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Questa è una poesia erotica: se può turbare la tua sensibilita o se non hai più di 18 anni dovresti evitare di leggerla.
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| Son tornato a Bisanzio. Molto tempo
è passato. Ho percorso vie a ritroso
lungo la mia desolazione, pronto
a sfidarti, Universo:
vediamo dunque, riuscirai a smentirmi?
Sconfessa questa mia desolazione!
Ai quattro venti continuo a gettare
calie, semi di senape, frammenti
dei monogrammi di follia sassosa.
Sono tornato, Sigillo, recandoti
meco nella bisaccia delle tigri.
Son sempre lì, le tigri, dentro il nucleo
centrale di pensieri
distratti, assenti. Stanno lì, rinchiuse
come in un circo attorniato da folle
di bambini coraggio in festa. Chiuse
dentro la gabbia stanno, ch'è coperta
dalla pietà della bisaccia – seta
pudica che trascino sulle spalle.
Sono tornato, Sigillo, recandoti
meco nella bisaccia delle rane.
Ancora lì le rane stanno, chiuse
in sogni verdi di concupiscenza
vetrata. Stanno come su una donna
distesa, che languendo in dormiveglia
attenda baci ignoti da milioni
d'avide bocche. Chiuse dentro il pozzo
stanno, ch'è ricoperto dal marezzo
della bisaccia – bramosia di seta
che mi trascina dalla sommità
della testa: ah, le brame mie insaziabili!
Sigillo, ascolta: gracidano le rane,
le mie inutili rane;
ruggiscono le tigri,
le mie inutili tigri – tigri & rane
sono un tutt'uno! Adesso toglierò
lo specchio dell'antica luna fuori
dalla bisaccia; come una reliquia
lo estrarrò, con perizia andrò a lustrarlo.
Fino a che non vedrò la scolopendra
vorace e longilinea fuggir via
dalla spelonca riflettente in cui esso
l'alloga. Fino a che non udrò il sordo
fruscio della pavonia risuonare,
la notte, dal cristallo che mi sdoppia
piatto e dal fondo mi fissa, da sotto
la serica bisaccia – la trascino
ctonia, essa, dall'imo che sopra il ventre
mi trascina. Sigillo, son tornato
a Bisanzio, passando per la conca
arida del gran lago prosciugato.
Ora sono nel centro dell'oscura
città. Il tuo monogramma sanguinante
sull'erma della commemorazione
stamperò, tra l'umidità che avvolge
reticoli d'anonimo cemento
e vetrofanie di gioie farlocche.
Non lasciare, Sigillo, che dissecchi
pure il piccolo pozzo dei balocchi,
il mio piccolo pozzo di memorie
affezionate! S'odono (li sento,
sì, chiaramente, lì ci sono ancora,
i sibili del Jinn; e c'è il fragore
dell'urlo di Pan. No, che non dissecchi
mai, mai, il pozzo! Mi fisso sullo specchio,
Sigillo, e mentre t'incendio tra il fuoco
ti fisso – c'è il sentore, che disvela
questa pira, che in fondo lo siam stati
sempre, razionalisti.
Son tornato a Bisanzio, ma son sempre
stato qua, in fondo: sì, dentro il mio pozzo,
nella mia culla. Qua sono tornato,
sto qua, nel luogo segreto laddove
ruggiscono le rane,
gracidano le tigri.
Nota: per ascoltare la poesia da me recitata: youtu. be/y5s395- XTYw |
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Pan23 |
05/11/2010 18:37| 4322 |
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