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Vado in sposa al dolore
stasera.
Mi ha fatto sua
ancora bambina,
ma vado in sposa al dolore
stasera.
In sala parto
non c'era nessuno.
Ho stretto forte le dita
alle sbarre,
la mia fronte corrugata
per le doglie;
ma non ho fatto rumore,
lui era lì,
ma io non ho fatto rumore,
lui è venuto.
Ho pianto
al rompersi delle acque,
ho pianto
le mie acque rotte.
E ho vomitato
il feto, morto
uno dei tanti, disseppellito
dal fosso.
Non me lo lasciaste abbracciare
né piangere, cullare dolcemente.
E' morto, non si può far niente,
è morto.
Anch'io. Son morta nel parto
io, non mi piango
non mi abbraccio, né cullo.
E' proibito.
Ho vomitato una parola,
ma era già morta.
I morti non parlano.
Ma lei è parola.
Ho la voce dei morti:
tanti i cadaveri
che ho sepolti in gola.
Datemi la veste più nera che avete,
vado in sposa al dolore
stasera. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Il dolore mi ha fatto sua ch'ero ancora bambina, non ho dato vita a una vita ma a una morte. Ho partorito parole morte, queste stesse parole sono miei feti morti. Molti mi son rimasti in grembo, parole morte in gola. E parlo per loro, sono e ho la voce dei morti. Sono madre e moglie, vestita a lutto e a nozze. Vado in sposa al dolore stasera» |
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