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Tanto curiosa m'apparia la tua espressione,
quando ancor lunga era la giornata d'oggi,
che i colori dei temi del tuo vestito arancione,
tuttora al mio cospetto graziosamente sfoggi,
anche adesso che sei a corto di fiato,
per tutto il male che t'è capitato.
Il tuo volto consunto è ormai privo di forza
e nel tuo grembo inerme culli la sofferenza,
così profonda ch'ogni malintenzione smorza,
nell'aria stantia della comune indifferenza,
adesso che sei prostrato nel tuo vomito
e dalle mani di tutti noi sei domito.
Apro un cassetto e prendo tutto il necessario,
e percorrendo l'atrio del tuo piccolo capezzale,
strette le mani nei bianchi guanti del gregario,
ti calpesto sopra quel lenzuolo di dolce sale,
mentre stringo nel pugno quel dardo intinto,
dei veleni che questo giorno hanno dipinto!
Mi sento strano, qualcosa mi ha scosso:
vedo lo specchio di quel guanto bianco,
mutar nei suoi colori sino a divenir rosso,
così m'appari indifeso, lontano dal branco,
e sento nella coscienza di ciò che sto facendo,
il peso delle parole che adesso vi sto dicendo.
Allora alzo il tuo piccolo corpo sofferente
e lo carico su di un cuscino d'ovatta vellutata,
forse per mitigar il senso di colpa struggente,
che lievita nelle ore di questa maledetta giornata
nello spirito malato che dentro mi porto,
senza alcuna possibilità di conforto.
Ma poi Mi fermo per un istante e guardo fuori,
l'unico mio desiderio è di tornare al focolare,
di sfilarmi i guanti rossi intrisi dei tuoi dolori,
per cancellare l'immagine tua su quest'altare
e sognare che sia stato solo un brutto sogno,
perché di ciò che ho fatto, già mi vergogno!
Ti tengo il capo e ti lascio rimirar questo soffitto,
la tua espressione mi sembra già mutata:
accarezzo il tuo vestito arancione tanto fitto;
e mentre dalla bocca la tua anima viene esalata,
in questa stanza che è divenuta un confessionale,
la mia bocca assapora quel lenzuolo di sale,
che poco prima era ai piedi del tuo capezzale. |
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