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Non ritenni
di essere immortale, volli
solo più in alto degli altri volare.
Poi però, piume al vento
disperse
mi fecero cadere.
Non ritengo
di esser stato empio, credo
che agli dèi il mio sacrificio
sia gradito, e che dell’ampio cielo qualcosa
io abbia sfiorato
ma luce non vedo.
Chè se il canto
più in alto io avessi levato
Nume forse sarei stato.
L’iperuranio mi si sarebbe
spalancato
e ne avrei goduto.
Mai non fu un’empia febbre
il bramar più di quanto è dovuto.
Così cado. Il canto
verso il cielo levato
giù, giù fu rigettato, io intanto
levo un lamento straziato
che spera di toccare ancora il cielo
e sa che non puo’ renderlo davvero, tanto
oltre il limite ha osato.
Così caddi. Il canto
ora rimodulato
si sforza di riassaporare
il brandello di cielo
già assaporato
ma già tutte le piume ha perduto
eteree, con cui era partito.
Fu un fato dovuto? Muto
ora al buio, di luce deliro.
Brandello di cielo, brandello di cielo
di luce per sempre perduto!
Se neanche or ti posso sfiorare
se non sarà il mio canto immortale
che io possa almeno levare
un anelito vero.
Non volli, non volli immortale
diventare... non volli davvero?
Dolcissima maledizione fatale
anelare
a un brandello di cielo. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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