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| Limpida è ridente va' l'acqua,
sgorgante è dall'antica roccia,
corre rigogliosa tra i fermi sassi e qui liqua.
Svelta, vuole il fiume e lì cadere come doccia.
Gelare con lui, al fin, di conservare speranza all'empio.
Nato, è anch' esso, dal divino, che il creato fece.
Lento il passo dei purgati, usciti son dall'oscuro tempio.
Raggiungere la sorgente, vanno, a chiudere così l'umana specie.
Protese son le mani alle pure acque a cercar l'oblio.
Tutto quello che è stato, ora il tutto si sublima,
tormenti, pene, piaceri e lacrime. Tutto nel vortice è solo abbaglio.
Lontani i ricordi che nel nulla si perdono, per ritornar all'anima prima
Trovarsi ancor nel materno grembo e dall'acqua essere portato.
Acqua limpida e ridente, acqua, che nuovo corpo ha già formato.
Puri i pensieri, nell'anima ritrovata, la voce di mamma mi ha confortato.
Ora son incubi i ricordi di quel tempo in cui ero disperato.
Gira ancora l'eterna giostra che mi allontana dall'anima pia,
per farmi ritrovare ancor sulle sponde dell'oblio.
Con inganno vivere l'eterna e incomprensibile utopia,
nel continuare a seguir piaceri, versare lacrime e ripetere così lo sbaglio.
Amore dell'Eterno, che qui conduce,
sulle sponde del rio dell'antica roccia,
per ridare all'anima nuova luce.
Credere, ancora, che l'uomo come divina creatura, sboccia.
Chino son, a guardare, il Lete, ad odorar son, la sua fragranza.
Come poche acque possano annientare così la morte,
dando ancora un'altra vita e nuova speranza.
Speranza sempre elusa, così si ripete, dell'uomo, la sorte.
Non bere l'acqua è nell'oblio non cadere
Vagare ancora tra gli esseri del creato,
come ombra e l'anima loro vedere.
Biasimarmi e lodarmi, sì, per non essere ancora nato. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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