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I tuoi occhi, bimbo mio,
si erano fatti ombra,
non più lo specchio luminoso
di un giorno nascente,
ma un chiarore esitante,
una luce calata su distanze invisibili,
come un crepuscolo che si ritira,
sommesso, dietro il margine del mondo.
Anche le tue mani,
quelle mani sottili,
che un tempo parlavano alla vita con ardore,
ora erano lente, incerte,
come foglie che esitano a cadere.
Il gioco, un tempo danza lieve,
era divenuto un gesto stanco,
quasi una recita sotto il peso del silenzio.
Ed eravamo lì,
nell’attesa lunga,
tra il balenare delle nostre preghiere,
che salivano, si dissolvevano,
nel vento di un corridoio senza fine,
con l’eco di passi che si confondeva
con i nostri pensieri.
Era una veglia immobile,
un sospirare sommesso,
un cercare risposte tra le pieghe del tempo.
Ma poi, venne il segno,
come un raggio che trapassa le nubi,
timido eppure deciso.
Le tue mani ritrovate,
vivaci e assetate di mondo,
hanno ripreso a indicare,
a parlare silenziose,
come radici che cercano la terra.
E tu, con gesto imperioso eppure lieve,
mostri ancora ciò che vuoi,
come un seme che si fa spazio,
oltre la malattia,
oltre l’attesa,
verso il futuro che si dischiude. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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