Un black- out – Dicembre 2004 -: bene, anzi male. Il pane azzimo in padella, sì, si può fare. La sera avrà un sapore ebraico, anche se non è Pasqua ma è quasi Natale.
Accendo candele nei punti luce.
Allora, controllo: farina 0 anche se Tamar, amica filastinese - così ama definirsi – usa quella integrale, acqua, sale e olio. E padella antiaderente, dunque.
Amo lavorare gli impasti: amalgamare, mescolare, rimestare, plasmare, affondare le dita per creare volumi. E lasciarli riposare, al coperto, poi.
Ecco, una carezza d'olio e aspetto.
Ancora un'ora. Doccia calda all'Argan, crema come un unguento e poi seta sulla pelle. E lana.
Pronta. Nocche sulla porta. Già, l'interruzione dell'energia: un dropout, spero.
Apro ma so della mano. Yosel, il fratello di Tamar. Da solo.
“ E non siamo a New York... ciao, piacevole profumo!” - entra e mi abbraccia.
“ E tua sorella?”- chiedo confidando che no, non può stasera...
“ Un imprevisto... è arrivata all'improvviso una capra di montagna ...”.
“ Eh?...come, una capra di montagna?”- allibisco. Capra? Di montagna? In città?
Ridono quella bocca, quegli occhi neri e, beh, forse anche quei capelli d'ebano riccio.
“ Conosci la nostra situazione politica: dal 1948 ad oggi, la somma è di poche ore di pace”- ha un'ombra nello sguardo, ora.
“ Tamar ed io viviamo qui da tanti anni ma le radici sono altrove, profonde ed inestirpabili. Come i legami con gli affetti che vivono ancora in quella tormentata Terra”. E con il pensiero la percorre, in silenzio. Gli stringo le mani e attendo. Lampeggiano, intanto, le lampade led nella stanza.
“ La capra...è un affetto?” - domando. E sorride di nuovo.
“ E' Yael, un cugino... il suo nome significa “ capra di montagna”!” - risponde divertito – ed è di passaggio ma ha trovato il tempo per un saluto veloce. Tamar lo rifocilla con i manicaretti... a proposito... li manda anche a te, visto che li aveva preparati per la cena: falafel, le polpette fritte di ceci, ed il makluba, riso con agnello e verdure”. Previdente amica che conforta nuove ed eterne radici! E questo cibo si sposa alla perfezione con il pane azz...: il pane!
Corro in cucina e controllo l'impasto mentre Yosel depone le confezioni sul tavolo. Mentalmente rimando il menù già pronto al giorno dopo. Infilo un grembiule rosso sulla mise elegante e tolgo il panno che copre il composto.
“ Posso unirmi a te? - propone Yosel – dov'è il matterello?...ah, eccolo... iniziamo?”.
Così, nell'intermittenza della luce e nel soffuso chiarore delle candele, incomincia un rito ancestrale. A quattro palmi ed un cilindro per stendere.
Le mani cosparse di farina stringono la morbidezza, la schiacciano, la voltano, la premono, la allungano... la torcono... più e più volte - e Yosel che socchiude gli occhi... ed io che socchiudo gli occhi - ...e le dita appiccicose a rovesciare, a sollevare, a sbattere con dolce violenza... e poi intrise d'olio a circondare... a inumidire... a pizzicare il volume... a renderlo elastico... a tenderlo... ad assaggiarlo... e “... tanto mi piace più quanto più turge...” - (oh, Dante che s'introduce in atomi curvi ad ingrossare la tensione!) - ...a distenderlo sul calore... a rivoltarlo... a consumarlo, gonfio, con una colata di miele... - ah, la lingua in fiamme - ...squisito dolore primordiale... gradita sensazione orale...
...e tutto sul canapè giallo...
E' sensazione di luce. Luce? Black- out finito? Con i sorrisi nudi e rauchi ascoltiamo la sazietà, intorno ai braccioli ed ai lumi appagati.
“ Sai... il mio secondo nome è Uriyah...”
“ Uhmmm...” - mugolo senza fiato.
“ Significa illuminazione... “- gongola Yosel. Eroga energia? Sì!
“ Vero... illumini: rimani a disposizione, che dici?...qualora un altro black- out...”.
Dicembre 2014
...ha stile, il mio operatore di luce: senza imbarazzi e intermittenze.