e le lacrime non bastano mai
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