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Iu mi ricordu, quann'era vagnoni,
propria lu giurnu ti lu Santu mia,
ti San Giseppu, pi la precisioni,
facemmuu feshta cu tanta 'llicrìa.
'Mmassammu tanta sarcini ti llioni
e ssobbra cruessi poi comu sia sia,
ccussì putemmu fa' 'nu fucaroni
pi shta' totta la notti 'n cumpagnia.
Mu', ti 'shta feshta, s'è persa l'usanza;
'na feshta ca ccucchiava beddi e brutti,
cá nc'era sensu cchiù ti fratillanza.
'Na vota si ccugghievunu li frutti
e, 'nveci mu' si senti la mancanza
t'la fòcara ca ni scarfava a tutti.
Traduzione
Il falò
Io mi ricordo, quand'ero ragazzo,
proprio il giorno del mio onomastico,
di San Giuseppe, per la precisione,
facevamo festa con tanta allegria.
Ammassavamo tante fascine di legna
e sopra quella grossa poi come capitava,
così potevamo far un grande falò
per star tutta la notte in compagnia.
Ora, di questa festa, s'è persa l'usanza;
una festa che univa belli e brutti,
ché c'era più senso di fratellanza.
Una volta si coglievano i frutti
e, invece ora si sente la mancanza
del falò che ci riscaldava tutti. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Sonetto classico in vernacolo sanvitese (alto salentino) con relativa traduzione. Schema: ABAB/ABAB, CDC/DCD.
NB: Anche il falò era all'epoca in cui si festeggiava il Santo del mio onomastico, San Giuseppe, un'importantissima usanza che vedeva uniti tutti i miei compaesani. Era qualcosa che non si può descrivere a parole, ma solo vivendola in quegli attimi d'elevata sensazione e d'accomunamento fraterno. La "Fòcara" è tuttora in disuso.» |
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