Vincenza Mancini, nata Sposetti, guardava il carabiniere Todino Francesco, alto e prestante, con la sua divisa ben stirata. Se era venuto fin lì, pensava, c’ erano sicuramente delle notizie di Celeste.
“ Prego, si accomodi” e con imbarazzo e timore aveva aperto la porta della stanzetta della figlia, forse credendo che fosse quello il luogo giusto per parlare di lei.“ Grazie” rispose Todino entrando.
La stanza di Celeste era la rappresentazione dell’ ordine perfetto.
Se Dio fosse stato lì, non avrebbe potuto trovarvi un difetto. Questo pensò il carabiniere Todino mentre si guardava intorno. Ma non sapeva che quell’ ordine e quella precisione non erano qualità di Celeste, che era disordinatissima.
L’ ordine, la pulizia e la precisione erano ‘ manie’ di sua madre Vincenza, che, fin da quando era piccola, aveva imparato a lavare, cucinare, stirare, vivendo in una famiglia numerosa e con pochi soldi.
Vincenza andò a sedersi ai piedi del letto di Celeste, sul piumone a fiorellini lilla, dello stesso colore della poltroncina che era lì accanto e che Vincenza indicò al carabiniere perché si accomodasse. Todino si sedette, con un certo imbarazzato pudore, quasi temesse di gualcire quella morbida stoffa di vellutino con il peso del suo corpo, con la sua divisa non proprio fresca di tintoria e un po’ impregnata del fumo delle sigarette. Si guardò intorno e notò i tanti ninnoli, gli orsetti, i peluche e le bamboline, tutti in ordine perfetto, sugli scaffali della piccola libreria con pochi libri e qualche foto in cornice: il sorriso e quegli occhi azzurri in primo piano. Alcuni poster alla parete, ‘ Eros sei grande’, Tiziano Ferro e Laura Pausini; sul letto i cuscini colorati, tre a forma di cuore e su uno la scritta: I love you.
Francesco Todino in quel momento pensò alla sua fidanzata Catia, a Lagonegro, il paese della Basilicata dov’ era nato e dove stava per tornare in licenza. A Catia sarebbe piaciuto come regalo un cuscino con la frase ‘ I love you’, ma ora non era certo il momento per lasciarsi andare a questi pensieri.
Davanti a lui c’ era lo sguardo, carico di incertezze dolorose, di una madre che attendeva notizie di una figlia scomparsa da più di un mese.
Vincenza ruppe quel silenzio quasi opprimente.
“ Allora brigadiè, che me deve di’? Avete saputo quarcosa de Celestina mia?”
“ Signora Mancini, sono qui per chiederle di venire al comando a conferire con il maresciallo Nardi.
Ieri dei colleghi di Bracciano ci hanno trasmesso
una segnalazione…” Todini parlava con l’ accento meridonale potentino e aveva un’ espressione ermetica e impenetrabile, tanto che Vincenza cominciò ad allarmarsi.
“ A’ brigadiè, ma che sta’ a di’? Che notizie c’ avete? Nun me le po’ dì lei ora? Che vengo a fa’ ar commissariato, che mi’ marito c’ ha pure la gamba ingessata e nu lo posso lascià solo…”
“ Signora, mi dispiace, ma non sono al corrente del contenuto della segnalazione.”
Todino si compiacque di aver parlato ‘ come si conviene in un verbale ben fatto’, avrebbe detto il maresciallo.
“ Sono quasi due mesi che lei ha denunciato la scomparsa di sua figlia, vero?”
“ Quarantesei giorni, brigadiè, che Celeste nun s’è trovata più.”
“ E’ un buon segno che ci siano delle segnalazioni, forse la ragazza è stata vista in quella zona. Ma ripeto, non so nulla. Le dirà tutto il signor maresciallo. Sono qui con la macchina, l’ accompagno e in due minuti siamo arrivati. Non si preoccupi.”
“ E vabbè, me metto er cappotto…”
Celeste per Vincenza era più della vita stessa. L’ avevano avuta con un po’ di difficoltà, dopo quasi dieci anni di matrimonio, tanto che Antonio, suo marito, pensava a qualche brutto male, visto che figli non ne venivano. Ma quel dieci gennaio del 1998 il loro sogno si era avverato, era venuta al mondo quella creaturina, che a vederla era uno splendore, per quegli occhi celesti come il cielo d’ estate. Quale nome le si poteva dare se non quello?
L’ avevano cresciuta come una principessa. Mai uno schiaffo, neppure una sculacciata quando era piccola. Sgridate, sì, tante, specialmente ora che si era fatta una signorina… si sa come sono le ragazze a tredici anni: si sentono già grandi. Lo avevano detto e ripetuto in commissariato, quando il maresciallo aveva chiesto se per caso ci fossero stati problemi, incomprensioni, se per caso Celeste si fosse adombrata per qualche rimprovero di troppo.
Celeste ancora non aveva compiuto quattordici anni, ma ne dimostrava almeno sedici e Vincenza sapeva che c’ erano alcuni ragazzini che le giravano intorno, perché era davvero bella con quegli occhi come il cielo d’ estate, i lineamenti delicati e i capelli neri, lunghi oltre le spalle. Riceveva messaggini sul cellulare, forse qualche bigliettino, roba da ragazzini, avevano detto al maresciallo.
Quando Celeste la sera del 17 novembre non era tornata a casa dalla sua passeggiatina del sabato pomeriggio, Antonio e Vincenza ne avevano fatti di brutti pensieri: un incidente, un maniaco, ma non volevano credere che fosse scappata via con qualche ragazzo, come ipotizzava il maresciallo. Celeste non era il tipo, non poteva essere andata così.
Al commissariato, comunque, nessuna pista veniva tralasciata, a cominciare da quella dei pedofili, perché anche il maresciallo, per quanto non lo manifestasse ai genitori, non aveva un buon presentimento.
Davanti al comando dei carabinieri c’ era un gruppetto di persone, tra cui qualche giornalista ed un fotografo, che scattò alcune foto, ma Todino fece andar via tutti, prese sottobraccio Vincenza ed entrò nell’ ufficio del maresciallo.
“ Si accomodi, signora Mancini.” Il maresciallo Nardi, cinquantasette anni, accento siciliano, capelli brizzolati, era seduto dietro la sua scrivania e le tendeva la mano in un modo che a Vincenza sembrò molto rassicurante.
“ Che novità ce so’ su mi’ fija, marescià?”
“ Prima si accomodi, prego. Non so se il carabiniere Todino le ha già anticipato che abbiamo delle tracce… Provengono dalla zona del lago di Bracciano, non proprio sul lago, nella pineta circostante. Sono stati trovati degli oggetti che potrebbero appartenere a sua figlia. Ora sarà lei a dirmi se li riconosce.” E intanto apriva un piccolo sacchetto di plastica trasparente e ne rovesciava il contenuto sulla sua scrivania. Un cellulare, una borsetta grigia con un manico corto, un piccolo borsello di color argento, qualche euro, un orecchino di bigiotteria con una mezzaluna e un piccolo strass.
“ Eh sì, so de mi fija. La borzetta gliela avevo comprata io qualche mese fa a piazza Vittorio…” Vincenza aveva le lacrime agli occhi e la voce rotta dal pianto. “ Er cellulare era un regalino de Antonio… L’ orecchino… me pare de sì… è suo, ma ce n’ aveva tanti! A ’ marescià, che significa che avete trovato ‘ ste cose sue? Che l’ hanno rapinata? E come c’è arrivata a Bracciano? E mò n’ do sta? Oddio marescià, nun sarà che…” E senza finire la frase, scoppiò a piangere.
“ Signora, per carità, non faccia così… I colleghi di Bracciano in perlustrazione nella zona della pineta ci hanno relazionato con cura. Non c’ erano tracce allarmanti dove sono stati ritrovati questi oggetti. Posso dirle però che abbiamo una pista da seguire. Abbia fiducia, non si disperi. Vedrà che in poco tempo…” “ In poco tempo? In quanto tempo, marescià? Celeste so’ quarantesei giorni e quarantasette notti che nun sta più a casa co’ noi. Semo distrutti, morti, mi’ marito e io...”
“ Magari il ragazzo con cui è scappata abita in quella zona… Stiamo già facendo le nostre indagini, non perdiamo un minuto, mi creda. Io sono fiducioso. Ora sappiamo che Celeste è passata per Bracciano. Può darsi sia ancora nei dintorni… vedrà: è questione di ore…”
A sentire queste parole, Vincenza si asciugò gli occhi arrossati con il fazzoletto, poi si alzò pensando che ormai non c’ era altro da dirsi e poteva tornarsene a casa.
“ Stia tranquilla, signora. La terremo costantemente informata. Provvederà l’ appuntato Todino, per mio ordine. Ora la riaccompagnerà a casa. Abbia fiducia, però.”
“ Grazie, marescià. C’ ho mi’ marito co’ na gamba ingessata pe’ na frattura sur lavoro, sta solo a casa e nun sa gnente. Io so’ giorni che nun vado a servizio, perchè nun c’ ho fantasia de parlà co nisuno… L’ altra volta la signora Sabatini, quella dell’ ultimo piano, se voleva impiccià pe’ sapè de mi fija, diceva che è scappata perché magari è rimasta incinta… Ma Celestina mia è ‘ n angelo, ’ na ragazzina così piccola de certe porcherie nun c’ ha proprio manco l’ idea! ”
Si avviò all’ uscita accompagnata da Todino e in pochi minuti la volante ritornò davanti al portone di via di Torpignattara 45.
Vincenza salendo le scale pensava tra sé a cosa poteva farci sua figlia a Bracciano. Là non c’ era mai stata, non aveva amiche né parenti. E si sforzava di ricordare se per caso Celeste le avesse raccontato di qualche ragazzo che abitasse a Bracciano, ma non le veniva in mente proprio nessuno. Gli amici di Celeste erano due o tre e tutti del quartiere, tranne Nino, detto Briscolo, che abitava a Primavalle.
Di lui Vincenza sapeva poco, solo che aveva 25 anni e faceva qualche lavoretto da manovale o da barista. Ma tutte queste cose le aveva già dette al comando dei carabinieri, quando era andata con Antonio per la denuncia. Chissà se il maresciallo aveva fatto indagini su quel Nino Briscolo? Comunque lui stava a Primavalle e non a Bracciano. Però il maresciallo aveva detto che ‘ avevano una pista da seguire’, che era questione di ore, e Vincenza voleva credere che presto avrebbe riabbracciato la sua Celeste.
Aperta la porta di casa, si trovò davanti Antonio con una faccia scura, “ N’ do’ se’ ita?”
“ M’ ha chiamata er maresciallo, Antò. Hanno trovato a Bracciano la borzetta de Celestina e pure er cellulare, ma spento e poi quarche artra cosuccia…’ n orecchino… Ma che c’ entra Celeste co’ Bracciano?”
“ Ma che stai a dì? Bracciano? Nun c’ entra no! Che me rappresenta? Ma ‘ sti carabinieri stanno a cercà bene?”
“ Che te devo dì, Antò, me sembra brava gente… gente che ce capisce…” E non si dissero più nulla, perché in certe situazioni le parole non possono dare risposte.
S’ erano fatte ormai le 19. 30 e come ogni sera Vincenza cominciò a preparare la cena, ma con lo stesso umore triste che la soffocava da quarantasei giorni. Quella era proprio l’ ora in cui la loro bambina era solita suonare il campanello del citofono, “ Mamma so’ io, me apri?”
“ Celè, stavi a tardà… Sbrigate, che c’è tu’ padre.”
Ogni sera da quarantasei giorni Vincenza si ricordava di quello squillo, di quelle parole scambiate con la figlia al citofono. Sempre le stesse, ma a lei andava bene così.
Ed era pure passato Natale, ma quale Natale?
Senza Celeste niente cena, niente pranzo, solo un brodo col dado ed una mela, perché a lei e ad Antonio s’ era chiuso lo stomaco. Però avevano addobbato l’ albero, con le luci e le palline colorate e avevano fatto anche un piccolo presepio, ma non c’ avevano messo Gesù Bambino, perché Celeste non era tornata.
Mentre l’ acqua bolliva nel pentolino, Vincenza versando i cucchiai di pastina, pensò che era il 30 dicembre e quell’ anno stava finendo nel peggiore dei modi, se Celeste non fosse tornata a casa.
Perché non sarebbe finito solo l’ anno, ma pure la loro vita.
Antonio apparecchiava la tavola e non ce la faceva a non mettere il tovagliolo, le posate, il piatto e il bicchiere per Celeste. Diceva che non avrebbe potuto mandar giù niente senza preparare la tavola per tre come al solito, con il posto per Celeste in mezzo a loro due.
La televisione stava trasmettendo un quiz: i concorrenti rispondendo alle domande del presentatore vincevano molti soldi.
Quel programma era sempre piaciuto ad entrambi, ma da quando Celeste non era con loro, ciascuno guardava lo schermo senza capirci granché, inseguendo chissà quali pensieri.
“ Antò, che dici? domani ce faranno sapè quarcosa?” L’ espressione di Vincenza sembrava quella di chi attende un verdetto, una condanna.
Antonio non rispondeva, il suo sguardo restava fisso sullo schermo della tv. Voleva evitare di ricominciare il solito discorso: ‘ Chissà adesso andò sta? Perché nun ha mai chiamato, manco ‘ na vorta? Ma li carabinieri staranno a cercà bene?’
“ A Vincè, metti giù sto mestolo de minestra e magnamo.”
“ Certo ‘ sta storia de’ Bracciano è strana tanto…” Antonio mandò giù qualche cucchiaio di brodo, poi si fermò, come se di colpo gli fosse tornato alla mente qualcosa.
“ Me sto a ricordà, così, all’ improvviso, uno che abitava qui da noi… A’ Vincè, sor Brassini… come se chiamava? Nun t’ aricordi quel signore che è stato in affitto al sesto piano, che tu c’ avevi fatto pure li servizi pe’ quarche mese… poi se n’è ito all’ estero… diceva che c’ aveva la moje a Lugano? Nun t’ aricordi, Vincè?”
“ Sì, che me ricordo, ma che c’ entra? Che c’ entra co’ Celeste e co’ Bracciano?”
“ A me ‘ na vorta me disse che c’ aveva là ‘ na casetta… vicino ar lago, che c’ annava d’ estate… che se stava da re… Anzi m’ aveva proposto puro de faje certi lavoretti nella cantinola… Poi se n’è ito via e nun se ne fece gnente.”
“ Sì, ma che c’ entra co’ Celeste? So’ passati quant’ anni? Cinque o de più? Celeste nun se lo poteva ricordà com’ era fatto… e manco lui se poteva ricordà de lei… Oddio, ma… si fosse lui che l’ ha incontrata pe’ strada quella sera? Ma fosse stato un pervertito? Antò… che stai a pensà? Te c’ avevi puro confidenza co’ quello… allora bisogna che je lo dici tu ar maresciallo. Telefona Antò… telefona subbito!”
La telefonata fu breve perché il maresciallo non era in quel momento in ufficio, ma al suo posto rispose proprio l’ appuntato Todino, al quale Antonio non si sentì di raccontare i dettagli della cosa, ma disse solo che aveva delle comunicazioni urgenti per il maresciallo e che riguardavano una persona che lui aveva conosciuto e che aveva una casa a Bracciano. Todino promise di riferire tutto al maresciallo Nardi appena questi fosse rientrato in caserma.
La notte di Antonio fu agitata: si svegliò più volte. Gli sembrava di sentire la voce di Celeste dalla cucina. Alle tre si alzò a fatica anche perché gli doleva il ginocchio della gamba ingessata. Vincenza aprì gli occhi. “ Che c’ hai Antò? Nun te senti?”
“ Dormi Vincè… m’ era sembrato che Celeste se n’ era tornata. Volevo andà a vedè se per caso sta in cameretta sua”
“ Ma te pare che s’ era tornata nun veniva qui a salutacce? Antò te lo sei sognato…”
“ Embè? Se me lo so’ sognato, vorrà dì che domani Celeste sta qua. I sogni nun se sbagliano, Vincè.”
E si avviò a fatica verso la stanzetta della figlia, entrò senza accendere la luce. Dalla finestra con la serranda per metà abbassata, filtrava il chiarore giallastro dei lampioni, la stanza, a vederla così, aveva un aspetto desolato. Antonio accese la luce per guardarsi intorno. Celeste doveva tornare, pensava, erano quasi le quattro del mattino del 31 dicembre. Quell’ anno non poteva andarsene portandosela dietro.
Qualche lacrima gli scese dagli occhi mentre guardava le bambole, i ninnoli, il peluche su un ripiano della libreria.
“ Celeste! Dorcezza de papà tuo… chi t’ ha rubato?”
Vincenza s’ era alzata e stava dietro di lui, silenziosa. Poi scoppiò a piangere.
“ No, nun fa così… tornamocene a letto, su… Io me sento che sta pe’ tornà. Nun piagne, Vincè, che porta male!”
Si rimisero a letto, ma nessuno dei due riprese sonno. Stavano così, in una specie di dormiveglia. Dopo circa due ore il telefono squillò.
Corse Vincenza a rispondere.
“ Chi è? Ah, marescià è lei… No, nun se preoccupi, nun stavamo proprio a dormì… Da quanno mi fija nun torna, chi dorme più come a prima? Che dice? Dovemo venì? E n’ dove? Ah, mo’ viene Todini a pijarce. Ma puro mi’ marito? Ah, è mejo… e vabbè. Mo ce vestimo… Grazie marescià, ma nun me po’ dì..? Ho capito. Quando se vedemo…” e riagganciò mentre Antonio s’ era già buttato addosso un maglione e il cappotto, pronto per uscire.
“ Ahò e n’ do vai? Me devo vestì pure io…”
“ Te l’ avevo detto che me sentivo quarche cosa… stanotte me la so sognata… stava qui. Namo, sverta, sbrighete. E poi, me raccomanno, quanno la vedi, nun je fa’ subito la partaccia de’ rimproveri!”
Poco dopo trillò il citofono. Il carabiniere Todino era al portone con la volante. Quando scesero, infagottati nei loro cappotti, era buio, ancora non albeggiava. Soffiava un po’ di tramontana e Antonio si tirò su il bavero.
“ Buongiorno, signori Mancini” disse Todino abbozzando un mezzo sorriso, ma si capiva che non era giornata per sorridere. “ Prego, salite. In macchina fa meno freddo.”
“ Che dovemo andà ar comando?” chiese Antonio.
“ No, il maresciallo ci aspetta fuori Roma…”
“ A Bracciano?”
“ Sì, nei paraggi.”
“ Eh, allora l’ avete trovata? Lo dica brigadiè… nun ce faccia sta’ in pena fino a che arrivamo.”
Todino, che si era seduto accanto al collega alla guida, si voltò verso di loro e li guardò senza rispondere.
La sua espressione era come al solito ermetica, ma non tanto da non far trasparire un che di penoso e di triste. “ Perché nun ce risponde brigadiè?”
Vincenza cominciò a tremare. Antonio, invece, guardava fuori la strada, gli incroci, la direzione che la volante stava prendendo sul raccordo.
Non parlava Antonio, chiuso nei suoi pensieri, ovvero in quell’ unico pensiero: Celeste era stata ritrovata. Non voleva sapere più nulla, avrebbe preferito tornare a casa e aspettare. Che cosa? Non sapeva neanche lui.
Ci fu silenzio durante il viaggio, più lungo del previsto. Intanto cominciava ad albeggiare. Nel cielo molte nuvole, cariche di pioggia o neve.
Vincenza piangeva in silenzio, senza farsi sentire, come avesse capito qualcosa. Le scorrevano le lacrime, ma la voce no, non ce la faceva a uscire. Guardava anche lei fuori, attraverso il finestrino: prima la strada attraversava solo campagna, poi si cominciarono a vedere case e gente alle fermate degli autobus.
Quando arrivarono nei pressi del lago, la volante prese una strada interna e si fermò davanti ad un piccolo parco giochi. Là c’ erano tre macchine dei carabinieri e due auto di colore scuro. Alcuni agenti in divisa avevano in mano torce elettriche, c’ erano anche dei carabinieri. Erano tutti lì, ad una cinquantina di metri, dentro il piccolo parco giochi.
Quando scesero dalla volante, il maresciallo Nardi andò loro incontro.
“ Signora Vincenza, signor Antonio, scusate! Purtroppo…” e si interruppe, perché Vincenza cominciò a gridare tutta la sua disperazione “ No, nun ce vengo, marescià… Che m’ ha fatto venì a fa qui? E’ qui…è vero? sta qui? Nun me potete dì che Celeste mia….”
Antonio muto se l’ abbracciò, poi le mise la mano sulla bocca, ma con dolcezza.
“ Basta Vincè… Ma che voj fa? La voj svejà, che magari sta a ‘ dormì? Annamola a vede’. Questi ce l’ hanno ritrovata. E mo che voj fa’? Nun la voj riabbraccià? Te ne voj annà? E dove, dove voj annà?” Il maresciallo Nardi e l’ appuntato Todino cercavano di sorreggerli con delicatezza mentre procedevano. Partecipare a quello strazio non era ‘ lavoro’, ma solo dolore.
A pochi passi c’ era il corpicino di Celeste, disteso a pancia in giù, tanto che nemmeno la faccia si vedeva. Una luce di una fotoelettrica, accesa fino a quel momento per i primi rilievi, si spense, quasi per rispetto di quel dolore.
Vincenza continuava a dire “ No, mica è lei. Nun è lei. Ve siete sbajati, non è Celeste.”
“ L’ abbiamo preso, signora, quel mostro, Brassini Ludovico, idraulico, 63 anni. Era a casa sua, ma ha confessato subito ed è stato lui a dirci dove si trovava Celeste. Sa, la bimba forse stava scappando… E’ successo stanotte, verso le 24. Lui l’ ha tenuta segregata a casa sua per tutto questo tempo.
La sera che Celeste non è tornata a casa, Brassini l’ aveva incontrata per strada, ma non l’ aveva riconosciuta. Gli era piaciuta e basta. Due chiacchiere con qualche pretesto, qualche complimento e se l’ era caricata in macchina con l’ idea di appartarsi con lei in pineta, dove poi i nostri colleghi hanno trovato quegli oggetti. Celeste di sicuro ha opposto resistenza.
Abbiamo trovato delle corde nella casa dell’ omicida. La teneva legata, forse ad un sedia o al letto. Stanotte vostra figlia, chissà come, è riuscita a liberarsi e a scappare, ma lui se n’è accorto e l’ ha raggiunta, purtroppo…”
Mentre il maresciallo parlava, erano fermi lì, davanti a quel corpicino, davanti a quella vita calpestata. Il medico legale dei RIS, con le mani guantate, sollevò appena e con delicatezza il viso della ragazza, in modo che la guancia sinistra poggiasse sull’ erba rossa del suo sangue, spostando un poco i lunghi capelli neri, perché i genitori potessero vederla e riconoscerla. I jeans, le scarpe da ginnastica, il maglioncino verde acqua macchiato di sangue, ferite da taglio sulla schiena. E sangue, tanto sangue…
Vincenza, stravolta dal dolore, era caduta in ginocchio davanti alla figlia morta, quel corpo straziato e ancora tanto bello, con quegli occhi celesti sbarrati nel nulla. “ Figlia adorata… core der core mio! Che t’ hanno fatto?”
Antonio piangeva nascondendo il viso tra le mani mentre il maresciallo commosso cercava di confortarlo. Passarono minuti interminabili.
Poi mentre Vincenza restava in lacrime, accovacciata accanto al cadavere, Antonio asciugandosi il viso col fazzoletto si rivolse al Nardi.
“ Marescià, la possiamo portà a casa? C’è er letto suo che l’ aspetta. E le bambole sue. Ieri sera me so sembrate più tristi… La riportamo a casa, così se riposa, dopo tante notti… Chissà se ha potuto dormì, povero angelo de papà!” Le parole di Antonio commossero anche Todino, che era rimasto lì, fermo impietrito accanto a loro.
“ Certo, signor Antonio. Celeste oggi ritorna a casa con voi”
Il medico legale si era avvicinato al corpo della ragazzina e Vincenza fece per fermarlo, quasi temesse un gesto inopportuno. “ No, nun me la tocchi. C’ ha l’ occhi aperti… glieli chiudo io!”
Vincenza si chinò sul viso della figlia, per guardarli un’ ultima volta, quegli occhi celesti, belli come il cielo d’ estate.
Poi baciò la piccola fronte gelida e li chiuse con una carezza.